6 Diligenza professionale, imperizia e imprudenza.

 

Alle considerazioni del paragrafo precedente, riguardanti la ricostruzione della diligenza in generale come criterio di responsabilità, seguono le ulteriori osservazioni sul concetto di imperizia[1]. Quando infatti, come nel caso della prestazione professionale che qui si esamina,  la  diligenza  comporta  uno  speciale  sforzo  tecnico,  espressione di   tale  sforzo  tecnico  è  per  l'appunto  la  perizia,  intesa  come quel complesso di regole tecniche e professionali espresse dal livello medio della categoria d'appartenenza. Va da sé che nelle varie discipline oggetto di specialità, la perizia di volta in volta si caratterizzerà in modi parzialmente diversi, riempiendosi dei significati[2] tecnico-qualitativi attinti dallo standard medio rinvenibile nella categoria di riferimento[3], potendovi comunque rientrare quei principi fondamentali ritenuti alla base di qualsiasi attività medica, o meglio e più generalmente,  sanitaria.

Sul punto merita di essere sottolineato anche il ruolo che l'aggiornamento costante del professionista svolge in punto di valutazione della sua condotta diligente. Il parametro per la valutazione della responsabilità, fondato sull'aderenza ai dettami che possono estrarsi dal bagaglio professionale, sotteso allo standard medio di riferimento, non può certo prescindere dall'affermazione del dovere di aggiornamento costante del professionista. Lo stesso codice deontologico[4] afferma tale necessità imprescindibile e del resto risulta ricompreso nello stesso principio di riferibilità allo standard medio, che per forza di cose deve essere lo standard "aggiornato", che la prestazione del medico debba nascere da conoscenze aggiornate e quindi tecnicamente apprezzabili.

Ricordando brevemente i capisaldi, qui accolti, della teoria dell'adempimento, soprattutto sotto il profilo degli oneri strumentali e della buona fede quale apporto integrativo del contenuto dell'obbligazione, sembra, a chi scrive, che sia inconcepibile la pretesa di una prestazione che non sia aggiornata, proprio in quanto spetta al debitore della prestazione mettersi in condizione di adempiere diligentemente e soprattutto di continuare a mantenere uno stato che gli consenta la prosecuzione diligente della propria prestazione.

Il concetto d'imperizia assume quindi rilievo anche in riferimento alla descrizione, elaborata dalla giurisprudenza, del campo di applicazione dell'art. 2236 cod. civ. Si è già osservato in precedenza che nella previsione della norma si riconducono solo i casi di imperizia, non invece le evenienze caratterizzate da imprudenza e incuria, nei confronti delle quali si sollecitano giudizi ispirati a criteri di normale severità[5].

Risulta così più correttamente delineato l'apporto dell'elaborazione giurisprudenziale che configura la diligente prestazione del professionista come una prestazione di assoluta delicatezza e importanza, tanto da richiedere una costante espressione di professionalità adeguata agli standard medi di riferimento, e prevede una responsabilità, limitata alla colpa grave e al dolo, soltanto in presenza di problemi tecnici di speciale difficoltà, precisando però che tale limitazione non sussiste quando in gioco vi siano imprudenze o comportamenti di incuria;  si realizza  invece solo quando i problemi tecnici di speciale difficoltà mettano il professionista, di adeguata preparazione media, nelle  condizioni  di  misurarsi   con    problemi  che travalichino le sue

-doverose- conoscenze, pur al cospetto della diligente prestazione che lo stesso abbia posta in essere.

Apprezzare l'accorta interpretazione dell'art. 2236 cod. civ., sostenuta da costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, significa individuare un principio interpretativo, coerente con le premesse svolte, che vuole racchiudere l'applicabilità dell'articolo in esame in una nicchia d'ipotesi sempre più ristretta, onde evitare che il ricorso a questa disposizione possa svilire il concetto di diligenza come criterio di responsabilità che si è cercato di illustrare.

Un esempio, infine, di condotta imprudente può essere d'ausilio alla completezza dell'esposizione.

Il caso, non ancora pubblicato, dal quale trarrò lo spunto per le considerazioni che seguiranno, rientra nella complessa categoria del c.d. errore diagnostico che, particolarmente in tema di diagnosi precoci di malformazioni al feto, assume contorni di assoluta importanza e di scottante attualità.

Il caso riguarda la nascita di un bambino affetto da malformazioni -non diagnosticate dal medico- riconducibili ad una patologia di rarissima verificazione, anche se le condizioni di salute della madre costituivano, per affermazione pacifica in letteratura, motivo di aggravamento del rischio di insorgenza, tra le altre, proprio di tale rarissima patologia. L'indagine medico-legale mette alla luce la difficoltà della diagnosi precoce, allo stato della scienza rinvenibile nelle condizioni di   tempo   e  di   luogo,    tanto  più  in  presenza  di  ulteriori  elementi

-posizione del feto e consistente pannicolo adiposo circondante il ventre della madre- che, frapponendosi di fatto alla possibilità di agevole diagnosi, costituiranno ulteriori ostacoli alla corretta effettuazione dell'esame diagnostico. Il caso sembrerebbe pertanto integrare gli estremi descritti dalla norma di cui all'art. 2236 cod. civ., limitante, pur nell'interpretazione restrittiva della Corte di Cassazione, la responsabilità del prestatore d'opera al dolo e alla colpa grave, ove si rinvengano i c.d. problemi tecnici di speciale difficoltà.

Ora, nel caso appena accennato, la condizione relativa all'emersione dei problemi tecnici di speciale difficoltà sembra avverarsi, dando accesso di fatto ad una valutazione solo in termini di colpa grave, ma, agli esiti di una valutazione globale dell'operato del medico, risulteranno al contrario elementi che suggeriranno altra interpretazione.

Invero, sussistendo potenziali rischi per la paziente, data la sua conclamata patologia a rischio, la condotta del medico doveva essere improntata alla massima attenzione proprio in direzione dell'eventuale diagnosi precoce di malformazioni fetali. Se è vero, come pare, che tale diagnosi, nella struttura ospedaliera di specie, sarebbe stata comunque particolarmente ardua, non solo per la scarsa qualità delle apparecchiature in dotazione, ma anche per la scarsa specializzazione dell'operatore che effettuava l'esame diagnostico, e se è vero che il medico ha sottoposto la paziente ad un numero di ecografie di gran lunga superiore alla media, temendo proprio il verificarsi di patologie simili a quelle riscontrate alla nascita, a nulla vale lamentare la difficoltà tecnica del caso, nonché l'inadeguatezza della strumentazione a disposizione, trattandosi di condotta imprudente, che di fatto non ha accesso all'art. 2236 cod. civ., nell'accorta interpretazione restrittiva sopra richiamata. Il sanitario avrebbe dovuto dunque per lo meno inviare la paziente presso un centro attrezzato con strumentazioni ecografiche più moderne e operatori più specializzati, giacché accontentarsi della cosciente inadeguatezza della propria indagine significa commettere un'imprudenza tale da non giustificare l'accesso alla limitazione di responsabilità di cui all'articolo in esame.

            Sembra allo scrivente che quello di specie sia un caso tipico di -non- applicazione dell'articolo succitato, nella corretta visuale illustrata in dottrina e giurisprudenza, capace di stimolare la riflessione verso un salto di qualità dell'atteggiamento complessivo del sanitario. L'espressione diligente della condotta deve infatti manifestarsi in tutte le direzioni possibili, accettando consapevolmente i limiti che la medicina subisce ancor oggi e che forse sempre subirà, ma dovendosi preoccupare di aggirare l'ostacolo, che i mezzi strumentali a volte possono imporre, per usufruire di tutte le possibilità che la scienza consenta di percorrere, nell'esclusivo interesse del paziente.

            Il tema dell'inadeguatezza della dotazione strumentale suggerisce un ulteriore approfondimento, in punto di valutazione della colpa professionale, per il quale rimando al paragrafo successivo.

 

Avv. Nicola Todeschini
www.studiolegaletodeschini.it

membro dello Studio Legale Consumerlaw

 


Note:

[1] C. MASSIMO BIANCA, ibidem, 37 e segg.

[2] Cfr.Cass. civ., sez. II, 9 novembre 1982 n. 5885: <<In tema di responsabilita'  professionale, l'inadempimento […] va  valutato alla stregua  del dovere di  diligenza che in tale  materia prescinde dal criterio  generale della diligenza  del buon padre di  famiglia e si adegua,  invece, alla  natura dell'attivita' esercitata. Consegue che  l'imperizia professionale  presenta un contenuto variabile,  da accertare in  relazione ad  ogni singola fattispecie,  rapportando la condotta effettivamente  tenuta dal  prestatore alla natura e specie dell'incarico professionale ed alle  circostanze concrete in cui la prestazione deve svolgersi e valutando detta condotta  attraverso l'esame nel suo complesso dell'attivita' prestata dal professionista.>> Bellantonio c. Gioia, in Giust. civ. Mass., 1982, fasc. 10-11.

[3] A titolo esemplificativo si veda Pretura Salerno, 18 maggio 1992: <<Integra gli estremi della colpa per negligenza il comportamento di un medico, specialista  in ginecologia, che, in condizioni di prevedere possibili difficolta' all'atto di un  parto, presta  la  propria assistenza con ingiustificato ritardo da non consentire la risoluzione di tali difficolta' col metodo del parto chirurgico; integra altresi' gli   estremi  della  colpa  per imperizia il comportamento dello stesso sanitario che, nella  situazione  sopra indicata,  si dimostri  totalmente incapace nel praticare una manovra ostetrica, facente parte del  bagaglio  teorico-pratico  di ciascun specialista   della  materia,  con conseguenti lesioni personali irreversibili per il neonato.>> Capuano, in Dir. giur., 1994, 485 nota (RAFFONE).

[4] L'art. 12 cod. deontol. espressamente prescrive che: <<Al medico è riconosciuta piena autonomia nella scelta, nell'applicazione e nella programmazione dell'iter dei presidi diagnostici e terapeutici, anche in regime di ricovero, fermi restando i principi della responsabilità professionale.

Ogni prescrizione e ogni trattamento devono essere comunque ispirati ad aggiornate e sperimentate acquisizioni scientifiche, alla massima correttezza e all'osservanza del rapporto rischio-beneficio. […]>>.

[5] Cfr. nota 62.