Responsabile tutta l' equipe chirurgica per l'abbandono della pinza nell'addome del paziente

La Cassazione, in una recente sentenza (Sez. IV, 18/05/2005 n. 15568) ha ribadito una precedente interpretazione circa la responsabilita' di equipe, affermando la sussistenza di una responsabilità  da parte di tutti i componenti della èquipe chirurgica in relazione al reato di cooperazione nel delitto colposo di lesioni gravi, conseguente all'omissione  del doveroso controllo reciproco  sull'uso e sull'asportazione di uno strumento chirurgico dimenticato all'interno dell'addome del paziente, evolutasi con complicazioni che avevano reso necessario un secondo intervento. In ipotesi di lavoro di èquipe non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida  sia in colpa per aver violato  determinate norme precauzionali o per aver omesso determinate condotte  e che ciò malgrado confidi nel fatto che chi gli succede nella stessa posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione. Qualora i medici si avvalgano di personale paramedico, quale ad esempio il ferrista, al quale si affidata  l'esecuzione di un compito conservano sull'attività degli ausiliari intatto il dovere di vigilanza.

 

 

La “conta” dei “ferri del mestiere”… in Cassazione…!

Commento dell' Avv. Emanuele Liddo, Pescara

 

è del 17.07.05 la notizia di stampa dell’avvenuto decesso a Cagliari del sig. F.F. perché “non una, ma ben due pinze chirurgiche” erano state “dimenticate nella pancia dopo l’operazione alla vescica, alla fine maggio in una clinica privata” delle quali ci si era avveduti soltanto nell’esecuzione dell’autopsia disposta dalla stessa Direzione della Clinica.

      La notizia é ancor più eclatante perché suona quasi come un “rilancio” nelle “dimenticanze” rispetto a quanto aveva formato oggetto della sentenza della Sez. IV penale della Corte di Cassazione del 06-10-2004 (26-05-2004) n. 39062/04 che aveva confermato le condanne inflitte dai primi giudici all’operatore ed ai due aiuti che, nel corso dell’operazione in via di urgenza del 15.12.1995 non si erano accorti d’aver lasciato nell'addome della sig.ra M.C. una pinza chirurgica (“Kelly”) che veniva da loro stessi rimossa soltanto nel corso della seconda operazione del 17.04.1996, cui seguiva, il 2.5.1996, un terzo intervento chirurgico dopo di che la paziente, entrata in coma il 29.6.1996, moriva il giorno dopo.

      La fattispecie è significativa perché l’allora Pretore aveva tenuto a sottolineare che “la responsabilità dell'intera équipe si evince anche dalla circostanza che mancando il ferrista, cioè proprio l'addetto al controllo ed al conteggio dei ferri, il dott. M. avrebbe detto a M. M. A., come da questa dichiarato: "Facciamo tutto noi" cosa per cui la Corte, all’obiezione dell’“operatore” dell’esistenza della “prassi consolidata” in quell’Ospedale civile che la "conta dei ferri" sarebbe stata “compito del personale infermieristico, e, in mancanza di infermieri, del terzo componente della squadra operatoria”, ha risposto che, “almeno il controllo della rimozione dei ferri spetti all'intera equipe operatoria, e cioè ai medici, i quali hanno la responsabilità del buon esito dell'intervento, non solo in relazione all'oggetto dell'operazione, ma altresì per tutti gli adempimenti connessi, sicché è del tutto inaccoglibile l'argomento secondo il quale il controllo successivo alla suturazione della ferita, e cioè quello definitivo e tranquillizzante, sia devoluto al personale infermieristico, secondo una prassi consolidata, avendo il personale paramedico, nel settore chirurgico, funzioni di assistenza, ma non di verifica dell'attuazione dell'intervento operatorio nella sua completezza”.

      Allorché la stessa IV Sez. penale della Corte di Cassazione ha dovuto giudicare della “condotta negligente tenuta dai suddetti medici e paramedici” addetti alla Divisione di Chirurgia dell'Ospedale di Rossano consistita nella “cooperazione colposa tra loro, nel corso dell'intervento chirurgico eseguito in equipe per una occlusione intestinale accusata dal paziente”, a causa dell’”omessa vigilanza reciproca sull'utilizzo degli strumenti chirurgici. uno dei quali. e precisamente una pinza di Kelly, era stata lasciata all'interno della cavità addominale, rendendo necessario a distanza di tempo un secondo intervento per rimuovere la pinza” dal sig. D .S .A.., c’era da attendersi che avrebbe fatto discendere le debite conseguenze dall’esser stato presente nel corso dell’operazione il “ferrista”  che era, purtroppo, incorso in “errore nella c.d. conta dei ferri  chirurgici”.

      La Corte ha, invece, confermato, con la sentenza n. 18568/05 del 18.05.2005 (26/01/2005) conosciuta quasi in contemporanea con i fatti di “Cagliari”, l’esclusione fatta dai giudici di merito del ricorso al c.d. “principio dell'affidamento” perché, “in ipotesi di lavoro in equipe,….non può parlarsi di affidamento quando colui che si affida sia in colpa per avere violato determinate norme precauzionali o per avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che altri, che eventualmente gli succede nella stessa posizione di garanzia, elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione e, perciò, “ove, anche per l'omissione del successore, si produca l'evento che una certa azione avrebbe dovuto e potuto impedire, l'evento stesso avrà due antecedenti causati, non potendo il secondo configurarsi come fatto eccezionale, sopravvenuto, sufficiente da solo a produrre l'evento” con il che “tutti i componenti dell'equipe chirurgica” sono responsabili per aver “omesso autonomamente il doveroso controllo reciproco sull'uso e sull'asportazione della pinza di Kelly, nella reciproca consapevolezza di contribuire alla negligenza altrui che è sfociata nell'abbandono dello strumento chirurgico all’interno dell'addome del paziente e, poi, nella produzione dell'evento lesivo non voluto, ma prevedibile

      L“errore nella c.d. conta dei ferri  chirurgici” da parte del  “ferrista” non ha minimamente influenzato il giudizio della Corte che, anche in proposito, ha ritenuto essere stata “correttamente esposta dai giudici di secondo grado” l’argomentazione secondo cui “i medici, qualora si avvalgano di paramedici ai quali sia materialmente affidata l'esecuzione di un compito, conservano sull'attività degli ausiliari intatto il dovere di vigilanza; dovere che nella fattispecie è stato omesso da parte di ciascun medico nei confronti del ferrista”.

      Se “il rigore del ragionamento tecnico-giuridico” di queste sentenze “non può essere criticato”, ciò non toglie che – com’è stato acutamente osservato[1] – “il medico legale non può non segnalare come essa faccia riferimento a un’epoca, il 1995, in cui la figura dell’infermiere non aveva la dignità attuale in termini di qualificazione professionale” e che “l’introduzione delle professioni sanitarie pone in carico a queste nuove figure di laureati delle responsabilità proprie, soprattutto in relazione a un caso simile”.

       Le “due pinze chirurgiche” di Cagliari devono, perciò, fare i conti con la L. 26-02-1999, n. 42 il cui art. 1, con lo statuire che “la denominazione "professione sanitaria ausiliaria" nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla denominazione "professione sanitaria" non può che significare che per il Legislatore quella stessa attività che era stata svolta dal “personale paramedico” fino ad allora come meramente “ausiliaria", l’ha voluta come totalmente ad essa “autonoma” tanto da fargli abrogare,  da una parte, il “regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n. 225” avente ad oggetto le “modifiche al regio decreto 2 maggio 1940, n. 1310, sulle mansioni degli infermieri professionali e infermieri generici” e, dall’altra, con lo statuire che “il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502[2], e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione postbase nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l'accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali”

      Un’“autonomia” che manda, ad avviso dello scrivente, in “archivio” il “dovere di vigilanza” del quale la S.C. ha investito i medici “sull'attività degli ausiliari” onde sarebbe antistorico parlare, per le “due pinze chirurgiche” dimenticate, di “dovere di vigilanza” che sarebbe rimasto, dopo una tal legge, “intatto  per essere stato “omesso da parte di ciascun medico nei confronti del ferrista” e che fa, nel contempo, rientrare – magari dalla “finestra” – quel “principio dell'affidamento” che la S.C. aveva estromesso - dalla “porta” – in entrambe le sentenze.

      Un “affidamento” che é, però, nel caso di “equipe multidisciplinare” quello emergente dalla giurisprudenza della – sempre - Cass. pen., sez. IV che, con l’altrettanto contemporanea sentenza del  26-05-2004 (02-03-2004), n. 24036, ha ribadito quanto aveva enunciato in materia di trapianto di organi  (con Cass. Pen. Sez. IV, 17.2.2000 n. 2325) e, cioè, che “in tema di colpa professionale, nel caso di "equipes" chirurgiche e, più in generale, in quello in cui ci si trovi di fronte ad ipotesi di cooperazione multidisciplinare nell'attività medicochirurgica, sia pure svolta non contestualmente, ogni sanitario, oltre che al rispetto dei canoni di diligenza e prudenza connessi alle specifiche mansioni svolte, è tenuto ad osservare gli obblighi ad ognuno derivanti dalla convergenza di tutte le attività verso il fine comune ed unico” e, perciò, “ne consegue che ogni sanitario non può esimersi dal conoscere e valutare l'attività precedente o contestuale svolta da altro collega, sia pure specialista in altra disciplina, e dal controllarne la correttezza, se del caso ponendo rimedio o facendo in modo che si ponga opportunamente rimedio ad errori altrui che siano evidenti e non settoriali e, come tali, rilevabili ed emendabili con l'ausilio delle comuni conoscenze scientifiche del professionista medio”…!

      Ed “….a ciascuno il suo”…?     

Emanuele Liddo

[1] Da Pietrantonio Ricci Straordinario di Medicina legale Università degli Studi “Magna Graecia” Catanzaro, in «Chirurghi, contate i ferri»,  da “Il Sole 24 Ore Sanità”, n.40, Anno VII e www.infermieriribelli.it/down load/contareiferri. 

[1] Art. 6 - (Rapporti tra Servizio sanitario nazionale ed Università)