D: Stamane (lunedi') un mio paziente mi chiede un certificato di malattia per la domenica. Il paziente e' tornato regolarmente al lavoro lunedi' mattina.

L'assenza lavorativa durante un giorno festivo deve'essere certificata dal servizio di CA o puo' essere coperta anche dal Medico di Famiglia a posteriori (con la data del lunedi' e scrivendo che "il pz. dichiara" di essersi assentato dal lavoro la domenica per motivi di salute)?

Ha senso un certificato del genere?

 

R.: Si puo' fare ma con molta cautela (e senza garanzia per il paziente).

 

E' necessario esaminare diversi aspetti della questione:

 

- Il certificare (da certum  facere) implica che il medico da' certezza legale a cio' che scrive; in altre parole e' sottinteso il concetto che " garantisco che cio' che dichiaro corrisponde a verita'".

Per questo motivo la legge impone regole molto severe, tra cui quella della "data certa" della stesura della certificazione e dell' evento che si certifica.

 

Il certificato deve quindi riportare, in ogni caso, la data del giorno stesso in cui viene stilato. Qualora la certificazione si riferisca a patologie avvenute in tempo diverso, cio' deve essere chiaramente ed inequivocabilmente dichiarato.

Nel caso in oggetto, e' stato pacificamente riconosciuto che il medico puo' indicare nel certificato l' inizio di una malattia in data precedente alla visita, purche' gli elementi obiettivi presenti al momento della visita gli consentano di affermarlo in scienza e coscienza. Puo' essere dichiarato l' inizio precedente di una malattia ancora in atto, come pure si potrebbe certificare, in certi casi, un inizio risalente a diversi giorni prima di una malattia ormai in risoluzione ( ad esempio, l' inizio di una varicella risalente a diversi giorni prima qualora si riscontri, visitando il paziente, la presenza di eruzione crostosa compatibile con quanto dichiarato (sempre pero' datando il certificato nel giorno della visita). E' bene che, in casi simili, il medico esplichi nel certificato gli elementi che gli abbiano consentito questa ricostruzione.

Problema molto diverso si verifica  allorche' il medico visiti un paziente gia' completamente guarito: egli in tal caso non ha ne' puo' avere elementi clinici che giustifichino la certificazione di uno stato morboso precedente. Una sua certificazione basata solo sulla parola del paziente non e' lecita ne' consentita, in quanto mancante degli elementi che consentano, appunto, di "dare certezza" a quanto scritto: come puo' un medico certificare una la presenza di una pregressa malattia se nel momento in cui visita il paziente questi ne e' guarito?  Come potrebbe rispondere ad una simile contestazione?

Un escamotage molto usato e' quello di stilare una pseudo-certificazione riportante (in data attuale) la dizione "il paziente dichiara di essere stato malato il giorno ...".  Tale dichiarazione non ha effettivo valore in quanto priva del riscontro scientifico obiettivo che ne farebbe un vero certificato: si tratterebbe solo di una "raccolta di testimonianza" (verrebbe certificata la dichiarazione del paziente, e non l' effettiva presenza della malattia). Questa procedura, pur non costituendo reato, esulerebbe tuttavia, a stretto rigore, dalla potesta' certificativa del medico. Per tale motivo l' INPS ha sempre giustamente ribadito l' irregolarita' di tali certificazioni che tuttavia vengono sovente accettate "pro bono pacis" dalle amministrazioni periferiche. Qualora pero' queste opponessero un rifiuto, questo sarebbe pienamente lecito e potrebbe creare notevoli difficolta' al medico e al paziente. 

Trattandosi percio' di pratica non regolare, e' opinione dello scrivente che non vada incoraggiata, ma che i pazienti vadano istruiti ed indirizzati alla pratica regolare: farsi visitare durante la malattia, e non dopo; nel caso di festivita', dalla Continuita' Assistenziale che puo' certificare fino a tre giorni di malattia.   

Daniele Zamperini (23/2/06)