Linee elettriche e leucemie infantili: causa-effetto o solo coincidenze?

Nascere a meno di duecento metri da un pilone dell’ alta tensione aumenterebbe il rischio di ammalarsi di leucemia infantile del 70% rispetto a chi è nato a più di 600 metri. Sono stati considerati 2900000 bambini di età compresa tra 0 e 14 anni, malati di cancro (tra essi 9.700 di leucemia) nati tra il 1962 ed il 1995 ed altrettanti soggetti di controllo. Lo studio è stato effettuato valutando la distanza dell'indirizzo di residenza ove il bambino sarebbe nato rispetto al reticolato della linea elettrica. I risultati sono che 64 bambini con la leucemia erano nati a circa 200 metri dai piloni, 258 tra i 200 ed i 600 metri. Tra chi era nato entro 200 metri dai piloni si sarebbero registrati cinque casi di leucemia in più sul totale di 400 casi che si verificano ogni anno. Rispetto ai nati a più di 600 metri dal reticolato elettrico il rischio di leucemia aumenterebbe del 69% per i nati entro 200 metri, mentre entro una distanza tra 200 e 600 metri la percentuale di aumento del rischio sarebbe del 23% circa. Nessuna associazione tra distanza di nascita dalla linea elettrica ed altri tumori pediatrici è stata osservata nello studio.

Fonte: BMJ 2005;330:1290-2.

Commento di Luca Puccetti
Ecco un ulteriore studio che davvero corre il rischio di sollevare un immenso polverone basato sul nulla. Secondo questo studio nascere vicino rispetto alla linea elettrica comporterebbe un maggior rishio rispetto a chi nasce più lontano. Occorre subito dire che questi risultati sono in controtendenza con quelli di un altro studio, molto ampio, sempre realizzato in UK (Br J Cancer 2000; 83(11): 1573- 1580). Prima di tutto si è preso in esame il luogo di residenza dei genitori e lo si è presuntivamente trasformato in luogo di nascita e di sviluppo dei bambini, ma nulla ci conferma che i neonati abbiano veramente soggiornato e siano veramente cresciuti nel luogo dove presuntivamente dovrebbero esser nati. Inoltre lo studio metterebbe in evidenza un rischio anche a distanze a cui ogni studio fisico ci dice che il campo magnetico originato dalla linea elettrica è assolutamente eguale a quello di fondo (Bioelectromagnetics 1997; 18: 47-57). I lavori di biofisica indicano che i tessuti più sensibili all'azione dei campi magnetici dovrebbero essere quelli nervosi, ma lo studio non dimostra alcun aumento del rischio di neoplasie cerebrali o del SNC. Per spiegare il risultato bisognerebbe ipotizzare l'esistenza di divesi meccanismi biologici per la carcinogenesi associata al campo elettromagnetico a seconda dell'organo bersaglio considerato. Gli autori dichiarano di aver controllato per un certo numero di confounding factors, tra cui le condizioni socio-economiche e la stabilità di residenza mediante controllo dei codici postali dal momento della nascita a quello della diagnosi. La spiegazione più immediata di questi dati è che le linee elettriche sono tanto più fitte quanto più il territorio è denso di popolazione e necessitante di energia. E' probabile che dunque il maggior rischio non sia dovuto alle linee elettriche, ma agli inquinanti cittadini o industriali. Inoltre le linee elettriche che sono state studiate sono quelle a 400 Kv, ma non sono state prese in esame quelle a 132 Kv e tutti i 260.000 trasformatori posizionati sui pali (Statistics of Electricity Supply. Electricity Council, Millbank, London, 1987). Ancora, il rischio legato al campo elettromagnetico originato dalla linea è probabilmente meno importante di quello originato dagli elettrodomestici della casa e su questo dato non c'è alcuna correzione. Possiamo continuare dicendo che le linee elettriche ad alto voltaggio sono spesso costruite lungo le autostrade e dunque anche in questo caso possono entrare in gioco inquinanti e carcinogeni diversi. In conclusione lo studio al massimo può dimostare che esiste una variabilità geografica del rischio di leucemia, ma non è in grado di attribuire un ruolo causale alle linee elettriche. Studi di questo genere, offrono il destro a tutti coloro che, ignari o peggio noncuranti delle cautele metodologiche, aspettano ogni pretesto per sollevare campagne scandalistiche, spesso basate sul nulla, che aizzano le popolazioni a comportamenti irrazionali.

Commento di Daniele Zamperini

E' ben nota la difficolta' di ottenere conclusioni certe o almeno altamente probabili da studi osservazionali di popolazione, per l' estrema variabilita' dei fattori confondenti e l' ovvia impossibilita', per motivi etici, di sottoporre esseri umani a sperimentazioni controllate su fattori di cui si sospetta la pericolosita'. Per questi motivi si sono resi necessari, in casi analoghi, studi di particolare estensione e complessita' (vedi ad esempio, a proposito dei temuti rischi connessi all' uso dei telefoni cellulari, il progetto INTERPHONE, coordinato tra 13 Paesi e di cui si attendono a brevissimo termine i risultati definitivi).
Sul sito dell’ ENEA ( http://www.emprotect.enea.it/) sono poi rinvenibili alcuni lavori che evidenziano alcuni effetti biologici dei campi elettromagnetici a bassa frequenza (quelli degli impianti elettrici). Come, ad es., l' aumento di micronuclei (segno di interessamento del materiale genetico) nei lavoratori co-esposti a basse dosi di radiazioni ionizzanti (che da sole non producono effetti) e poi esposti a campi magnetici pulsanti. O l' evidenza di apoptosi precoce in cellule umane sottoposte a campo magnetico.
Particolarmente interessante il brano che segue: "Dai risultati ottenuti si può osservare che i campi elettromagnetici 50 Hz applicati causano delle alterazioni nei livelli di 5-HT e del suo metabolita 5-HIAA: Tali variazioni ci indicano che nelle aree cerebrali analizzate il sistema serotoninergico è un importante bersaglio per gli ELF-EMF. Complessivamente le alterazioni nei livelli dei neurotrasmettitori e nella densità dei recettori µ oppioidi sembrano indicarci che l’esposizione prolungata a campi elettromagnetici a bassa frequenza (50 Hz) possa essere un fattore di rischio ambientale per patologie neurodegenerative, tra cui la Demenza di Alzheimer, e alcune malattie psichiatriche, come la schizofrenia e i disturbi dell’affettività. ".
E’ quindi parere di chi scrive che quando gli studi appaiono non conclusivi o non definitivi, debba venire comunque mantenuto un atteggiamento di vigile prudenza, non preconcetta. La circostanza che un fatto non sia definitivamente dimostrato non autorizza automaticamente a ritenere che sia stato dimostrato l' opposto. Lo studio citato all’ inizio ha comunque sollevato problemi che pure dovrebbero, in ogni modo, trovare una spiegazione, senza allarmismi e senza drammi ma mantenendo una vigile attenzione e proseguendo le ricerche, senza preconcetti.