Pubblicita’ medica libera, se e’ corretta
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Argomento: Normative di interesse sanitario


La Cassazione ha annullato la sanzione disciplinare inflitta ad un medico per aver diffuso pubblicita’ sanitaria dello studio da lui diretto in quanto non era stato dimostrato che tale pubblicita’ fosse ingannevole. Non e’ lecito sanzionare il medico senza indicare i motivi per cui la pubblicita’ non sarebbe corretta (Cassazione II civile n. 5612 dell'11 Marzo 2014).
Daniele Zamperini

Un direttore sanitario era stato condannato dal suo Ordine a sei mesi di sospensione dall’ attivita’ professionale per aver diffuso un messaggio pubblicitario in cui si scriveva "prima visita gratuita, diagnosi, radiografia e preventivi gratuiti".

Il medico aveva presentato appello al CCEPS (Commissione Centrale Esercenti Professioni Sanitarie) che aveva confermato la sanzione limtandosi a ridurla a cinque mesi.
Il CCEPS aveva ritenuto che non fosse applicabile al caso la legge sulla liberalizzazione della pubblicita’ (Decreto Bersani, L. 248/2006).
 
Ricorso in Cassazione, questa aveva invece annullata la sanzione rinviandola alla CCPES con una esauriente motivazione:
"l'abrogazione generale contenuta nella L. n. 248 del 2006, art. 2, lett. b, nella quale è sicuramente compresa l'abrogazione delle norme in materia di pubblicità sanitaria, di cui alla L. n.175 del 1992, prescinde dalla natura (individuale, associativa, societaria) dei soggetti rispetto ai quali sarebbe illegittimo, oltre che irragionevole, limitarne la portata all'esercizio della professione in forma individuale, fermo restando che, all'interno del nuovo sistema normativo, nel quale la pubblicità non è soggetta a forme di preventiva autorizzazione, gli Ordini professionali hanno il potere di verifica, al fine dell'applicazione delle sanzioni disciplinari, della trasparenza e della veridicità del messaggio pubblicitario".
 
Il CCPES pero’ non si adeguava  alla pronuncia della Suprema Corte rinnovando una decisione di condanna simile alla precedente. .
 
Ricorso nuovamente in Cassazione, questa annullava nuovamente la sanzione ribadendo tale preciso principio di diritto:
In base a tale principio di diritto la Commissione Centrale avrebbe dovuto procedere ad una valutazione autonoma della portata effettiva della pubblicità incriminata, dettagliando i motivi per cui non rispondesse ai criteri di trasparenza e veridicita’
Il ricorso e’ stato nuovamente accolto e la causa rinviata alla Commissione Centrale per decisione conforme.
 
Commento personale:
Non e’ la prima volta che la Cassazione riforma le decisioni emesse dagli Ordini professionali e dalla Commissione Centrale.
Ho gia’ riportato un caso molto simile, di pubblicita’ diffusa con il mezzo di volantini  (v. Cassazione Civile VI n. 11816/2012, del 12/7/2012 ) consultabile all’ indirizzo http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=694


Viene da chiedersi i motivi di un atteggiamento “sanzionatorio a tutti i costi”, anche quando non se ne vedrebbero delle valide ragioni.


Un’ altra notizia di questo tenore e’ quella che abbiamo riportato su  http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=966
con l’ annullamento di una radiazione per reati seri ma che nulla avevano a che fare con la professione.

Sembra che il ruolo di giudicante stimoli talvolta atteggiamenti di eccessiva severita’ e di manichea intransigenza da parte di chi viene a sentirsi superiore agli altri.


Un po’ di buon senso e un maggiore equilibrio sarebbero spesso auspicabili!






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