Quando sospettare una falsa positività del test per l'HIV?
A volta la positivita' ai test non e' realmente indicativa di AIDS
La United States Preventive Services Task Force, ha recentemente raccomandato lo screening di popolazione per l'HIV in tutti i soggetti di età compresa tra 15 e 65 anni ed in tutte le donne in gravidanza. Per le altre fasce d'età lo screening viene consigliato solo se sono presenti fattori di rischio per l'infezione (1).
Come ha opportunamente sottolineato Renato Rossi in una recente “pillola” dedicata a questo argomento il gold-standard-test per la diagnosi (enzyme immunoassay+western blotting) è gravato da una bassissima percentuale di falsi positivi e di falsi negativi (2)
Tuttavia con l’estensione dell’esame a fasce di popolazione a basso o bassissimo rischio il numero di falsi positivi tenderà ad aumentare sensibilmente: se consideriamo che anche i seri medici tedeschi (3) ed i preparatissimi GP inglesi (4) continuano a confondere la sensibilità dei test con il loro valore predittivo, è opportuno che noi tutti impariamo a valutare la falsa positività anche per il test dell’HIV.
E’ vero infatti che non esistono studi sistematici sulle conseguenze di test falsamente positivi per HIV ma è pur vero che sono stati sporadicamente segnalati casi di suicidio di pazienti falsamente positivi al test (5).
Per calcolare la percentuale di falsi positivi la metodologia più corretta è quella di applicare la nota formula di Bayes P(HIV|pos)=P(HIV)×P(pos|HIV)/[P(HIV)×P(pos|HIV) + P(noHIV)×P(pos|no HIV)] che a dire il vero è tanto poco intuitiva da essere raramente usata al di fuori degli ambiti di ricerca.
Una valida alternativa pratica è stata proposta due anni fa dal Cochrane Database (6): si basa sulle frequenze naturali, e la esemplificazione è facile ed intuitiva.
Supponiamo di effettuare il test su due popolazioni di 10.000 persone P1, P2 e che la percentuale di falsa positività del test sia di 1:10.000. Prendiamo ora in considerazione la prevalenza stimata della infezione da HIV: supponiamo per semplicità che in P1 la prevalenza sia di 1:10.000 e che in P2 la prevalenza sia di 1:1000.
Le differenze sono rilevanti e lo sarebbero ancora di più se proiettate su numeri ancora più grandi: riscontrando un test positivo nella prima popolazione (P1) avremmo ben il 50% di probabilità di trovarci di fronte ad una falsa positività in quanto avremmo 2 soggetti positivi, uno portatore del virus, il secondo falsamente positivo. Nella seconda popolazione, a più elevata prevalenza P2=1:1000 avremmo 11 soggetti positivi al test, dieci portatori del virus ed 1 falsamente positivo.
In altre parole, il valore predittivo di questo eccellente test sarebbe appena del 50% nella popolazione a bassa prevalenza ( come avviene in molti screening) e di un più rassicurante 91% nella popolazione ad alta prevalenza.
Questa metodica di presentazione dei dati, semplice e di facile lettura, rende evidente come un medesimo test anche con elevata sensibilità possa avere un valore predittivo molto differente con il variare della prevalenza: l’esempio dell’HIV è quanto mai significativo e dovrebbe essere tenuto presente nel valutare le positività ad ogni genere di screening.
Riccardo De Gobbi
Bibliografia
1) Moyer VA et al. Screening for HIV: U.S. Preventive Services Task Force Recommendation Statement Ann Intern Med. 2013 Jul 2;159:51-60
2) http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5857
3) Gigerenzer G, Hoffrage U, Ebert A. 1998. AIDS counseling for low-risk clients. AIDS Care1998;10:197-211.
4) Gigerenzer G,:HIV screening: helping clinicians make sense of test results to patients BMJ 2013;347:f5151 doi: 10.1136/bmj.f5151 (Published 21 August 2013)
5) Gigerenzer G. : Reckoning with risk. Penguin 2002
6) Akl, EA, Oxman AD, Herrin J, Vist GE, Terrenato J, Sperati F, et al. Using alternative statistical formats for presenting risks and risk reductions. Cochrane Database Syst Rev 2011;3:CD006776