Un medico ha omesso la diagnosi di un processo morboso terminare impedendo quindi gli interventi terapeutici, magari solo palliativi ma che avrebbero potuto alleviare le sofferenze e i disagi. Percio’ e’ stato condannato (Cass. sez III 23/05/2014 n.11522)
Daniele Zamperini
Veniva posto l’ accento su due aspetti.
Il medico, innanzitutto, non era specialista nel ramo specifico: si trattava di un ortopedico che, nel corso degli esami preoperatori per un intervento al ginocchio, non si accorgeva di una massa polmonare evidenziata dalla radiografia toracica e che richiedeva approfondimenti diagnostici.
Di cio’ non si preoccupava l’ ortopedico, che effettuava l'operazione al ginocchio del paziente, il quale pochi mesi dopo decedeva.
Ovviamente non vi era nesso causale tra l’ intervento al ginocchio e il decesso; restava pero' il fatto che il medico non si era interessato di mettere in guardia il paziente, ne’ di consigliare controlli.
La diversa specializzazione, sostiene la Corte, non esime il medico dalla necessità di prescrivere al paziente ulteriori approfondimenti in merito, al fine anche di alleviarne le sofferenze anche se non ne puo’ salvare la vita.
Entra in gioco il concetto giurisprudenziale della "perdita di chance" ovvero del "mancato ottenimento di un risultato positivo e migliore rispetto a quello effettivamente realizzatosi". Anche se non vi fosse possibilita’ di sopravvivenza, resta tuttavia la perdita della possibilità di effettuare un intervento anche non risolutivo ma palliativo della malattia, e di godere nei mesi a seguire di una qualità della vita migliore rispetto a quella che gli si è poi prospettata.
In conclusione la Suprema Corte sottolineva che "la mancata osservanza di un elementare obbligo di diligenza da parte del dottor M emerge palesemente ex actis", confermando una responsabilità a carico del sanitario dalla quale è derivata una perdita di chance del paziente di condurre una vita migliore nei suoi ultimi giorni se sottoposto tempestivamente ad idoneo intervento.
Daniele Zamperini