Fibrillazione atriale e ictus criptogenetico
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Argomento: Medicina Clinica


Nei pazienti con ictus criptogenetico il monitoraggio elettrocardiografico prolungato consente di scoprire una percentuale più elevata di episodi di fibrillazione atriale rispetto al monitoraggio 24 ore o al follow up standard.

In una percentuale non trascurabile di pazienti (20%-40% circa) che vanno incontro a ictus o TIA non è evidenziabile alcuna causa apparente. In questi casi si usa il termine criptogenetico.

Si sa, però, che la fibrillazione atriale è una delle cause più frequenti di ischemia cerebrale. E' noto, altresì, che esistono forme parossistiche di fibrillazione atriale che possono passare clinicamente inosservate. Si può ipotizzare che in molti casi di ictus criptogenetico queste forme silenti parossistiche giochino un ruolo causale.

Due studi hanno cercato di determinare se effettivamente la cose stanno così.

Nel primo studio, denominato EMBRACE, sono stati arruolati 572 pazienti che avevano avuto un ictus o un TIA senza causa apparente nei precedenti sei mesi (età >/= 55 anni).
I pazienti erano stati sottoposti agli accertamenti di rito, compresa una registrazione elettrocardiografica 24 ore.
I partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: uno sottoposto ad una registrazione elettrocardiografica continua per 30 giorni, l'altro ad una registrazione elettrocardiografica di 24 ore.
Un episodio più o meno prolungato di fibrillazione atriale è stato diagnosticato nel 16.1% del primo gruppo e nel 3,2% del secondo gruppo. Una terapia anticoagulante al termine dei tre mesi di osservazione venne prescritta nel 18,6% e nell'11,1% rispettivamente.

Nel secondo studio, noto come CRYSTAL, sono stati arruolati 441 pazienti che avevano avuto un ictus criptogenetico. Anche in questo caso i partecipanti sono stati randomizzati in due gruppi: un gruppo funzionava da controllo ed era sottoposto al follow up standard, al secondo gruppo veniva inserito un dispositivo che permetteva il monitoraggio elettrocardiografico continuo.
A distanza di sei mesi una fibrillazione atriale venne diagnosticata nell'8,9% del gruppo intervento e nell' 1,4% del gruppo controllo. A dodici mesi una fibrillazione atriale era stata diagnosticata rispettivamente nel 12,4% e nel 2%.

I risultati dei due studi presi insieme ci dicono sostanzialmente che:

1) una percentuale di circa il 12-16% dei casi di ictus criptogenetico è probabilmente dovuta ad episodi parossistici di fibrillazione atriale non diagnosticabili, proprio per il loro carattere transitorio, al momento del fatto acuto

2) il gold standard per la diagnosi di questi episodi è la registrazione elettrocardiografica prolungata, mentre la comune registrazione Holter 24 ore riesce a svelarne molti meno.

Le implicazioni sono ovviamente importanti ai fini terapeutici in quanto se si riesce a stabilire che l'ictus criptogenetico è stato causato da un episodio parossistico di fibrillazione atriale si può instaurare una terapia anticoagulante che, come è noto, nei pazienti con questa aritmia, ha una efficacia preventiva sull'ictus maggiore rispetto all'antiaggregante.

Rimane il problema di riuscire a implementare su larga scala la pratica di una registrazione elettrocardiografica prolungata in tutti i pazienti che hanno avuto un TIA o un ictus criptogenetici. Sono necessarie risorse di tipo economico, di strutture e di personale dedicato che probabilmente costituiscono la maggior barriera al trasferimento nel "mondo reale" dei risultati di questi studi.
Le cose potrebbero cambiare in futuro se la ricerca permetterà di disporre di dispositivi semplici e molto economici che permettano la registrazione elettrocardiografica prolungata senza un eccessivo aggravio di costi e di lavoro per i vari Servizi Sanitari.


Renato Rossi


Bibliografia

1. Gladstone DJ et al.for the EMBRACE Investigators and Coordinators. Atrial Fibrillation in Patients with Cryptogenic Stroke. Engl J Med 2014 Jun 26; 370:2467-2477J

2. Sanna T et al. for the CRYSTAL AF Investigators. Cryptogenic Stroke and Underlying Atrial Fibrillation. N Engl J Med 2014 Jun 26; 370:2478-2486






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