Il tasso di abortività sembrerebbe in calo a livello mondiale, ma senza prove di un legame con le pratiche contraccetive; è praticato in modo simile nei paesi sviluppati ed quelli in via di sviluppo ove è meno sicuro per la salute della donna.
Metodo: revisione dei rapporti statistici nazionali sul tasso di abortività nel 2003 per l’aborto sicuro. Fonti ospedaliere, indagini e altri studi pubblicati sono stati impiegati per valutare il ricorso all’aborto non sicuro nel 2003. Sono state utilizzate indagini demografiche per calcolare i tassi di abortività nel 1995 e nel 2003.
Risultati:
nel 2003 sono stati eseguiti 43 milioni di aborti, 4 milioni in meno rispetto al 1995, con una corrispondente riduzione del tasso di abortività da 35 a 29 aborti ogni 1000 donne di età compresa tra 14 e 44 anni. Nell’Europa occidentale il tasso è risultato di 12 IVG/1000 donne, 17 nell’Europa settentrionale e 18 in quella meridionale, contro il 21 del nord America. Il 48% degli aborti mondiali è stato non sicuro, concentrati per il 97% nei paesi in via di sviluppo.
Conclusioni:
il tasso di abortività è simile nei paesi in via di sviluppo ed in quelli sviluppati. Assicurarsi che la contraccezione sia assicurata e che l’aborto sia sicuro ridurrà la mortalità materna sostanzialmente e proteggerà la salute materna.
Fonte: The Lancet 2007; 370:1338-1345
Commento di Renzo Puccetti
Lo studio in questione, se così lo si vuole considerare, opera in larga parte di membri di un’associazione legata a doppio filo con la maggiore organizzazione abortista americana Planned Parenthood, pretende di dimostrare che:
1) Si sta verificando una riduzione del ricorso all’aborto su scala planetaria
2) Tale riduzione è merito dell’incremento del ricorso alla contraccezione.
3) L’illegalità dell’aborto non si associa a tassi di abortività inferiori.
4) L’illegalità dell’aborto si associa a maggiori tassi di mortalità materna
5) Rendere legale l’aborto deve necessariamente condurre a una riduzione della mortalità materna.
La materia è piuttosto complessa e davvero sarebbe impresa temeraria pensare di esaurirla in questo contesto.
Ci limiteremo così a presentare alcuni elementi che vanno in senso esattamente opposto a quanto ipotizzato dal lavoro in questione.
In molti paesi si registrano notevolissime fluttuazioni del tasso di abortività in presenza di comportamenti contraccettivi costanti. Il Giappone ne è un esempio: in 30 anni l’aborto si è dimezzato nonostante la contraccezione sia rimasta pressoché costante (Ryuzaburo, 2006). In Inghilterra, Francia, Spagna, Svezia gli istituti di statistica forniscono evidenze di progressivi incrementi del tasso di abortività in presenza di livelli quantitativi e qualitativi di contraccezione costanti o addirittura crescenti. In Francia un’indagine condotta dall’Istituto Statistico Nazionale (INED) ha evidenziato come, a fronte di un incremento dell’impiego di contraccezione orale, il tasso di abortività non è diminuito (oltre 210.000 aborti nell’ultimo anno disponibile) per un’aumentata propensione delle donne ad interrompere la gravidanza indesiderata (incremento del 50%). Si tratta di un fenomeno ben conosciuto anche a livello teorico, trattandosi del fattore p (probabilità) del modello di Bongaarts. In Italia l’ultima relazione parlamentare indica la riduzione del livello di abortività tra le donne italiane, eppure non una sola indagine ha evidenziato un incremento del ricorso alla contraccezione con metodi moderni. Anzi, su questo versante il nostro paese è considerato un esempio di arretratezza. Di nuovo, il tasso di abortività anche fra le adolescenti è nel nostro paese inferiore a quello registrato in Francia, Inghilterra, Svezia.
Circa poi la capacità di definire il numero di aborti nelle nazioni dove questo è illegale e addirittura desumere trend su cui costruire modelli interpretativi di efficacia di specifiche strategie politiche, questo pare un buon esempio di quella pre-scienza che forse sarebbe da evitare.
La tesi che il contesto legale non modifichi il ricorso all’aborto, seppure funzionale ad una ben individuabile tesi, trova una mole di indicazioni contrarie. Tra i tanti possiamo citare proprio uno studio del Guttmacher Institute (Finer 2003), secondo cui facilitare l’accesso all’aborto ne aumenta il ricorso. In Irlanda, dove l’aborto è illegale, il tasso di abortività è pari ad un terzo di quello inglese. Negli USA la disponibilità regionale di centri abortivi si associa a tassi più elevati di aborti (dati CDC); ne è riprova che la diminuzione negli anni di questi centri è uno dei motivi indicati per spiegare la riduzione del ricorso all’aborto negli Stati Uniti. Un recente lavoro condotto in Turchia ha mostrato che dopo la legalizzazione dell’aborto le donne vi hanno fatto ricorso in misura nettamente superiore, passando dal 37,3% al 49% (Maral, 2007). Ed è proprio The Lancet che pubblica uno studio nel 1993 (Johnson) che mostra come in Romania solamente il 31% delle donne che hanno abortito lo avrebbe fatto ugualmente nel contesto illegale (dopo la legalizzazione dell’aborto nel 1989 in Romania si è registrato un crollo delle nascite, da 369.544 a 275.275).
Secondo il rapporto redatto da OMS, UNICEF e UNFPA, nel mondo nell’anno 2000 le donne morte durante il periodo della gravidanza sono state ben 529.000, corrispondenti ad un tasso non diverso da quello registrato nel 1995, mentre la cifra fornita per il 2005 è pari a 536.000; difficile identificare quel gran successo delle politiche contraccettive e di sterilizzazione che si vorrebbe accreditare. Come non considerare poi lo studio di matrice finlandese che, incrociando i dati forniti dalle schede di morte con i registri sanitari sull’intera popolazione nazionale studiandola per ben 14 anni ha evidenziato che ad un anno dal termine della gravidanza le donne che abortiscono hanno una mortalità per tutte le cause tripla rispetto a quelle che portano a termina la gestazione (Gissler, 2004)?
Ad ulteriore conferma e completamento giungono i dati forniti nel rapporto per l’anno 2007 della divisione sulle popolazioni delle Nazioni Unite circa le politiche abortive in 61 paesi del mondo (United Nations, Department of Economic and Social Affairs, Population Division. World Abortion Policies 2007). Le cifre fornite confermano quanto poco influisca la diffusione della contraccezione nel ridurre il ricorso all’aborto e quanto invece siano rilevanti altri fattori. L’analisi statistica dei dati provenienti dalle 43 nazioni europee esaminate nel rapporto indica che né il livello di contraccezione globale adottato dalle donne nei diversi paesi, né quello basato sull’impiego di contraccettivi moderni si associa a tassi di abortività più contenuti (R=0,172; p=n.s. e R=0,141; p=n.s., rispettivamente). Diversamente molto più rilevante appare il contesto legislativo; nelle nazioni dove il livello di liberalizzazione dell’aborto è maggiore non solo si registrano tassi maggiori di aborto (Rho=0,496; p=0,0057), ma addirittura è più alta la mortalità materna (Rho=0,456; p=0,0099)
L’analisi statistica condotta sui dati forniti riferiti a ben 51 paesi africani, indica che anche in quel contesto non vi è alcuna associazione significativa tra il livello di liberalizzazione legale dell’accesso all’aborto e la mortalità materna; in altri termini, nelle nazioni africane in cui l’aborto è legalmente consentito anche sulla base di fattori socio-economici o addirittura su semplice richiesta della donna, non si hanno più bassi livelli di mortalità materna (Rho=-0,124; p=n.s.).
ripreso da pillole.org