Il giornalista che critica con linguaggio colorito, pungente e mordace non commette reato, perche’ questo fa parte del legittimo diritto di critica, specialmente se il contenuto rispecchia la verita’.
Un noto ginecologo querelava il Direttore ed un giornalista di un noto quotidiano reo, a suo dire, di averlo diffamato definendolo, tra l’ altro, "pigro di penna avendo pubblicato lo stretto necessario e mai su riviste scientifiche quotate".
In primo grado i giudici di merito avevano condannato per diffamazione a mezzo stampa gli imputati; il giudizio era stato poi ribaltato in appello, con assoluzione piena.
La Cassazione (V sez. penale, sentenza 10724/2008) ha confermato la sentenza di assoluzione: veniva innanzitutto confermata la verita’ di quanto riportato nell’ articolo: "la notizia offerta dal quotidiano e' vera, dal momento che come chiarito dalla corte di merito, la produzione scientifica del dottor [...] non e' copiosa e che i suoi contributi pubblicati sull'autorevole 'The Lancet' sono due e risalgono al 1990 e al 1992".
Secondo la Corte la critica del giornalista non costituisce altro che l'esercizio del legittimo diritto di critica e non viola nemmeno "il limite della continenza poiche' lo scritto rispecchia il metodo pungente e mordace dell'informazione giornalistica, che per colpire l'attenzione dei lettori non puo' adoperare il linguaggio incolore della Gazzetta Ufficiale".
Infatti il reato di diffamazione si concretizza allorche’ venga lesa la reputazione di un soggetto, ma "la reputazione non si identifica con la considerazione (talvolta ombrosa) che ciascuno ha di se' con il mero amor proprio, ma con il senso di dignita' personale in conformita' all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico”. Pretendere che esista una costante corrispondenza tra la narrazione di un fatto e l’ opinione che l’ interessato ha di se’ stesso e del prorio io verrebbe a precludere la possibilita' di esercizio del legittimo diritto di critica.
Non è reato, quindi, secondo la Cassazione, smontare l’ opinione troppo alta che alcuni professionisti hanno di se’ stessi.
DZ - CP