Ancora condanne per l' uso "parziale" dei permessi legge 104
Data:
Argomento: Normative di interesse sanitario


 
Costituisce abuso di diritto l' utilizzo, anche parziale a scopi personali delle ore di permesso destinate all' assistenza del disabile.  Il lavoratore va licenziato. E non importa se il datore di lavoro si e' servito di un investigatore privato (Cass. Lavoro n. 9217/2016).
Daniele Zamperini


La Cassazione e' tornata su una questione che sta salendo a galla con sempre maggiore frequenza, come e' stato evidenziato gia' in precedenza su questa testata: e' legittimo il licenziamento del lavoratore che abbia utilizzato gran parte del "permesso" ex Legge 104/92 per scopi personali e non per assistere il parente disabile. Occorre anche considerare l' onere per il datore di lavoro che deve sopperire all' assenza del dipendente.

I fatti:
il dipendente di un' azienda automobilistica aveva richiesto alcuni permessi ex L. n. 104/1992 per prendersi cura della cognata, non convivente, affetta da grave disabilita'.

L' Azienda tuttavia si era servito di un investigatore privato che accertava che il dipendente aveva assistito la cognata, per almeno tre giorni, per un numero di ore assai inferiore rispetto a quelle previste dal permesso: in un caso solo per circa 4 ore, in un altro caso per circa 3 ore e mezza.

Licenziato, il dipendente aveva presentato ricorso, che pero' era stato respinto dai giudici di merito che ritenevano (analogamente ad altri casi precedenti) che si configurasse la figura dell'abuso del diritto, con violazione dei principi di correttezza e buona fede. Il fatto, ritenevano i giudici, pur non previsto dal Contratto collettivo, e' certamente di gravità tale da comportare il venir meno del vincolo fiduciario tra lavoratore e datore, anche se l' assitenza fosse stata parzialmente fornita, senza che venisse rilevato un danno economico quantificabile.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione che pero', con la sentenza n. 9217/2016, confermava la giustezza del licenziamento: l'assistenza per la quale era stato richiesto il permesso non fu effettuata per l'orario dovuto in quanto il ricorrente si occupo' di altro. Eppure la richiesta di un permesso per assistenza presuppone, logicamente che ci si obblighi effettivamente a fornirla senza che sia lecito occuparsi proprio in quelle ore di fatti ad essa estranei.

La Corte confermava il principio di diritto secondo cui "il comportamento del prestatore di lavoro subordinato che, in relazione al permesso ex art. 33 L. n. 104/1992, si avvalga dello stesso non per l'assistenza al familiare, bensì per attendere ad altra attività, integra l'ipotesi dell'abuso di diritto, giacché tale condotta si palesa, nei confronti del datare di lavoro come lesiva della buona fede, privandolo ingiustamente della prestazione lavorativa in violazione dell'affidamento riposto nel dipendente ed integra nei confronti dell'Ente di previdenza erogatore del trattamento economico, un'indebita percezione dell'indennità ed uno sviamento dell'intervento assistenziale ".

Veniva anche respinta la lamentela circa l' utilizzo di un investigatore privato: la disposizione di legge (art. 5 L. n. 300 / 1970) che vieta gli accertamenti da parte del datore di lavoro sulle infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente, e subordina la facolta' dello stesso datore di lavoro di effettuare il controllo delle assenze per malattia solo attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali non precludono al datare medesimo di procedere ad accertare circostanze di fatto extrasanitarie che possano dimostrare l'insussistenza della malattia o la non idoneita' della malattia stessa a determinare uno stato d'incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l'assenza.

Per questi motivi la Cassazione confermava il licenziamento del lavoratore.

Daniele Zamperini







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