Quando la demenza e' indotta da farmaci
Data: Argomento: Medicina Clinica
La demenza è stata associata all'uso di varie classi di farmaci, spesso somministrati ignorandone completamente i possibili effetti sulla capacita' cognitiva.
La caratteristica essenziale della demenza è lo svilupparsi di molteplici deficit cognitivi che includono danni alla memoria e almeno uno dei seguenti disturbi cognitivi: afasia, aprassia, agnosia, o disturbo delle funzioni esecutive. Il deficit cognitivo può essere tanto grave da causare danno nel funzionamento sociale e occupazionale e deve rappresentare un declino da precedenti livelli di funzionamento più elevati. La demenza è una forma di deterioramento cognitivo cronica, insidiosa, progressiva e spesso permanente, che comprende deterioramento del pensiero, della memoria, delle capacità di apprendimento, e difficoltà nello svolgimento delle attività quotidiane, nella risoluzione dei problemi e del controllo emozionale.
La demenza da farmaci può essere la causa del danno cognitivo in circa il 12% dei pazienti con sospetta demenza, anche se manca una definizione precisa della demenza da farmaci. Negli anziani il rischio relativo di demenza da farmaci aumenta con l’aumentare del numero di farmaci assunti, variando dall’1,0 con l’uso di 0-1 farmaco al 9.3 con l’uso di 4-5 farmaci. La prevalenza della demenza indotta da farmaci non è nota, ma tra gli effetti avversi da farmaci la demenza reversibile in pazienti di 60 anni o più rappresenta il 5%.
I farmaci possono provocare danno cognitivo indirettamente, attraverso effetti metabolici, quali l’ipoglicemia, attraverso alterazioni dei fattori immunologici del SNC o interferendo con le funzioni sinaptiche. Fattori maggiori di rischio per il danno cognitivo sono innanzitutto l’età avanzata e le sepsi; inoltre: ipoalbuminemia, ospedalizzazione, stato post-operatorio, infarto miocardico, scompenso cardiaco, anemia acuta, ictus che coinvolge le strutture sottocorticali, gravi malattie croniche, procedure chirurgiche toraciche cardiache e non, chirurgia dell’aneurisma dell’aorta toracica, insufficienza renale, malattia HIV, danni del sensorio, dolore non trattato, squilibrio idroelettrolitico o acido-base, infezioni, ipossia e ipercapnia, malattia di Parkinson, depressione, livelli anormali di glucosio, ritenzione urinaria acuta, deficiti nutrizionali (vitamina B12, folati), malattie del collagene, discrasie ematiche, stipsi o diarrea, ipertermia, isolamento familiare e sociale, deprivazione di sonno, tumori, abuso di alcool o di sostanze, fattori psico-sociali o stress, ipersensibilità, danno da agenti fisici, storia di traumi cerebrali e, ovviamente, farmaci.
Il danno cognitivo indotto-da-farmaci si può categorizzare in due tipi: delirio e demenza. Il delirio indotto-da-farmaci si riferisce allo sviluppo di uno stato confusionale acuto, mentre la demenza implica più alterazioni croniche delle funzioni mentali. Il danno cognitivo indotto-da-farmaci è la causa reversibile più comune di confusione. Può essere relativo alla dose o, in alcuni casi di delirio, può essere idiosincrasico. Il danno cognitivo secondario a farmaci non psicoattivi è più probabilmente dovuto ad un meccanismo idiosincrasico. Quasi ogni classe di farmaci può causare delirio o demenza negli anziani, per le modificazioni dovute all’età, quali diversa farmacocinetica (ridotto metabolismo ossidativo, ridotta funzionalità renale etc…) e farmacodinamica. Gli anziani sono già a maggior rischio di confusione da farmaci per la ridotta riserva del sistema nervoso centrale, per la diversa perfusione cerebrale e possono avere alterazioni dei sistemi neurotrasmettitoriali, La malattia di Alzheimer e la demenza vascolare sono più comuni in questo gruppo di età e rappresentano il fattore di rischio maggiore di danno cognitivo da farmaci. La polifarmacia, sia di farmaci da prescrizione sia di quelli da banco è molto comune tra gli anziani ed aumenta il rischio di danno cognitivo. Lo squilibrio idroelettrolitico, che si verifica spesso negli anziani, può predisporre al danno cognitivo (1).
Già in una pillola precedente ci siamo interessati degli effetti avversi neurologici da farmaci, citando, tra gli altri anche i problemi cognitivi, quali demenza e delirium ed i farmaci implicati, compresi nei cosiddetti criteri di Beers per causare danno cognitivo (2). Nel 2002 la rivista “Focus”pubblicava un articolo in cui venivano riassunti i farmaci maggiormente implicati per indurre demenza e delirio (3):
Tabella. Farmaci maggiormente responsabili nel causare demenza o delirium
ANALGESICI oppioidi Particolare evidenza per petidina: possiede un metabolita attivo che si accumula in pazienti anziani con insufficienza renale ed è associato a tossicità a livello del SNC non-oppioidi L'incidenza totale è bassa e solo ad alte dosi (p. es. nell'intossicazione acuta o cronica con salicilati). Rischio più elevato con indometacina ANTICOLINERGICI L'attività anticolinergica è strettamente correlata all'insorgenza di disturbi cognitivi. Elevato rischio per atropina, scopolamina, oxibutinina, iosciamina, tolterodina ANTIDEPRESSIVI Tra i TCA, desipramina e nortriptilina hanno meno proprietà anticolinergiche di amitriptilina; da preferire gli SSRI perché meno a rischio ANTIEPILETTICI Potenzialmente tutti associati a rischio, che aumenta in caso di politerapie. Studi condotti su pazienti non anziani dimostrano come carbamazepina, fenitoina e ac. valproico siano meglio tollerati di fenobarbital e primidone. Anche farmaci più recenti (p. es. vigabatrin, gabapentin) sembrano essere associati a un minor rischio di indurre effetti sulla cognizione ANTIIPERTENSIVI Tiazidi, calcio-antagonisti, ACE-inibitori e beta-bloccanti raramente causano danni cognitivi. Maggior rischio per clonidina, metildopa e reserpina: se possibile evitarli negli anziani ANTISTAMINICI/ANTI-H1 Da preferire antistaminici di II generazione (p. es. loratadina, astemizolo). Cetirizina, anch'essa di II generazione, ha effetti sedativi intermedi ANTI-H2 Tendono tutti a causare disturbi cognitivi. L'incidenza è comunque rara; più probabile in anziani ospedalizzati e in pz. con insufficienza renale ANTIPARKINSONIANI Sono tutti potenzialmente implicati nel causare confusione/delirium. L'eziologia di questi effetti è però correlata alla progressione della malattia stessa ANTIPSICOTICI Farmaci ad alta attività anticolinergica centrale (come clorpromazina e tioridazina) sembrano peggiorare la cognizione; sono da preferire risperidone e olanzapina. Descritti stati confusionali da clozapina BENZODIAZEPINE Dosi elevate sono maggiormente associate a delirium. Gli anziani sviluppano tolleranza a questi effetti più lentamente rispetto agli individui giovani CORTICOSTEROIDI Alte dosi sono associate a danni cognitivi reversibili. Segnalazioni di casi singoli in pazienti in trattamento con prednisone in dosi da 60-100 mg FLUOROCHINOLONI Studi retrospettivi e segnalazioni di singoli casi LITIO Molti farmaci utilizzati in geriatria interagiscono con il litio e possono aumentare il rischio di tossicità (p. es. diuretici tiazidici e FANS) Partendo da questa tabella, ancora a tutt’oggi valida, cercheremo di riportare quanto emerso di nuovo, riferendoci soprattutto alla popolazione anziana. ANALGESICI OPPIOIDI Anche il tramadolo è stato associato a stato confusionale indotto da farmaci. ANALGESICI NON OPPIOIDI (FANS) Nell'Alzheimer è presente una dinamica infiammatoria che danneggia i neuroni. E’ stato quindi ipotizzato che l’uso di FANS potrebbe migliorare la condizione clinica dei pazienti. Da una metanalisi del 2003, pubblicata sul BMJ, si derivava un effetto protettivo dei FANS sul rischio di demenza (4). Da uno studio del 2008 è derivato che l’uso dei FANS riduce il rischio di demenza in generale e di M. di Alzheimer in particolare; l’effetto si manifesta solo nei pazienti portatori dell’allele e4 di APOE e non è correlato al farmaco utilizzato(5). Un altro studio ha evidenziato che l’impiego prolungato dell’antinfiammatorio ibuprofene è associato ad un più basso rischio di malattia di Alzheimer (6). ANTICOLINERGICI Ricordiamo che questa classe comprende numerosi farmaci quali antistaminici di prima generazione, antidepressivi, antispastici, ossibutina, trazodone, fenotiazine, rilassanti muscolari, midriatici, farmaci antiparkinson, alcuni antipertensivi e antiaritmici. Possono, inoltre, avere effetto anticolinergico altri farmaci, quali: codeina, colchicina, warfarin, digossina, furosemide, aloperidolo, dinitrato di isosorbide, meperidina, nifedipina, cimetidina, ranitidina, prednisolone, chinidina, e teofillina. Molti di questi farmaci sono contenuti in “prodotti da banco”. Da una metanalisi del 2014 si è concluso che i farmaci con proprietà anticolinergiche hanno effetti avversi significativi sulle funzioni cognitive e fisiche, ma esiste un’evidenza limitata per gli esiti di delirio e di mortalità (7). In uno studio recente del 2015, pubblicato su Jama, un aumento del rischio di demenza è stato osservato in persone che fanno un uso maggiore di anticolinergici. I risultati dello studio suggeriscono che chi assume un anticolinergico, come il cloruro di ossibutinina, 5 mg/d, o doxepina cloridrato, 10 mg/d per più di 3 anni avrebbe un maggiore rischio di demenza. I medici – sostengono quindi gli Autori dello studio - dovrebbero essere consapevoli di questa potenziale associazione quando considerano gli anticolinergici per i loro pazienti più anziani e dovrebbero prendere in considerazione, quando possibile, un’alternativa. Per le patologie senza alternative terapeutiche, i medici dovrebbero prescrivere la più bassa dose efficace e interrompere la terapia, se inefficace (8). ANTIEPILETTICI I nuovi farmaci antiepilettici (AED), cioè oxcarbazepina, vigabatrina, lamotrigina zonisamide, gabapentin, tiagabina topiramato e levetiracetam sono stati introdotti nella pratica clinica negli ultimi 10 anni. La maggior parte di essi sono efficaci almeno come i vecchi antiepilettici (fenitoina (dintoina), fenobarbital, acido valproico (valproato di sodio) e carbamazepina) e in generale sembrano essere meglio tollerati dei vecchi farmaci. I nuovi AED possono avere meno influenza sulle funzioni cognitive, ma questo aspetto non è stato sistematicamente studiato. In questa pubblicazione sono stati affrontati questi problemi: in generale i nuovi AED non sembrano mostrare alcun effetto cognitivo negativo o comunque esso è di grado minore in confronto a quelli osservati con i vecchi AED (9). Sembra, invece, che tra i nuovi AED il topiramato abbia maggiore incidenza di disturbi cognitivi (10-11). ANTIPERTENSIVI Lo scompenso cardiaco aumenta il rischio di demenza, ma i farmaci antipertensivi lo riducono, Queste, in sintesi, le conclusioni di questo studio osservazionale svedese del 2006 (12). Secondo uno studio dell’Erasmus Medical Center, Rotterdam, Olanda, che ha indagato l’associazione tra la durata del trattamento con farmaci antipertensivi e il rischio di demenza, rispetto al non uso, l’impiego di farmaci antipertensivi è risultato associato a un ridotto rischio di tutte le demenze ( hazard ratio aggiustato per anno di uso, HR=0.95 ). Sono state osservate riduzioni dell’8% del rischio per anno di uso per persone di età inferiore o uguale a 75 anni, mentre per le persone con più di 75 anni questa riduzione è stata del 4%. Stime equivalenti sono state osservate per la malattia di Alzheimer. Non sono state riscontrate differenze apparenti tra diversi tipi di farmaci antipertensivi (13). I beta-bloccanti, comunemente utilizzati nel trattamento dell’ipertensione pare possano ridurre il rischio di sviluppare una qualche forma di demenza o la malattia di Alzheimer, secondo uno studio presentato all’American Academy of Neurology’s nel 2013, questi farmaci potrebbero anche ridurre il rischio di sviluppare una forma di demenza o la malattia di Alzheimer. Per giungere a queste conclusioni, i ricercatori del Pacific Health Research and Education Institute di Honolulu, Hawaii, hanno reclutato 774 adulti anziani giapponesi-americani che facevano parte del Honolulu-Asia Aging Study. Di questi, 610 pazienti avevano ricevuto una diagnosi di ipertensione o erano in cura per la pressione alta. I partecipanti sono poi stati suddivisi in tre gruppi, in base al tipo di trattamento farmacologico ricevuto: gli appartenenti al primo gruppo (il 15%) avevano seguito una cura con farmaci beta-bloccanti; quelli del secondo gruppo (il 18%) un trattamento sia con beta-bloccanti sia con altri farmaci per l’ipertensione e, infine, quelli del terzo gruppo avevano assunto altri tipi di farmaci per la pressione alta. Gli scienziati, coordinati dal dottor Lon White del PHREI, hanno poi eseguito una serie di autopsie sui partecipanti nel frattempo deceduti per valutare gli effetti sul cervello di potenziali micro ictus, infarti o la malattia di Alzheimer. I risultati delle autopsie hanno mostrato che i pazienti trattati con i beta-bloccanti presentavano minori anomalie cerebrali, rispetto a coloro che avevano assunto altri tipi di farmaco per il trattamento dell’ipertensione. Coloro che avevano utilizzato sia i beta-bloccanti da soli o in combinazione con altri farmaci mostravano poi un minore restringimento del cervello (14). ANTIPARKINSONIANI La Safinamide (Xadago, Zambon) un inibitore delle MAO-B ( come selegilina e rasagilina) che è anche un modulatore dei canali del calcio ha dimostrato di avere la capacità di controllare le discinesie (movimenti involontari) e di migliorare le funzioni cognitive (mentali). BENZODIAZEPINE Secondo un ampio studio prospettico (Francia 2012) basato su popolazione di persone anziane, libere da demenza e che non usavano benzodiazepine almeno fino al terzo anno di follow-up, il nuovo uso di benzodiazepine era associato ad un rischio di demenza significativamente aumentato, approssimativamente del 50%. Questo risultato restava stabile dopo aggiustamento per potenziali fattori confondenti, inclusi il declino cognitivo prima dell’inizio delle benzodiazepine e i sintomi clinicamente significativi di depressione. Restavano robusti anche quando si raggruppavano le cinque coorti di nuovi utilizzatori di benzodiazepine durante tutto lo studio (15 anni di follow-up) e in uno studio complementare caso-controllo (15). Due studi osservazionali successivi hanno raggiunto conclusioni contrastanti circa un'eventuale associazione tra uso di benzodiazepine e demenza. Secondo il primo studio osservazionale di tipo caso-controllo pubblicato dal BMJ nel 2014, effettuato in Quebec, che ha analizzato circa 1800 anziani (età > 66 anni) a cui era stato diagnosticata una demenza (paragonati con quelli di più di 7000 controlli simili per età e sesso), l'uso di benzodiazepine da 5 a 10 anni prima della diagnosi era associato ad un aumentato rischio di demenza quando la somministrazione cumulativa superava le 90 dosi giornaliere. Non vi era, al contrario, nessuna associazione tra benzodiazepine e demenza per dosi cumulative fino a 90 dosi giornaliere. In un altro studio osservazionale più recente pubblicato sempre dal BMJ, gli autori hanno seguito per circa 7 anni 3434 anziani. Durante il follow up una demenza si è sviluppata nel 23,2% dei partecipanti. In chi assumeva benzodiazepine fino ad un mese si aveva un aumento del rischio di demenza del 25% (95%CI 3-51%) rispetto al non uso, invece chi assumeva questi farmaci per periodi più prolungati non mostrava nessun aumento del rischio (16). Allo stato, quindi, dati i risultati contrastanti degli studi, si può concludere che non possa essere affermata una associazione di tipo causa-effetto tra assunzione di benzodiazepine e demenza. INIBITORI DI POMPA PROTONICA (PPI) Recentemente due studi osservazionali hanno collegato l’uso cronico dei PPI con il rischio di demenza In un primo studio multicentrico di coorte, su database di Assistenza Primaria, dell’agosto 2015 gli autori avevano riscontrato tra coloro che assumevano PPI un significativo aumento del rischio di demenza [Hazard ratio (HR) 1.38, 95 % IC 1.04–1.83] e di Malattia di Alzheimer (HR 1.44, 95 % IC 1.01–2.06) rispetto ai non consumatori di PPI. In un secondo studio prospettico di coorte è stata esaminata l’associazione tra uso di PPI e rischio di incidenza di demenza negli anziani. Sono stati utilizzati i dati osservazionali dal 2004 al 2011, derivati dalla più grande assicurazione sanitaria tedesca, la Allgemeine Ortskrankenkassen (AOK). I dati sulle diagnosi e sui farmaci prescritti erano disponibili su base trimestrale. L’analisi è stata realizzata tra Agosto e Novembre 2015. L’esposizione era relativa alle prescrizioni di : omeprazolo, pantoprazolo, lansoprazolo, esomeprazolo, o rabeprazolo. L’esito principale era la codifica diagnostica di demenza incidente. E’ stato analizzato un totale di 73.679 partecipanti di 75 anni o più, liberi da demenza al basale. I pazienti che avevano assunto regolarmente PPI (n = 2.950; età media 83.8 [5.4] anni; 77.9% femmine) avevano un rischio di incidenza di demenza significativamente aumentato, rispetto ai pazienti che non avevano assunto PPI (n = 70.729; età media 83.0 [5.6] anni; 73.6% femmine) (hazard ratio, 1.44 [95% IC, 1.36-1.52]; P < .001) (17). TERAPIA ORMONALE SOSTITUTIVA (TOS) La TOS può peggiorare la funzione cognitiva; ciò appare associato in modo più evidente alle terapie ormonali caratterizzate da formulazioni estroprogestiniche. Lo studio WHI ha analizzato il rischio di un deterioramento della funzione cognitiva in donne randomizzate a estrogeni da soli o a placebo (sottostudio WHI histerectomy) e in donne radomizzate a estro progestinici in formulazioni continue o a placebo (sottostudio WHI non histerectomy). In particolare sono stati considerati i seguenti outcome: funzione cognitiva globale, deterioramento grave della funzione cognitiva globale, deterioramento lieve della funzione cognitiva, rischio di demenza. Sia nelle donne WHI histerectomy sia in quelle WHI non histerectomy la terapia ormonale è risultata associata a un decadimento non significativo della funzione cognitiva globale, mentre non è risultata associata a un incremento del rischio di decadimento cognitivo lieve. Per quanto riguarda l’outcome “deterioramento grave della funzione cognitiva (> 2SD)”, nelle donne WHI histerectomy non è stato rilevato un aumento del rischio. Invece, nelle donne randomizzate a formulazioni estroprogestiniche continue o a placebo (WHI non histerectomy) il rischio di deterioramento grave è risultato significativamente aumentato: RR = 1,57 (1,10-2,24). Il rischio di demenza è stato analizzato nello studio WHI solo nelle donne di età superiore a 65 anni. Nelle pazienti WHI histerectomy non è stato rilevato un maggior rischio di demenza. Invece, nelle donne randomizzate a formulazioni estroprogestiniche continue o a placebo (WHI non histerectomy) il rischio di demenza è risultato significativamente aumentato: RR = 1,97 (1,16-3,33). Un’altra metanalisi ha cercato evidenze a sostegno di una qualche efficacia della TOS sulle funzioni cognitive di donne in buone condizioni di salute. Gli autori riportano che alcuni studi di piccole dimensioni elaborati da un unico gruppo di ricerca hanno rilevato in donne giovani (< 47 anni) in menopausa chirurgica un miglioramento di alcune funzioni di memoria verbale (ricordi a brevissimo termine, ragionamento astratto, accuratezza e velocità di ideazione) dopo tre iniezioni mensili di 10 mg di estradiolo. La metanalisi non ha però dimostrato l’esistenza di ruoli clinicamente rilevanti della TOS sulle funzioni cognitive (18). Fonti: 1. Definition of Drug-Induced Cognitive Impairment in the Elderly. Donna M. Lisi e coll. http://www.medscape.com/viewarticle/408593_print 2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6444 3. http://www.farmacovigilanza.org/focus/200208/ 4. Effect of non-steroidal anti-inflammatory drugs on risk of Alzheimer's disease: systematic review and meta-analysis of observational studies Etminan M e coll. BMJ. 2003 Jul 19;327(7407):128. 5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=3748 6. Protective effects of NSAIDs on the development of Alzheimer disease. Vlad S.C, e coll. Neurology, 2008.70. 1672-1677 7. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6205 8. Cumulative Use of Strong Anticholinergics and Incident DementiaA Prospective Cohort Study. Gray S.L. e coll. JAMA Intern Med. 2015;175(3):401-407. 9. Effect of Antiepileptic Drugs on Cognitive Function in Individuals with EpilepsyA Comparative Review of Newer Versus Older Agents. Brunbech L. e coll. Drugs 2002, 62:593-604 10. http://www.farmacovigilanza.org/corsi/060115-05.asp 11. http://www.ssfa.it/allegati/Focus%20gennaio%202014.pdf 12. Heart Failure and Risk of Dementia and Alzheimer Disease. Chengxuan Qiu e coll. Arch Intern Med 2006; 166: 1003-1008 13. Duration of antihypertensive drug use and risk of dementia. A prospective cohort study.Haag e coll., Neurology 2009;72: 1727-1734 14. Beta-Blockers Linked to Fewer Alzheimer's Lesions White L. e coll.American Academy of Neurology's 65th Annual Meeting. Abstract 2171. Released January 7, 2013. 15. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5669 16. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6491 17. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6499 18. Terapia ormonale sostitutiva in menopausa. CrItical appraisal. Alessandro Battaggia e Raffaella Michieli. Rivista SIMG n. 4 2007 A cura di Patrizia Iaccarino
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