La Corte Costituzionale (n. 213/2016) ha esteso i benefici della L. 104/92 anche ai conviventi delle persone affette da disabilita', per cui i permessi dal lavoro non sono piu' limitati ai coniugi e parenti fino al secondo grado, ma anche ai partner non sposati dei disabili.
Daniele Zamperini
La Consulta ha anche espresso un principio generale che andra' preso in considerazione in sede interpretativa: il diritto alla salute psico-fisica di ogni cittadino con handicap va garantito e tutelato "sia come singolo che in quanto facente parte di una formazione sociale", intesa come "ogni forma di comunità, semplice o complessa, idonea a consentire e favorire il libero sviluppo della persona nella vita di relazione".
In base a tale principio e' considerata incostituzionale la limitazione dei benefici ai soli coniugi e parenti di secondo grado.
Nel caso specifico dei conviventi non sposati l' affermazione e' categorica: "e' irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile ... non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità".
Secondo la sentenza della Corte l’esclusione dei conviventi dal beneficio di permesso dal lavoro e assistenza al cittadino con handicap viola gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione.
I benefici:
La Legge 104 del 5 febbraio 1992 stabilisce all’art. 33 che "il lavoratore dipendente, pubblico o privato, che assiste persona con handicap in situazione di gravità", con grado di parentela fino al secondo grado, "ha diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito".
Il diritto è esteso ai parenti entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano compiuto i sessantacinque anni di età oppure siano anch’essi affetti da patologie invalidanti. Il beneficio, tuttavia, "non può essere riconosciuto a più di un lavoratore dipendente per l’assistenza alla stessa persona" e puo' subire limitazioni in base ad altri parametri.
Daniele Zamperini