Il lavoratore puo' essere licenziato per malattia sia quando supera il cosiddetto "comporto" (il numero dei giorni al di sotto dei quali l’azienda non può licenziare il dipendente che si assenta per malattia) sia quando, non superando il comporto, "spezzetta" in modo eccessivo le assenze. Inoltre, attenzione: nel calcolo dei giorni di comporto vanno incluse le festivita' intercorrenti Cassazione n. 18678/2016 e n. 24027/2016)
Licenziamento per scarso rendimento
Assenze frequenti e regolari, anche senza superamento del periodo di comporto possono comportare. come avallato da alcune recenti sentenze della Cassazione, di "licenziamento per scarso rendimento".
Il licenziamento per scarso rendimento e' legittimo quando il dipendente di un’azienda ha un livello di efficienza medio molto basso rispetto ai colleghi e ai parametri chiaramente fissati dal datore di lavoro, mostrando scarsa produttivita' per un periodo lungo e continuato.
I parametri devono essere però oggettivi e quantificabili: il licenziamento non è infatti legittimo quando il datore di lavoro dichiari semplicemente che il dipendente non abbia raggiunto gli obiettivi aziendali.
Licenziamento per superamento del comporto
Il periodo di comporto, che viene stabilito caso per caso dai contratti nazionali, è il numero dei giorni al di sotto dei quali l’azienda non può licenziare il dipendente che si assenta per malattia.
Superato il periodo di comporto, però, il lavoratore è licenziabile senza bisogno che il datore di lavoro fornisca particolari motivazioni o giuste cause: e' sufficiente elencare nella lettera di licenziamento il numero dei giorni di assenza.
La giurisprudenza oggi
La giurisprudenza negli ultimi anni si sta orientando decisamente verso la possibilità di licenziare il dipendente che, pur non superando il periodo di comporto, si assenta spesso e per questo motivo ha un rendimento molto più basso di quello dei suoi colleghi.
Si veda ad esempio la sentenza n. 18678/2016 della Corte di Cassazione: le "sistematiche assenze" del lavoratore, "per un numero esiguo di giorni" e "costantemente agganciate ai giorni di riposo", possono causare una prestazione lavorativa nel complesso "non sufficientemente e proficuamente utilizzabile per la società". In questo caso, il licenziamento del dipendente è del tutto legittimo.
Il licenziamento senza superamento del comporto rende pero' necessario, per l' azienda, dimostrare di aver subito un danno a causa delle reiterate assenze del dipendente.
La dimostrazione della scarsa efficienza del lavoratore in questione rispetto ai colleghi e ai parametri fissati deve attenersi, come nei casi non imputabili alle troppe assenze, a criteri oggettivi e quantificabili. In caso contrario, anche grazie alla nuove norme introdotte con il Jobs Act, il dipendente può essere immediatamente reintegrato per legge al’interno dell’azienda.
Per il calcolo del comporto pero', vanno conteggiati i giorni non lavorativi cadenti nel periodo di assenza per malattia, dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso.
Non e' consentito al lavoratore, in altre parole, ripetute assenze con certificazioni che chiudono la malattia il venerdi' e la riaprono il lunedi'. In questi casi i giorni non lavorativi compresi nei certificati vanno conteggiati dovendosi presumere la continuità dell'episodio morboso.
Questo e' stato recentemente affermato dalla Cassazione (sentenza n. 24027/2016) nel caso di un lavoratore licenziato appunto per superamento del comporto dovuto al calcolo anche dei giorni festivi intra-certificato).
La presunzione di continuita' della malattia, dice la Corte, opera sia per le festività ed i giorni non lavorativi che cadano nel periodo della certificazione, sia nella diversa ipotesi di certificati in sequenza di cui il primo attesti la malattia sino all'ultimo giorno lavorativo che precede il riposo domenicale (ossia fino al venerdì) ed il secondo la certifichi a partire dal primo giorno lavorativo successivo alla domenica (ovvero dal lunedì).
La prova idonea a smentire la suddetta presunzione di continuità puo' essere costituita soltanto dalla dimostrazione dell'avvenuta effettiva ripresa dell'attività lavorativa.
Il calcolo dei giorni di assenza, quindi, va effettuato in base a questi criteri.
Guido Zamperini