Lo scompenso cardiaco con funzione sistolica conservata
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Argomento: Medicina Clinica




Una breve sintesi sulla diagnosi e sulla terapia dello scompenso cardiaco con funzione sistolica conservata



 E’ stata recentemente pubblicata, sul New England Journal of Medicine, una interessante review sullo scompenso cardiaco con funzione sistolica preservata (SCFSP), inteso come frazione di eiezione (FE) maggiore o uguale al 50%, con valori tra 40 e 49% considerabili in molti casi come SCFSP. 

Tale patologia, presente in circa il 50% degli scompensati, è associata, in studi osservazionali, ad una frequenza di ospedalizzazioni e morte simile a quella dello scompenso con funzione sistolica ridotta, mentre nei randomizzati gli esiti sono migliori, tranne la mortalità non cardiovascolare.

Il modello fisiopatologico tradizionale dello SCFSP è quello ipertensivo, caratterizzato da sovraccarico ventricolare che porta a ipertrofia ventricolare, rimodellamento fibrotico, rigidità arteriosa e ventricolare, disfunzione diastolica, ipertensione atriale sinistra e ipertensione polmonare. La disfunzione diastolica può essere presente a riposo o indotta da stress, ad esempio sforzo fisico, tachicardia, ipertensione. Tale condizione provoca elevata sensibilità al carico, che può manifestarsi con edema polmonare a rapido esordio in caso di aumento o ipotensione importante in caso di riduzione, ad esempio da diuretici. Contribuiscono alla ridotta capacità funzionale l’inefficacia cronotropa, la minore riserva funzionale diastolica, e anche sistolica, l’inefficiente utilizzo dell’ossigeno a livello muscolare. 

Un modello emergente considera invece basilare la presenza di condizioni pro infiammatorie coesistenti, cardiovascolari e non cardiovascolari, ad esempio ipertensione, obesità, diabete, sindrome metabolica, malattie polmonari, fumo, sideropenia, che portano a infiammazione endoteliale sistemica, flogosi miocardica e muscolo-scheletrica con conseguente fibrosi e, a causa dello stress ossidativo, ipertrofia cardiomiocitaria e rigidità delle miofibrille. 

Lo SCFSP deve essere sospettato, in presenza di sintomi e segni compatibili,in soggetti con fattori di rischio, quali età di oltre 60 anni, condizioni coesistenti, precedenti ospedalizzazioni per scompenso cardiaco. 
Il processo diagnostico deve prevedere la diagnosi differenziale nei confronti di altre condizioni dispnoiche quali ad esempio l’ischemia miocardica transitoria o la BPCO.

L’ecocardiografia consente la diagnosi quando, oltre ad una FE di almeno il 50%, evidenzia alterazioni strutturali, soprattutto ipertrofia ventricolare sinistra, e funzionali. Peraltro la disfunzione diastolica può essere presente in pazienti non scompensati e assente in scompensati trattati aggressivamente o affetti soprattutto da dispnea da sforzo. 

L’eco-Doppler cardiaco evidenzia spesso ipertensione polmonare (> 35 mmHg) e, in circa il 20-30% dei soggetti, disfunzione ventricolare destra, spesso associata a fibrillazione atriale, aritmia molto comune in tale contesto, potendo precedere, essere concomitante o successiva all’esordio dello SCFSP. 

Alterazioni radiografiche toraciche sono presenti in acuto ma non necessariamente nei pazienti stabili.

I valori dei peptidi natriuretici sono più bassi rispetto agli scompensati con ridotta FE e, in percentuali che possono raggiungere il 30%, possono essere normali, in particolare negli obesi o nei soggetti con dispnea esclusivamente da sforzo. 

In pazienti selezionati sono necessari esami di secondo livello come test da sforzo, angiografia coronarica, test cardio-polmonare, cateterismo dell’arteria polmonare, scintigrafia miocardica o risonanza magnetica, nel sospetto di cardiomiopatia infiltrativa (amiloidosi) o infiammatoria (sarcoidosi). Nei pazienti con ricorrenti edemi polmonari si dovrebbe ricercare una stenosi dell’arteria renale.

La terapia dello SCFSP si basa soprattutto sulla riduzione della ritenzione idrosalina, quando presente, sul trattamento delle condizioni coesistenti e, come per lo scompenso con ridotta FE, sull’educazione del paziente all’autogestione. 

Trial con ACE-inibitori o sartani non hanno dimostrato di ridurre gli end- point clinici di mortalità, cardiovascolare o totale, e ospedalizzazione per scompenso cardiaco. 
Lo spironolattone ha ridotto le ospedalizzazioni ma non la mortalità totale o cardiovascolare, aumentando invece l’incidenza di nefropatie e iperpotassiemia. Sui betabloccanti non sono disponibili studi metodologicamente adeguati. I nitrati non hanno dimostrato utilità nel miglioramento dei sintomi.

I diuretici dovrebbero usati nei soggetti con sovraccarico di volume. In caso di risposta insufficiente ad alte dosi si può usare il metolazone, simil-tiazidico, somministrato prima del diuretico dell’ansa, anche in modalità intermittente. Essenziale è il controllo scrupoloso di potassio, sodio e funzione renale. In alcuni casi è necessaria l’infusione di diuretico ev. La restrizione sodica (< 2 g/die) può essere utile in soggetti con elevata ritenzione idro-salina e comunque in generale si deve evitarne il sovraccarico (> 6 gr/die).

Importante è il controllo delle condizioni coesistenti, in particolare dell’ipertensione (non disponibile un target specifico per i pazienti con SCSFP, si considera in generale valida una PA < 150/90 negli over 60 e < 140/90 in presenza di nefropatia o diabete). Pazienti con coronaropatie dovranno ricevere la terapia medica secondo le linee guida attuali, la rivascolarizzazione può essere presa in considerazione nei pazienti sintomatici. Nei casi in cui la fibrillazione atriale provoca un peggioramento dei sintomi dello scompenso può essere utile la strategia di controllo del ritmo anziché della frequenza. La riduzione di peso negli obesi e il controllo di eventuali malattie polmonari e della sindrome delle apnee notturne sono sicuramente utili.



A cura di Giampaolo Collecchia



Bibliografia

Solomon CG. Heart Failure with preserved ejection fraction. N Engl J Med 2016; 375: 1868-77.







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