Una breve sintesi sul trattamento dell'infezione da HIV, ad uso dei Medici di Famiglia, spesso trascurati dall' informazione sulla materia
Un recente lavoro pubblicato dal Lancet [1], basato sull'analisi di 14 studi di coorte effettuati in Nord America ed in Europa, ha evidenziato come la disponibilità di terapie antiretrovirali combinate abbia significativamente aumentato la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti con infezione da HIV. L'aspettativa di vita media di un paziente infetto di 20 anni era di circa 16 anni nel 1996 ed è diventata di quasi 30 anni nel 2005. Indubbiamnete quindi ci sono stati molti progressi nella comprensione e nel trattamento dell'AIDS in quest'ultimo decennio. Anche se la gestione di questi pazienti è abbastanza complessa e richiede l'intervento di strutture specializzate è opportuno che il medico di famiglia sia a conoscenza di alcuni aspetti della terapia. Cercheremo quindi di fornire un quadro sulle attuali linee guida di terapia, anche se necessariamente sommario e incompleto. Le ultime linee guida sono state presentate a Città del Messico in occasione della XVII conferenza Internazionale sull'AIDS e contemporaneamente pubblicate da JAMA [2].
Quando iniziare la terapia?
La terapia va iniziata nei pazienti con sintomi ed in quelli asintomatici quando la conta dei linfociti CD4 è inferiore a 350/μL. Per valori di CD4 di 350/μL o superiori la terapia deve essere attentamente considerata e personalizzata: per esempio deve essere iniziata se la conta virale è superiore a 100.000 copie per mL oppure se l'infezione appare in progressione (diminuzione di più di 100 CD4 all'anno), o ancora se il paziente ha un rischio cardiovascolare elevato, una coinfezione da HBV o da HCV o se coesiste una nefropatia.
Quali sono i farmaci antiretrovirali disponibili?
Attualmente sono disponibili numerosi farmaci antiretrovirali classificabili schematicamente come esemplificato nella tabella che segue. In commercio sono anche disponibili numerose associazioni fisse che se da un lato facilitano la compliance al trattamento dall'altro possiedono meno flessibilità di dosaggio.
Inibitori nucleosidici della transcriptasi inversa (NRTI)
Questi farmaci agiscono inibendo la transcriptasi inversa dell'HIV e di conseguenza impediscono o riducono la replicazione del virus. Essi sono costituiti da: abacavir, didanosina, lamivudina, emtricitabina, stavudina zalcitabina, zidovudina o AZT. I loro principali effetti collaterali sono rappresentati da iperlipemia, accumulo di grasso addominale, lipoatrofia periferica, steatosi epatica e acidosi lattica.
Inibitori nucleotidici della transcriptasi inversa
Agiscono come i precedenti; in pratica sono dei nucleosidi fosforilati. Sono costituiti essenzialmente dal tenofovir. L'effetto collaterale più frequente è la tossicità renale per cui le dosi devono essere ridotte nei pazienti con insufficienza renale.
Inibitori non nucleosidici della transcriptasi inversa (NNRTI)
Questi farmaci agiscono inibendo direttamente la transcriptasi inversa dell'HIV. In casi di resistenza dell'HIV agli NRTI, gli NNRTI possono essere attivi anche se sono stati segnalati molti casi di resistenza crociata. I principali farmaci di questa classe sono: delavirdina, efavirenz, nevirapina. Gli effetti collaterali più segnalati sono di tipo cutaneo, talora anche gravi.
Inibitori delle proteasi (PI)
Questi farmaci agiscono inibendo le proteasi e quindi impedendo la maturazione dell'HIV, la trasmissione ad altre cellule e la replicazione. Essi sono rappresentati da: amprenavir, atazanavir, darumavir, fosamprenavir, indinavir, ritonavir, lopinavir (disponibile in associazione al precedente), tipranavir, saquinavir. Gli effetti collaterali principali sono rappresentati da disturbi gatroenterici, iperlipemia, iperglicemia, accumulo di grasso addominale, lipoatrofia periferica, cardiopatia ischemica, epatotossicità.
Inibitori della fusione
Questi farmaci inibiscono la fusione tra la parete dell'HIV e quella della cellula, fase necessaria perchè il virus possa infettare. Questa classe è rappresentata essenzialmente da efuvirtide che si somministra per via sottocutanea e può provocare reazioni locali, eosinofilia, polmoniti, reazioni da ipersensibilità.
Recentemente sono stati approvati nuovi farmaci per il trattamento dell'HIV. Il maraviroc è il primo di una nuova classe che va a colpire il co-recettore della parete cellulare CCR5; il raltegravir è un inibitore della integrase; l'etravirine è un NNRTI di seconda generazione attivo contro l'HIV resistente agli NNRTI di prima generazione.
Come iniziare il trattamento?
Prima di iniziare il trattamento si consiglia di eseguire dei test di resistenza dell'HIV ai farmaci, inoltre di dosare, oltre al numero dei CD4, anche la carica virale determinando i livelli di HIV-RNA. Quest'ultimo dato è importante perchè se durante la terapia si assiste ad un improvviso aumento della carica virale questo è, di solito, il segno che il virus ha sviluppato resistenza ai farmaci usati per cui è necessario passare ad altri.
Per i pazienti che non hanno una infezione da HIV resistente la terapia di prima scelta è costituita da un NNRTI oppure da un PI potenziato con ritornavir (ritornavir boosted PI) + due NRTI.
In caso di pazienti resistenti o di fallimento del regime di prima linea la scelta dello schema da usare deve basarsi sui risultati dei test di resistenza dell'HIV.
La complessità della scelta e l'esistenza di molte interazioni tra i vari antiretrovirali (sia tra di loro che con altri farmaci) rende necessario che la terapia e la gestione sia demandata a medici esperti dell'argomento e con lunga esperienza nel trattamento di pazienti con infezione da HIV.
Prevenzione della trasmissione madre-figlio
Attualmente si consiglia di somministrare alla madre per tutta la gravidanza un' associazione comprendente zidovudina + un altro NRTI + un PI oppure nevirapina. Se la madre non era in trattamento si consiglia di iniziare la terapia profilattica dopo la 10° settimana di amenorrea. In caso di travaglio con partoriente mai trattata la prevenzione si basa sulla somministrazione alla madre e al neonato di zidovudina, lamivudina, nevirapina secondo schemi variabili.
Per ridurre il rischio di trasmissione con l'allattamento materno si consiglia di ricorrere al latte di formula. Qualora questo non fosse possibile per motivi economici, come per esempio accade nei paesi poveri, si raccomanda l'allattamento al seno per sei mesi, mentre il bambino deve essere trattato con nevirapina per sei settimane. Tuttavia uno studio recente suggerisce che il periodo di trattamento dovrebbe essere più prolungato [3].
Renato Rossi (pillole.org)
Referenze
1. The Antiretroviral Therapy Cohort Collaboration. Life expectancy of individuals on combination antiretroviral therapy in high-income countries: a collaborative analysis of 14 cohort studies. Lancet 2008 Jul 26; 372:293-399
2. Hammer SM et al. Antiretroviral Treatment of Adult HIV Infection. 2008 Recommendations of the International AIDS Society–USA Panel. JAMA 2008 Aug 6;300(5):555-570.
3. Six Week Extended-Dose Nevirapine (SWEN) Study Team. Extended-dose nevirapine to 6 weeks of age for infants to prevent HIV transmission via breastfeeding in Ethiopia, India, and Uganda: an analysis of three randomised controlled trials. Lancet 2008 Jul 26; 372: 300-313.