Serve lo sceening col PSA? Lo studio CAP
Data:
Argomento: Medicina Clinica


 


 Lo studio britannico CAP, effettuato con un singolo dosaggio del PSA, suggerisce che lo screening non riduce la mortalità da cancro prostatico mentre comporta un aumento delle diagnosi di forme a basso rischio. 


 Lo studio britannico recensito in questa pillola, denominato CAP (Cluster Randomized Trial of PSA Testing for Prostate Cancer) adottava una metodologica di screening del cancro prostatico particolare, diversa da quella degli studi precedenti, perchè il dosaggio del PSA veniva eseguito una sola volta.

Nello studio sono stati arruolati 419.582 uomini di età compresa tra 50 e 69 anni asintomatici.
I partecipanti sono stati suddivisi, in maniera randomizzata, in due gruppi: un gruppo veniva invitato ad essere sottoposto ad un singolo dosaggio del PSA mentre l'altro gruppo fungeva da controllo. 
L'endpoint primario dello studio era rappresentato dalla mortalità da cancro postatico ad un follow up di 10 anni. Tra gli endpoint secondari figurava anche la mortalità totale. 
Una diagnosi di cancro prostatico venne posta nel 4,3% del gruppo screenato e nel 3,6% del gruppo controllo.
La mortalità da cancro prostatico non differiva tra i due gruppi. Anche la mortalità totale non era diversa tra il gruppo screenato e quello non screenato.
Nel gruppo screenato si ebbe un maggior numero di diagnosi di cancro prostatico con score di Gleason inferiore o uguale a 6. 
Gli autori concludono che un singolo dosaggio del PSA come test di screening non riduce la mortalità da cancro prostatico in un periodo di 10 anni, mentre comporta la diagnosi di un maggior numero di tumori a basso rischio.

Che dire?

Lo studio non supporta uno screening con PSA eseguito con una modalità insolita (un singolo dosaggio del PSA), diversa da quella adotatta dai due maggiori trials precedenti (lo studio europeo ERSPC e quello americano PLCO) in cui venivano eseguiti dosaggi periodici del PSA [2].
Questi due trials avevano dato risultati contrastanti: mentre nello studio americano non si ebbe nessuna riduzione della mortalità specifica in quello europeo lo screening risultava associato ad una riduzione della mortalità specifica del 20%.
Una metanalisi successiva di sei RTC (compresi ERSPC e PLCO) suggeriva che lo screening mediante dosaggio del PSA aumenta la probabilità di incorrere in una diagnosi di cancro prostatico del 46% ma non riduce la mortalità specifica nè quella totale [3].
Questi risultati venivano confermati da uno studio norvegese del 2011, seppur con meno di 10.000 soggetti arruolati [4].
Tuttavia i dati presenti i letteratura sono constrastanti. Per esempio lo studio di Goteborg, un RCT in cui erano stati arruolati circa 20.000 soggetti, suggeriva che lo screening dimezza la mortalità da cancro prostatico [5].

La United States Preventive Services Task Force, che nel 2012 sconsigliava lo screening, nel 2017, prendendo atto che lo screening può ridurre la mortalità specifica e il rischio di metastasi, ma, nello stesso tempo, è gravato da falsi positivi, biopsie prostatiche, sovradiagnosi e sovratrattamento con le possibili conseguenze (impotenza, incontinenza), consigliava di discutere con il paziente di età compresa tra i 55 e i 69 anni i benefici, ma anche i rischi, dello screening stesso e di personalizzare ogni decisione in accordo con le preferenze del paziente stesso.

Una nuova analisi dei due maggiori studi [5] argomentava che quando si valutano i dati bisogna considerare che nello studio americano (PLCO) nel gruppo controllo vi fu una percentuale elevata di soggetti che si sottopose comunque allo screening con PSA anche se si trovava nel gruppo "no screening".
Se si tiene conto di questo si vede che in realtà i risultati dei due studi non sono contrastanti: si può stimare che lo screening riduce il rischio di mortalità per cancro prostatico in 11 anni del 25-31% nello studio europeo (ERSPC) e del 27-32% nello studio americano (PLCO).

Lo studio CAP, l'ultimo arrivato, ha sicuramente arruolato un gran numero di soggetti, ma non permette di trarre conclusioni definitive. 
Infatti i fautori dello screening hanno gioco facile nel criticare la modalità scelta che si limitava ad un solo dosaggio del PSA, il che porta a ridurne l'efficacia rispetto a dosaggi periodici nel tempo.
Un altro punto da sottolineare è che il follow up è stato di 10 anni, un periodo che potrebbe essere troppo breve per evidenziare i benefici dello screening. Comunque gli autori del CAP ricordano che il follow up continua.

In conclusione: la questione rimane ancora controversa e ci sembra sia valido quanto consiglia la USPSF (illustrare al paziente benefici e rischi dello screening e lasciargli la scelta finale).

Renato Rossi

Bibliografia
1. JAMA 2018 March 6; 319:883-895.
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4554
3. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5124
4. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5211
5. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5095







Questo Articolo proviene da Scienza e Professione - (Daniele Zamperini Medico)
http://www.scienzaeprofessione.it

L'URL per questa storia è:
http://www.scienzaeprofessione.it/modules.php?name=News&file=article&sid=1707