Uno studio restrospettivo suggerisce che nei pazienti che hanno avuto una fibrillazione atriale risolta, con successivo rispristino del ritmo sinuale, il rischio di eventi tromboembolici rimane elevato.
In alcuni casi la fibrillazione atriale si può risolvere (spontaneamente o con intervento terapeutico) con il rispristino del ritmo sinuale.
Ma qual è il rischio di complicanze tromboemboliche e qual è la mortalità in questi pazienti rispetto a quelli nei quali la fibrillazione atriale non si risolve e rispetto ai soggetti che non hanno mai avuto questa aritmia?
Per determinarlo è stato effettuato uno studio retrospettivo di coorte [1] che ha preso in esame più di 48.000 soggetti di età >/= 18 anni: circa 11.000 avevano avuto un episodio risolto di fibrillazione atriale, poco più di 15.000 avevano una fibrillazione atriale non risolta e oltre 22.000 non avevano mai avuto tale aritmia.
Si è visto che l'incidenza di ictus o TIA era minore del 24% rispetto ai soggetti che avevano ancora l'aritmia, ma era maggiore del 63% rispetto a chi non aveva mai sofferto di
fibrillazione atriale.
La mortalità totale risultava minore del 40% rispetto a chi aveva l'aritmia ma maggiore del 13% rispetto a chi non l'aveva.
Anche escludendo i pazienti con fibrillazione atriale risolta ma con documentati episodi ricorrenti l'incidenza di ictus o TIA risultava maggiore del 45% rispetto a chi era indenne
dall'aritmia.
Gli autori concludono che la fibrillazione atriale risolta è un importante fattore di rischio per ictus o TIA anche nei soggetti in cui non ci sono episodi documentati di aritmia ricorrente. Per questo motivo le linee guida dovrebbero prevedere l'uso continuo dell'anticoagulazione anche in questi casi.
Che dire?
I risultati di questo studio retrospettivo sono in parte scontati: era da prevedere che la fibrillazione atriale risolta comporti meno rischi rispetto ad una fibrillazione atriale cronica ma che, nello stesso tempo, in questi pazienti il rischio sia maggiore rispetto a chi non ha mai sofferto di questa aritmia.
Attualmente le linee guida prevedono che, nella scelta se usare o meno una terapia anticoagulante, si debba previlegiare il rischio tromboembolico globale del paziente e non tanto il tipo di fibrillazione atriale (parossistica, persistente o permanente).
L'anticoagulazione va attuata quando lo score del CHA2DS2-VASc è uguale o superiore a 2
[2]. Nei soggetti con punteggio uguale a 1 l'anticoagulazione dovrebbe essere presa in considerazione mentre se lo score è uguale a zero l'anticoagulazione potrebbe non essere necessaria.
I parametri considerati dal CHA2DS2-Vasc sono riassunti nella tabella sottostante.
Età: 65-75 anni 1 punto; >/= 75 anni 2 punti
Sesso femminile 1 punto
Storia di scompenso cardiaco 1 punto
Storia di ipertensione 1 punto
Storia di ictus, TIA o tromboembolismo 2 punti
Storia di malattia vascolare 1 punto
Diabete 1 punto
Teoricamente un paziente maschio di 62 anni che abbia avuto un singolo episodio documentato di fibrillazione atriale con successivo rispristino del ritmo sinuale, non iperteso, non diabetico e senza storia di scompenso cardiaco e di ictus/TIA/tromboembolismo potrebbe
anche essere lasciato senza anticoagulante.
Tuttavia lo studio di Adderley e coll. suggerisce che anche in questo paziente il rischio di un evento cardioembolico non è trascurabile e comunque è maggiore rispetto a chi non ha
mai avuto una fibrillazione atriale.
Nel decidere quale strategia intraprendere (ovvero se prescrivere o meno un anticoagulante) oltre alle tabelle e ai punteggi si possono fare altre considerazioni e valutare altri
parametri.
Per esempio, anche se non sono documentati, non sappiamo se in questo paziente ci siano stati altri episodi di fibrillazione clinicamente silente, nè sappiamo se ne
potranno esserci in futuro. Quindi, in realtà la stima del rischio è solo approssimativa e potrebbe essere minore di quanto non sia in realtà.
Nella decisione, inoltre, sarà opportuno considerare altri parametri, per esempio le dimensioni dell'atrio sinistro. In caso di atrio sinistro dilatato il rischio di recidive aumenta e lasciare il paziente senza anticoagulante potrebbe rivelarsi non privo di conseguenze.
D'altra parte nessuna terapia è priva di effetti collaterali e quelli degli anticoagulanti sono ben noti e possono essere gravi (emorragie gastrointestinali e cerebrali).
La decisione in questo particolare paziente non appare quindi semplice: chi scrive ritiene che necessariamente debba essere coinvolto il paziente e che la sua scelta debba poi essere chiaramente esplicitata e documentata, se non altro a fini medico-legali.
Renato Rossi
Bibliografia
1. Adderley NJ et al. Risk of stroke and transient ischaemic attack in patients with a diagnosis of resolved atrial fibrillation: retrospective cohort studies. BMJ 2018 May 9;
361:k1717
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6095