Non sempre "Less is more”
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Argomento: Pensieri e opinioni professionali




La frase (la cui paternita' e' dibattuta e che letteralmente significa che "meno e' meglio") indicherebbe che l' essenziale conta piu' di quanto poi ci venga costruito sopra. Tuttavia non deve essere un dogma in quanto a volte puo' essere vero, ma a volte no,  e spesso non lo sappiamo 


 Le malattie e le condizioni di rischio sono quasi sempre fenomeni quantitativi, che si presentano come processi o continuum, con diverse gradazioni, piuttosto che come fenomeni categoriali o qualitativi. Le eccezioni sono rarissime e principalmente limitate a malattie genetiche causate da singoli geni ad alta penetranza [1]. Per questo, le diagnosi non esistono in natura, ma sono costruzioni mentali, artificiali, non definitive ma storicizzate, in funzione di parametri epidemiologici ma anche socio-culturali, talvolta ideologici. Si utilizzano per convenienza operativa, lo scopo principale è soprattutto quello di descrivere il paziente in quanto oggetto di cura, anche se in realtà non c’è quasi mai perfetta corrispondenza tra il problema del singolo individuo come persona e la categoria nosografica nella quale viene inserito [2 ] .
Come descritto nella magistrale analisi sulla sovradiagnosi svolta in una pillola precedente (vedi nota bibliografica [3]) , l’arbitrarietà nella scelta delle soglie di rischio e di malattia ha contribuito a determinare il fenomeno della medicalizzazione, una narrazione tra le più dirompenti degli ultimi decenni, che ha prodotto congressi, testi, articoli sulle rivista più prestigiose, iniziative formative, movimenti, come ad esempio, nel nostro paese, il progetto culturale dello CSeRMEG [4] e di Slow Medicine [5]. 

 Per offrire anche altri punti di vista, potremmo dire “dissidenti”, riportiamo brevemente il pensiero di Lisa Rosenbaum, autorevole cardiologa e giornalista, presentato in un articolo pubblicato a fine 2017 sul New England Journal of Medicine [6 ] . L’autrice elenca i rischi associati, a suo dire, ad un atteggiamento troppo superficiale e bellicoso nei confronti del fenomeno della sovra medicalizzazione, riportando studi clinici e osservazioni a sostegno della sua opinione. Ciò ha provocato la sollecita risposta di alcuni tra i maggiori esperti di sovra diagnosi e sovratrattamento [7,8 ]. 

Per quanto riguarda in particolare la sovra diagnosi, la Rosenbaum fa l’esempio del dosaggio della troponina ad alta sensibilità, la cui identificazione di alterazioni minime, indicative di una possibile necrosi, ha sicuramente aumentato le diagnosi di infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (NSTEMI) e di conseguenza la necessità di esami e trattamenti talvolta non necessari. Peraltro, secondo la cardiologa, “non possiamo definire il miglior approccio diagnostico per una popolazione senza considerare i rischi derivanti dal non sapere”. L’autrice porta ad esempio i migliori outcome ottenuti abbassando la soglia critica di troponina [9] . 

La Rosenbaum cita anche lo psicologo Daniel Kahneman, massimo esperto di errori cognitivi, secondo il quale, nelle storie con cui cerchiamo di spiegare il mondo, l’accuratezza dipende soprattutto dalla loro coerenza, obiettivo più facile da raggiungere quando “ci sono meno pezzi per comporre il puzzle”. La forza di convinzione della concettualizzazione della sovra medicalizzazione deriverebbe quindi, in parte, dalla tendenza del pensiero umano alla sovra semplificazione. In pratica, secondo la Rosenbaum, la narrazione guidata dal dogma “meno è meglio” avrebbe contribuito all’affermazione di una narrazione iper-semplificata delle dimensioni, delle cause e delle possibili soluzioni del problema. La conclusione dell’articolo, per la cui lettura completa rimandiamo al riferimento [6] è che “finchè non impariamo a gestire le fastidiose incertezze dell’assistenza clinica, è opportuno che l’aforisma ‘meno è meglio’ si associ al racconto di storie coerenti piuttosto che alle decisioni complesse affrontate da medici e pazienti”.

Conclusioni

La scarsa correlazione tra aumento della spesa e qualità delle cure, la raccomandazione a ridurre i trattamenti non necessari, la vastità degli sprechi in ambito sanitario, i rischi della sovradiagnosi sono ormai patrimonio culturale assodato, il mantra “less is more”domina la scena, anche se non sempre da tali premesse derivano comportamenti conseguenti nella pratica.
Il futuro sembra peraltro avviare verso un ulteriore rafforzamento della spinta verso la medicalizzazione e la sovradiagnosi. Anche nel nostro paese sono ad esempio ormai disponibili test genetici fai-da-te che, a prezzi relativamente contenuti, possono realizzare “pagelle genomiche” in grado di trasformare persone sane in pazienti, diagnosticando patologie o condizioni di rischio che in realtà non causeranno mai problemi nel corso della loro vita ma soltanto ansia e preoccupazioni infondate [10] .

In generale, è quindi necessario che tutti i professionisti della salute si propongano di governare l’uso della diagnostica, peraltro sempre più accurata e in grado di rivelare alterazioni minime o inaspettate dei parametri clinici, soprattutto quando utilizzata su popolazioni di soggetti sani, evitando crociate ideologiche ma condividendo, idealmente anche con i cittadini, percorsi di cura e obiettivi allo scopo di ridurre il numero delle procedure inutili e dannose e liberare risorse in grado di migliorare la salute dei cittadini. Si deve contemporaneamente evitare che possibili limitazioni all’utilizzo di alcuni esami possano avere conseguenze disastrose in termini di diagnosi ritardate o mancate, soprattutto nei casi sintomatici.
Utilizzando le parole della stessa Rosenbaum, “sometimes less is more, sometimes more is more, and often we just don’t know” (talvolta meno è meglio, talvolta più è più e spesso non lo sappiamo). Possiamo concordare, anche se va sottolineato che chi si occupa di sovra diagnosi non si oppone a priori all’ampliamento dei criteri diagnostici, ma è “soltanto” necessario che i cambiamenti siano giustificati, secondo una metodologia rigorosa.


Giampaolo Collecchia


Bibliografia

1) Rose G. Le strategie della medicina preventiva. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1996
2) Montagna G. Comunicazione personale
3) De Gobbi R. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=7096&sid=97400324 
4) http://www.csermeg.it/ 
5)https://www.slowmedicine.it/ 
6)Rosenbaum L. The less -is-more crusade – Are we overmedicalizing or oversimplifying ? N Engl J Med 2017; 377: 2392-7
7) Nejrotti L. Sovradiagnosi e sovratrattamento, botta e risposta tra NEJM e BMJ. http://www.torinomedica.org/torinomedica/?p=20526 
8) Woloshin S, Schwartz LM. Overcoming overuse: the way forward is not standing still – an essay by Steven Woloshin and Lisa M Schwartz. BMJ 2018; 361:: k2035
9) Mills NL et al. Implementation of a sensitive troponin I assay and risk of recurrent myocardial infarction and death in patients with suspected acute coronary syndrome. JAMA 2011; 305: 1210-6
10) Collecchia G. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6870 







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