I medici sono alle prese, pressoche’ quotidianamente, con problematiche collegate al peso ed ai corretti regimi alimentari dei pazienti. Tuttavia i pazienti negano spesso con forza di eccedere nell' alimentazione, anzi sostengono spesso di alimentarsi in misura addirittura inferiore alla media.
Tralasciando i rari casi (che tuttavia probabilmente esistono) di obesita' legata essenzialmente a problematiche genetiche o metaboliche, gli studi hanno evidenziato la frequente responsabilita' di comportamenti alimentari scorretti di cui il paziente non ha effettiva coscienza.
Ma qualcuno ha ipotizzato che possa essere anche colpa di un virus...
Riproponiamo un articolo sull' argomento
Le statistiche piu’ recenti evidenziano, con toni sempre piu’ allarmati, l’ aumento di peso, ben oltre l’ auspicabile, di gran parte della popolazione dei paesi "ricchi": negli Stati Uniti (paese "simbolo",) si calcola che attualmente il 25-30% dei bambini sia affetto da obesità.
Tale fenomeno sta crescendo pero’ in tutti i paesi industrializzati per cui l’ attenzione dei sanitari si sta sempre piu’ focalizzando sui possibili rimedi, primi tra tutti l’ intaurazione di corretti comportamenti alimentari.
Eppure la maggior parte degli obesi asserisce con forza di non mangiare piu’ del necessario: essi citano sempre, monotonamente, l’ ultimo pasto, o i pasti del giorno precedente: "Una minestrina, dottore, con un po’ di verdurina e una mela". Ma l’ evidente floridezza dei personaggi contrasta violentemente con la dieta "da campo di concentramento" che essi riferiscono in apparente buona fede. A parte alcuni casi conseguenti a difetti genetici o a malattie metaboliche primarie, resta evicente come in gran numero di soggetti la chiave della situazione sia costituita da erronee abitudini alimentari.
I cambiamenti delle abitudini alimentari avvenuti negli ultimi decenni, hanno portato alla luce un aspetto che era rimasto nascosto, alla base di quell’iceberg la cui parte visibile è costituita dal crescente problema del sovrappeso e dell’obesità infantili e giovanili: gli eccessi nutritivi inevidenti.
Volendo darne una definizione precisa, possono essere descritti come " abitudini alimentari acquisite negli ambienti di vita, che si situano al di sotto della soglia di attenzione clinica ma non sono funzionali alla nutrizione".
Si tratta percio’ di comportamenti alimentari "limite", non ancora studiati, e che rappresentano un’area di ricerca poco sviluppata. Essi costituiscono pero’ esperienza di osservazione quotidiana per ogni medico.
Esempi di eccessi nutritivi inevidenti:
Mangiare di più sotto tensione emotiva e stress. Sono molti i pazienti che riferiscono, in occasione di eventi o occasioni stressanti, di avvertire la necessita’ di mangiare in occasioni "non funzionali", dando per lo piu’ la preferenza ad alimenti "secondari", saporiti ma spesso nutritivamente squilibrati. Il problema arriva quindi a sfiorare l’ area cosciente, che pero’ tende a relegare il fenomeno tra gli effetti secondari temporanei, non riconoscendone il carattere di abitudine rinforzata.
Mangiare voracemente e distrattamente, masticando e assaporando poco o nulla. E’ noto ai nutrizionisti come sia necessario un certo tempo perche’ l’ assunzione di cibo giunga a saturare il centro della sazieta’. L’ assunzione vorace e rapida fa si’ che il segnale di "stop" arrivi in ritardo, allorche’ l’ assunzione di cibo ha gia’superato i livelli adeguati.
Tenere grandi quantità di cibo in casa o a disposizione. Si tratta di una condotta favorente le condotte anomale dei punti precedenti e seguenti.
Mangiare in luoghi svariati e in orari casuali, in concomitanza di un’ampia gamma di attività. Viene perso cosi’ il valore "rituale" del pasto, tradizionalmente collegato a luoghi (cucina o sala da pranzo) e ad orari ben precisi. Si perdono cosi’ alcuni dei meccanismi automatici di controllo.
Usare il cibo per attutire stati emozionali sgradevoli, quali rabbia, noia o depressione. La produzione di neuromediatori conseguente all’ assunzione di cibo e’ capace di mitigare, seppure temporaneamente, alcune sensazioni negative; viene èero’ ad instaurarsi un riflesso condizionato che lega la presenza di frustrazioni al bisogno di assunzione di cibo.
L’ alimentazione inevidente ha percio’ la caratteristica di essere:
-stato-dipendente (associato a stati emozionali)
-polifasica (concomitante con altre attività che richiedono attenzione)
-topograficamente distribuita (in una svariata gamma di luoghi, tempi e circostanze).
Ma da dove derivano queste "scorrettezze alimentari"? L’origine degli eccessi nutritivi inevidenti è da ricercarsi in una molteplicità di fattori economici, sociali ed interpersonali molto diffusi nella nostra società e strettamente intrecciati tra loro, che interessano ogni fascia di eta’ ma a cui sono sottoposti specialmente i giovani.
Questi fattori derivano da un’ eccessiva evoluzione di tipo "consumistico" legata al progresso sociale ed economico, per cui sono divenuti di uso comune una serie di eventi che un tempo erano del tutto legati a situazioni e momenti particolari. Tra questi fattori dobbiamo annoverare:
-L’aumentato potere di acquisto, con la possibilita’ di concedersi soddisfazioni e gratificazioni alimentari prima impensabili, che possono ulteriormente rafforzarsi assumendo, in certe circostanze, la caratteristica di "status symbol"
-La presenza ubiquitaria di punti di consumo di alimenti.
-L’abbondanza degli stimoli pubblicitari a consumare cibi. E’ di osservazione comune il fatto che una parte assai rilevante dei messaggi televisivi, specialmente nelle fasce orarie destinate ai giovanissimi, sia dedicato agli alimenti. Si tratta in genere di alimenti preconfezionati tendenti a soppiantare l’ abitudine agli elementi naturali. E’ in costante aumento pure la pubblicita’ (e quindi la diffusione) degli alimenti precotti o comunque di rapida cottura, con messaggi mirati soprattutto alle donne lavoratrici o ai soggetti "singles".
-La necessita’ che tali alimenti risultino graditi al punto da soppiantare le preparazioni tradizionali obbliga ad un arricchimento di sostanze (sale, condimenti ecc.) che ne esaltino la sapidita’ e, spesso, il valore calorico.
-La riscontrata riduzione (derivata da quanto esposto al punto precedente), nell’ alimentazione di una parte crescente delle famiglie, del consumo di cibi cotti o freschi e l’aumento di quello di cibi conservati o preconfezionati (spesso contenenti più grassi e zuccheri)
-La ristorazione industriale per i giovani (tipo "fast food"), con l’offerta a basso costo di cibi molto calorici ed appetibili. Il fast-food tende a divenire luogo di aggregazione e di svago, oltre che di alimentazione.
-La riduzione dei tempi dedicati ai pasti, con la conseguente abitudine al consumo veloce dei cibi con gli effetti negativi sopradescritti.
-La tendenza di molti genitori a compensare con premi materiali (spesso costituiti da "golosita" alimentari) l’eventuale riduzione della loro disponibilità emotivo-affettiva o temporale, nei confronti dei figli.
la graduale scomparsa in molte famiglie d’oggi del pranzo o della cena come rituali familiari scanditi da regole.
A tutto questo si è aggiunto, a livello di popolazione, un abbassamento epocale del fabbisogno calorico medio, sia per la riduzione delle attività fisiche (confinate quasi esclusivamente ai centri sportivi e a poche ore settimanali), sia per le nuove abitudini più sedentarie consolidatesi nell’infanzia e nell’adolescenza (motorini, computer, televisione, ecc.).
Contribuisce al fenomeno anche l’ottimale climatizzazione invernale degli ambienti di vita, sconosciuta fino alla prima metà del ventesimo secolo.
Laddove le diete sono proposte come rimedio, esse non solo non costituiscono una soluzione razionale, in quanto non mirano a correggerne le cause, ma possono anche attivamente contribuire al mantenimento del problema. E’ stato riscontrato, infatti, da studi epidemiologici e clinici condotti da numerosi Autori, come i regimi dietetici puri e semplici, anche correttamente prescritti da operatori sanitari competenti, siano, nella maggior parte dei casi, inefficaci. Questo per motivi fisiologici (l’ organismo sottoposto a deprivazione alimentare tende ad attuare strategie di "risparmio metabolico" diminuendo cosi’ l’ efficacia della dieta stessa) che neurologici (diete croniche, comportando una carenza relativa di serotonina, potrebbero indurre disturbi dell’ umore, con conseguenze negative in soggetti vulnerabili) che psicologiche (numerosi studi hanno evidenziato un "effetto ciclico" o "effetto yo-yo" che comporta un alternarsi di perdite ed aumenti di peso, con progressiva perdita di risultati positivi).
La valutazione degli eccessi nutritivi inevidenti puo’ mettere in luce uno dei meccanismi patogenetici che sfuggono all’ attenzione dell’ osservatore e, talvolta, anche del paziente. Si e’ rivelato quindi importante correggere tali meccanismi automatici rendendoli palesi e quindi sottoposti a vaglio dei filtri critici coscienti. Sono stati studiati diversi approcci cognitivo-comportamentali finalizzati alla rottura di questi meccanismi automatici e quindi al recupero di un effettivo controllo alimentare. Queste tecniche psicologiche andrebbero pero’ integrate da un parallelo (e concordato) approccio piu’ tipicamente medico-dietetico; questa integrazione pero’ non e’ stato ancora adeguatamente studiata e formalizzata. E’ importante percio’ che il medico acquisti sempre piu’ una visione del paziente che non sia limitata ai soli aspetti fiosiologici e materiali.
Qualche problematica (psicologica o fisiologica) dalla letteratura internazionale
Un lavoro curioso sull’argomento "alimentazione e psiche" e’ stato effettuato in Canada: Era ben noto come i soggetti affetti da disturbi alimentari gravi attribuissero il loro comportamento al fatto di avere un corpo troppo magro o troppo grasso. La psichiatria si e' percio' orientata a considerare tali disturbi come derivanti da un' alterata percezione del proprio schema corporeo in riferimento, appunto, al peso.
Gli autori hanno invece dimostrato che, diversamente da quanto si riteneva finora, i disturbi alimentari gravi quali la bulimia e l’anoressia siano molto diffusi anche in soggetti che trovavano sgradevoli e inaccettabili alcune singole parti del proprio corpo, anche non direttamente legate alla struttura e al peso corporeo (quali il naso, le orecchie, gli occhi o la statura).
E’ stato concluso che quindi la cosa piu’ importante sia l’accettazione globale della propria fisicita’
"International Journal of Eating Disorders" 2000;27:304-309
Un gruppo di ricercatori americani ha indagato recentemente le relazioni tra disturbi del sonno e quelli dell’ appetito. E’ stato riscontrato come nei soggetti che soffrono d’insonnia appare molto piu’ accentuata la tendenza a comportamenti alimentari scorretti: in particolare, coloro che si svegliano improvvisamente durante la notte, usano tradizionalmente colmare la loro insonnia mangiando. Questi pasti aggiuntivi si assommano a quelli del giorno portando il totale calorico a livelli superiori a quelli effettivamente necessari. Altri soggetti invece mostrano una erronea distribuzione delle calorie durante la giornata,con colazioni modeste e cene pesanti. Studi sui neurormoni avrebbero evidenziato che il controllo del sonno sia affidato alla melatonina, quello della fame alla leptina, e che i livelli dei due neuroormoni siano in correlazione tra loro. Potrebbe essere possibile, quindi agire su questi due neurormoni correggendo sia per l’insonnia che i disturbi del comportamento alimentare.
JAMA 1999 Aug. 18; 282 (7):689-90 (20 Gennaio 2000
Benche’ esista da lungo tempo una campagna tesa a informare la popolazione dell’utilita’ di una corretta alimentazione e dei suoi risvolti positivi per la salute, i risultati ottenuti non rispecchiano l’impegno. Da anni negli Stati Uniti e’ stato impostata una campagna sull’ importanza di una equilibrata alimentazione. Le analisi dei comportamenti alimentari dei consumatori ha pero’ evidenziato come per coloro che iniziano un trattamento dietetico, dopo poche settimane di scrupolosi conteggi di calorie e di attenti dosaggi degli alimenti durante i pasti, si crei invece una situazione di abbandono e di distacco dalle buone regole appena imparate. Malgrado le campagne di informazione e di istruzione, soltanto il 25% della popolazione americana consuma grassi nelle quantita’ raccomandate mentre ben il 75% ne assume in quantita’ eccessiva con conseguenze negative sulla colesterolemia, sul peso, e sull’apparato cardiovascolare. Alcuni alimenti come fibre, frutta e verdura sono consumate in quantita’ adeguate dai giovani di entrambi i sessi mentre solo il 35% delle donne sopra i 60 anni segue adeguatamente tali indicazioni. Per quanto riguarda il sale l’ 80% degli americani ne consuma certamente in eccesso. L’attenzione sulla qualita’ della dieta e’ superiore generalmente nella popolazione bianca ed e’ molto inferiore nella popolazione di colore.
E’ necessario promuovere una nuova cultura del cibo, con strategie di convincimento e di convinzioni adeguate.
P. Chiambretto "Psicologia contemporanea" Novembre-Dicembre 2000 n. 162
Tra il 1980 e il 1994 negli USA la prevalenza dell’obesità nei ragazzi è aumentata del 100%: il 24% e l’11% dei ragazzi si trovano rispettivamente sopra l’85° e il 95° percentile del BMI (Body Mass Index = Indice di Massa Corporea) di riferimento per età e sesso. Tra i vari fattori ambientali e sociali che potrebbero contribuire all’aumentata prevalenza dell’obesità, il consumo delle bevande dolci è stato poco indagato. Negli ultimi 50 anni il consumo di bevande dolci è aumentato del 500%. La metà degli americani e la maggioranza degli adolescenti (65% delle ragazze e 74% dei ragazzi) consuma bevande dolci; queste rappresentano la principale sorgente di zuccheri della dieta, ammontando in media a 36.2 g di zucchero al giorno per le ragazze e a 57.7 g per i ragazzi.
Dopo aggiustamento per variabili antropometriche, demografiche, dietetiche e di stile di vita, sia il BMI che la frequenza dell’obesità aumentavano in rapporto al consumo di bevande dolci: per ogni bicchiere di bevanda zuccherata il BMI aumentava di 0.24 kg/m2 (IC 95% = 0.10 – 0.39; P = 0.03), l’odds ratio per la frequenza dell’obesità era di 1.60 (IC 95% = 1.14 – 2.24; P = 0.02). Il consumo di bevande zuccherate nei ragazzi è una variabile indipendente associata con l’obesità.
A.S.: Lancet, 17 febbraio 2001
Tra le ipotesi patogenetiche sull’ obesita’ si e’ recentemente affacciata quella virale. Un gruppo di ricercatori ha inoculato animali da esperimento (polli e topi) con un adenovirus umano osservando che gli animali inoculati mostravano un sorprendente guadagno in peso e in tessuto adiposo rispetto agli animali utilizzati per il controllo.
Esperimenti simili erano stati gia’ effettuati inoculando nei polli un virus aviario denominato CELO. Gli animali inoculati da virus umano mostravano pero’ incrementi di peso ancora superiori.
Operazioni di questo tipo erano gia’ state effettuate in altri studi, tuttavia e’ la prima volta che viene utilizzato un virus umano per infettare i polli. E’ possibile ipotizzare un intervento virale anche nella patogenesi dei soggetti umani.
"International Journal of Obesity" 2000;24 (8):989-996
Daniele Zamperini - 18/03/2001 Pubblicato su "Doctor" Maggio 2001
Fonti non citate nel testo:
-L. Sibilia: Psicologia Contemporanea n. 164, mar-apr 2001, pagg 58-64
-L. Sibilia e S. Borgo (a cura di): "Comportamento alimentare e obesita’" Roma, ed. Universo, 1983
-Smith K.A. e al., Arch. Gen. Psychiatry, 56 (2), 171-176, 1999