Chiarimenti sul concetto di ipeprescrizione e sulle Autorita' preposte al controllo e alle sanzioni
La prescrizione medica consiste nell’autorizzazione, redatta per iscritto dal medico, affinché venga effettuata la consegna al paziente del medicinale da parte del farmacista.
Tale prescrizione avviene, per qualità e quantità, secondo scienza e coscienza, nel rispetto della normativa vigente e tenuto conto dei criteri di economicità, appropriatezza ed efficacia dell’intervento terapeutico, da questa perseguiti.
Le conseguenze negative di una scorretta prescrizione di farmaci sono riconducibili esclusivamente al Medico di Medicina Generale, attesa la discrezionalità di cui gode quest’ultimo nell’esercizio della sua attività.
Al fine di avere un quadro completo della problematica sottesa alla corretta prescrizione di farmaci, occorre compiere una distinzione tra:
- il danno da iperprescrizione in senso ampio, che si verifica tutte le volte in cui vi è un frequente scostamento tra le scelte del medico e quelle della generalità dei colleghi, laddove l’interessato non sia in grado di dare una dimostrazione plausibile dell’eventuale particolarità delle patologie da lui trattate;
- il danno da iperprescrizione in senso stretto, che si verifica tutte le volte in cui il farmaco venga prescritto in quantità maggiori rispetto alle indicazioni presenti nelle schede ministeriali, o alle eventuali note dell’A.I.FA.;
- il danno da disservizio, consistente nelle spese aggiuntive sostenute dall’azienda sanitaria per il ripristino dell’efficienza della struttura organizzativa.
Il sindacato sulla c.d. “discrezionalità tecnica” compete alla Corte dei Conti e l’onere di provare che il medico abbia “iperprescritto” ai proprio pazienti farmaci in violazione della normativa vigente è, per giurisprudenza contabile consolidata, a carico del Servizio Sanitario Nazionale, ergo della ASL o della Procura Regionale della Corte dei Conti che agisca nell’interesse di quest’ultima.
Si veda a tal proposito la sent. 64/2016 della Corte dei Conti Lombardia con la quale si è ribadito appunto che “non spetta al medico provare di aver prescritto secondo le note limitative, ma viceversa è l’ASL a dover dimostrare il contrario. Ciò perché facendo corretta applicazione delle norme in tema di distribuzione dell’onere probatorio tra le parti (art. 2697 c.c.), deve infatti ritenersi che nel caso di specie, non spetti al medico convenuto di provare che i pazienti soffrissero effettivamente di patologie rientranti tra quelle indicate dalle note CUF nn. 2, 5, 48 e 48 bis – onere che oltre tutto, per incidens, sarebbe comunque assai difficile assolvere, dato il lungo tempo trascorso dai fatti – ma viceversa sia l’attore a dover provare il contrario”.
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Saraceno e Associati Studio Legale
Jessica Pischedda