Il medico che, consapevole che la sua paziente in eta’ fertile desidera una gravidanza, non accerta l’ immunita’ alla rosolia, puo’ essere responsabile dell’ eventuale aborto terapeutico in caso di malattia in gravidanza. ( Cass. 51479/2019)
Il caso ha riguardato una donna che, ammalatasi di rosolia durante la gravidanza, aveva poi proceduto ad aborto terapeutico per elevato rischio di malformazioni fetali.
Aveva poi portato in giudizio il medico perche’ non aveva provveduto a praticarle un test e un eventuale vaccino prima della gravidanza.
Il medico aveva sostenuto, a propria difesa, la mancanza di protocolli specifici nonche’ il fatto che la condotta omissiva potesse rientrare nel concetto di “colpa lieve”.
I giudici di merito avevano rigettato tali argomentazioni condannando il medico.
Infatti i magistrati hanno sottolineato che la verifica degli accertamenti gia’ eseguiti dalla paziente che programmi una gravidanza e il completamento con la prescrizione di quelli mancanti rientrano tra i compiti del medico. La loro omissione rientra nell’ ambito di negligenza inescusabile, e non di imperizia.
Infatti il test immunologico per la rosolia nei riguardi di una donna che desideri esplicitamente di avere un figlio, e’ un esame ordinario che, se non prescritto, non può dare luogo solo a colpa lieve, a prescindere poi dai tempi in cui, dopo la prescrizione medica, la paziente darà poi concreta attuazione alla sua volonta’.
Nel caso in esame non era pero’ stato accertato con adeguata certezza l’ effettivo nesso causale tra l’ omissione diagnostica e la successiva condotta abortiva della donna per cui la Corte, pur ribadendo la negligenza del sanitario, ha ritenuto di rinviare il caso alla Corte di Merito per l’ accertamento di questo particolare aspetto.
Daniele Zamperini