E’ la dose che fa il veleno. E l’alcol?
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Argomento: Pensieri e opinioni professionali





Riflessioni sulla campagna contro il vino nell' Unione Europea


Tutti coloro che hanno studiato medicina hanno sentito pronunciare questa frase, attribuita nientemeno che a Paracelso, alchimista svizzero vissuto all’ epoca del Rinascimento (Theophrastus Bombastus von Hohenheim) ma i cui concetti iniziali sembrano risalire addirittura a Ippocrate.

Il significato appare chiarissimo: Nessuna sostanza e’ velenosa (o, al contrario benefica) se non in rapporto alla dose d’ uso.
Approfondendo gli studi ne capitano molteplici esempi: sotto gli occhi di tutti c’e’ la tossina botulinica. E’ uno dei veleni piu’ potenti, causa di innumerevoli vittime, che a dosi minimali viene utilizzato dalle signore per spianare le rughe antiestetiche.
Altro esempio puo’ essere il curaro: utilizzato dagli indios per avvelenare le frecce, ora, naturalmente a dosaggi accuratamente calcolati, e’ un’ arma degli anestesisti per favorire la decontrazione muscolare.
Per non parlare poi dell’ Elleborus Niger, che avrebbe fornito ad Ippocrate uno spunto sull’ argomento, o certi veleni di serpente usati a vari scopi in medicina.

Il concetto, pero’, a quanto ritengono molti, non vale per l’ alcol etilico che, sotto qualsiasi forma (vino, birra, superalcolici) sarebbe ritenuto altamente dannoso (quasi nefando) a qualsiasi dosaggio. 
Non esiste, secondo alcuni, un dosaggio minimale privo di effetti nocivi sul sistema nervoso. Peggio della tossina botulinica.

I tifosi del concetto “un bicchiere di vino non fa male, anzi fa bene” contestano il concetto rifacendosi ad altri studi, come ad esempio alle osservazioni sul  famoso “paradosso francese” per cui la popolazione francese risultava meno colpita da malattie cardiovascolari rispetto alle altre popolazioni. 
L’ effetto venne attribuito all’ abitudine francese di sorseggiare di abitudine il vino rosso ai pasti. 

In realta’ l’ effetto benefico sarebbe dovuto alla presenza di altre sostanze (come il rasveratrolo) e non all’ alcol, che manterrebbe (secondo i detrattori) la sua influenza nefasta. 

Devo riconoscere pero’ , al di la’ di una certa antipatia personale, che non ho rinvenuto studi che documentassero nella popolazione francese un parallelo conseguente deterioramento mentale rispetto al resto del mondo. 

Alla fine, cosa concludere?
Gli studi di popolazione dei detrattori del vino non sono privi di punti deboli, sia dal punto di vista di selezione dei campioni che dei criteri di verifica; del resto neppure gli studi contrari sono ineccepibili. 
E se ci fossero di mezzo motivi economico/commerciali?

Personalmente ritengo, sulla base di ultradecennale esperienza clinica e sociale nonche’ di elementi storici e di popolazione, che non si possa dogmaticamenre sostenere, alle comuni dosi socialmente accettabili, un effetto neurotossico del vino rilevante e permanente. 

A meno, naturalmente, che tale opinione non sia viziata dalla demenza indottami dal mio bicchiere giornaliero.
Parere personale, come sempre.   
Daniele Zamperini







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