Utilita' dello screening cardiovascolare: risultati dello studio DANCAVAS
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Argomento: Medicina Clinica




Lo studio DANCAVAS non risponde pienamente alla domanda se uno screening cardiovascolare completo sia in grado di ridurre la mortalità totale negli uomini di età compresa tra 64 e 75 anni.


Lo studio danese DANCAVAS [1] ha arruolato 46.611 uomini di età compresa tra 64 e 75 anni, randomizzandoli (con un rapporto 2:1) a screening completo cardiovascolare oppure a non screening.

Lo screening consisteva in una TAC coronarica e toraco-addominale (completata da registrazione elettrocardiografica) per valutare lo score calcico coronarico, aneurismi aortici e fibrillazione atriale, nella misurazione della pressione caviglia-braccio (per la rilevazione della pressione arteriosa e di arteriopatia periferica) e nel dosaggio della glicemia e del profilo lipidico.

Solo il 62,6% del gruppo invitato allo screening ha risposto.

L’endpoint primario (rappresentato dai decessi da tutte le cause) si è verificato nel 12,6% del gruppo screening e nel 13,1% del gruppo controllo (differenza non significativa, p = 0,06).

Lo studio quindi formalmente non è riuscito a dimostrare l’efficacia dello screening, tuttavia l’analisi dei dati è stata fatta secondo intention to treat e quindi ha considerato anche la percentuale di soggetti che invitati allo screening non hanno risposto. Si può ipotizzare che se tutti avessero risposto all’invito i risultati sarebbero stati significativi a favore dello screening, anche se il fatto che una così elevata percentuale non abbia risposto fa ipotizzare che l’implementazione di questo tipo di screening su larga scala potrebbe trovare notevoli difficoltà pratiche.

Inoltre sarebbe stato più interessante confrontare lo screening con la valutazione tradizionale del rischio cardiovascolare che viene comunemente fatta nella pratica considerando i classici fattori di rischio (di solito età, diabete, fumo, colesterolemia, pressione arteriosa, storia familiare).

Oltre all’endpoint primario lo studio DANCAVAS ha valutato anche endpoint secondari. Non si è riscontrata una differenza tra i due gruppi per quanto riguarda l’infarto miocardico (HR 0,91; 95%CI 0,81-1,03) e la rottura aortica (HR 0,91; 95%CI 0,49-1,35), mentre vi era una differenza a favore dello screening per l’ictus (HR 0,93; 95%CI 0,86-0,99) e per un endpoint composto da mortalità, ictus, infarto (HR 0,93; 95%CI 0,89-0,97).

Un’analisi per sottogruppi ha poi evidenziato una riduzione dell’endpoint primario (HR 0,89; 95%CI 0,83-0,96) per la fascia d’età compresa tra 65 e 69 anni.

Questi ulteriori dati vanno però valutati con prudenza in quanto è noto che risultati su endpoint secondari e su sottogruppi dovrebbero essere confermati da studi disegnati ad hoc. Infatti tutta la potenza statistica dello studio viene, per così dire, consumata nella valutazione dell’endpoint primario per cui gli altri risultati potrebbero essere solo espressione del caso. A questo proposito basti ricordare lo studio ISIS 2 in cui venne valutata l’efficacia della streptochinasi e dell’ASA rispetto al placebo in pazienti con infarto miocardico. Gli autori eseguirono molte analisi per sottogruppi e dimostrarono che l’ASA si comporta peggio del placebo nel sottogruppo di partecipanti che erano nati sotto il segno zodiacale della Bilancia o dei Gemelli [2]: è difficile credere che i segni zodiacali possano avere una qualche influenza sull’efficacia di un farmaco.

In precedenza era stato pubblicato lo studio VIVA [3], eseguito sempre in Danimarca, secondo il quale un triplo screening cardiovascolare riduce la mortalità in uomini di età compresa tra 64 e 75 anni. 
Come spiegare il fatto che uno screening meno completo rispetto a quello dello studio DANCAVAS ed eseguito da personale infermieristico in meno di 10 minuti è risultato più efficace? 
Sono corretti i risultati del VIVA o quelli del DANCAVAS? Difficile rispondere, sarebbero necessari ulteriori trial.

Da notare che uno screening come quello eseguito nello studio comporta un notevole impegno per i servizi sanitari sia in termini di risorse economiche che di personale e di tempo e probabilmente non è attuabile nella pratica odierna.

Infine lo studio ha escluso le donne e questo rappresenta senz’altro una limitazione alla trasferibilità dei risultati. Gli autori hanno giustificato la loro scelta con il fatto che nel sesso femminile le malattie cardiovascolari sono meno frequenti.
Tenuto conto di tutte queste considerazioni ci sembra chiaro che per il momento la pratica clinica non cambierà e si continuerà a usare la valutazione usuale dei classici fattori di rischio cardiovascolare.


Renato Rossi


Bibliografia

1. Lindholt JS et al. Five-Year Outcomes of the Danish Cardiovascular Screening (DANCAVAS) Trial. N Engl J Med August 27, 2022.
DOI: 10.1056/NEJMoa2208681.

2. Randomised trial of intravenous streptokinase, oral aspirin, both, or neither among 17,187 cases of suspected acute myocardial infarction: ISIS-2. ISIS-2 (Second International Study of Infarct Survival) Collaborative Group. Lancet. 1988 Aug 13;2(8607):349-60. PMID: 2899772.

1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=6862







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