Cancro prostatico senza intervento: la BRACHITERAPIA
Data:
Argomento: Medicina Clinica


Un problema assai dibattuto negli ultimi tempi e' quello del trattamento di scelta per il tumore prostatico.
L' uso dello screening mediante il dosaggio del PSA ha permesso di scoprire molti casi di cancro in fase assai precose e clinicamente silente. E' noto pero' come molti di questi cancri possano rimanere stazionari per moltissimi anni, se non addirittura per tutta la vita.
Si pone quindi il problema del trattamento, considerando gli importanti effetti collaterali della chirurgia demolitiva e della radioterapia radiante, che in molti casi possono gravemente alterare la qualita' della vita in soggetti che non ne avrebbero avuto un reale bisogno.

Si sono moltiplicati percio' i trattamenti alternativi, tra cui, per capacita' risolutiva, scarsita' di effetti collaterali e riscontri scientifici, spicca quello della BRACHITERAPIA, ossia del trattamento radiante localizzato effettuato mediante materiale radioattivo situato in loco.

Tale trattamento va per la maggiore negli USA, dove nel 2004 il 51 per cento dei cancri prostatici sono stati trattati con brachiterapia prostatica, riservando al 49 per cento le altre due metodiche codificate: la prostatectomia radicale e la terapia radiante a fasci esterni. Questo perche’ gli studi evidenziavano una uguale efficacia con effetti secondari molto inferiori.
 
Sull’ argomento infatti sono stati recente pubblicati i risultati di uno studio americano a lungo termine (Int J of Radiation Oncol Biol Physics 2009;74: 753)  in cui sono monitorati per oltre 12 anni 742 pazienti con tumore prostatico trattati con brachiterapia con risultati positivi analoghi a quelli dei prostatectomizzati, ma con effetti collaterali (incontinenza urinaria e impotenza) enormemente ridotti.
Tra i pazienti trattati, il 97% era ancora libero da malattia dopo 10 anni; in nessuno dei casi seguiti dai ricercatori si sono dimostrate metastasi o si sono verificati decessi.
Fondamentale si e’ dimostrata la corretta selezione a priori dei candidati al trattamento.
 
Ma cos’ e’ la brachiterapia, e cosa significa?
Il termine deriva dal greco ("corto", breve) e illustra la breve distanza tra sorgente radioattiva e il tessuto bersaglio, praticamente a contatto. Si distingue dalla Teleterapia (la radioterapia tradizionale transcutanea), dove la sorgente radioattiva e' esterna, e l' "organo bersaglio" si trova a una distanza discreta (80-100 cm).
Si tratta infatti di un trattamento radioterapico in cui delle piccole capsule ("semi") contenenti materiale radioattivo ( generalmente Iodio o Palladio) vengono impiantate nella prostata sotto guida ecografica, con procedura minimamente invasiva effettuata in unica seduta operatoria della durata di circa 90-120 minuti.
I semi rilasciano energia radiante molto localizzata (al solo tessuto circostante) per cui, diversamente dala radioterapia a fasci esterni, non vengono danneggiate le strutture adiacenti alla prostata (retto, vescica, uretra, fascio vascolo-nervoso); l’ intensita’ dell’ irradiazione e’ spazialmente limitata ma di intensita’ estremamente elevata. La radioattivita’ decade in poche settimane.
 
A parita’ di efficacia, perche’ preferire la brachiterapia e quando?
I vantaggi della brachiterapia consistono essenzialmente nella ridottissima frequenza di effetti secondari sgradevoli: quasi assente l’ incontinenza post-intervento, l’ impotenza si verifica in percentuali assai piu’ ridotte rispetto alla chirurgia tradizionale, il paziente e’ in grado di riprendere le comuni attivita’ gia dopo un paio di giorni dal trattamento. 
Rappresenta quindi una sorta di “terapia del manager”: il  paziente entra in ospedale il venerdì sera e può tornare al lavoro il lunedì successivo. Un enorme balzo in avanti, rispetto alla radioterapia standard che richiedeva due mesi di sedute, o alla chirurgia tradizionale.
Non e’ pero’ indicata per tutti, e’ importante che si rispettino certi parametri nella selezione dei pazienti, come diremo in seguito.
 
Perche’ in Italia la brachiterapia e’ cosi’ poco diffusa?
Mentre negli USA la maggioranza dei pazienti con carcinoma prostatico viene trattata con brachiterapia, in Italia la percentuale e’ ancora molto bassa. Cio’ e’ dovuto a motivi culturali e tecnici.
Un primo motivo e’ dato dal fatto che negli USA il cancro prostatico viene diagnosticato in fase molto precoce per cui la maggior parte dei pazienti rispettano i parametri per la brachiterapia.
Esiste poi in Italia un pregiudizio negativo, dovuto essenzialmente al retaggio delle prime esperienze di qualche decennio fa, allorche’ la tecnica era molto carente, invasiva, e i risultati molto meno confortanti: il chirurgo accedeva alla prostata per via addominale (quindi con metodica “invasiva”) e infiggeva gli aghi radioattivi a mano libera, non garantendo cosi’ la completa distruzione del tessuto neoplastico, con frequenti recidive.
Attualmente invece si procede mediante una mappatura della prostata effettuata intraoperatoriamente con una sonda ultrasonica (che ricostruisce un immagine analogamente alla TAC) dopodiche’ la prostata viene divisa in settori in cui, con un sistema simile alla “battaglia navale” vengono virtualmente allocati con estrema precisione i “semi” (Iodio o Palladio radioattivi) in modo che venga coperta la totalità’ della ghiandola. Subito dopo si passa alla fase operativa vera e propria: mediante un ago sottile infisso nel perineo (lo spazio compreso tra l’ ano e lo scroto), senza aprire l’ addome, i semi radioattivi vengono collocati nelle posizioni calcolate prima, garantendo la totale copertura del tessuto interessato.

La procedura comporta naturalmente la necessita’ di attrezzature e personale adeguati ai problemi di radioprotezione.
 
Esiste poi un problema economico: il materiale radioattivo deve essere importato volta per volta, in modo “mirato” caso per caso, dall’ estero, in quanto in Italia non ci sono centrali nucleari che possano fornire tali prodotti.
Interviene inoltre un fattore amministrativo in quanto, se effettuata in regime ospedaliero, non sempre i sistemi di rimborso regionali (cosiddetti DRG) riescono a coprire adeguatamente il costo del trattamento.
 
Il problema culturale
Mentre tutte le Unita’ di Urologia possono contare su urologi culturalmente e tecnicamente preparati all’ intervento chirurgico, e’ piu’ raro trovarne di preparati ad un nuovo metodo quasi “ingegneristico”, in cui necessitano conoscenze ed abilita’ tecniche extra-chirurgiche e il bisturi invece non ha cittadinanza.
Un intervento chirurgico e’ inoltre effettuabile in qualsiasi ospedale o clinica, da una comune equipe, con costi e tempi standardizzati che garantiscono un adeguato margine di profitto; e’ quindi effettuabile in modo redditizio, con un groso giro anche di interessi economici.
La brachiterapia invece necessita di coordinamento e impegno pluridisciplinare, da parte di piu’ strutture, con un costo oggettivamente piu’ alto che riduce e talvolta annulla i margini di profitto delle strutture e degli operatori.

Quali pazienti possono avvalersi della brachiterapia?
Le terapie per il K prostatico vanno diversamente indirizzate a seconda della tipologia dei pazienti.
Nei pazienti con tumore ormai extraprostatico o metastatico sono indicate la chirurgia e la radioterapia esterna, capaci di colpire anche le parti del tumore situate fuori della prostata; la brachiterapia andrebbe invece riservata ai soli casi di forma ancora limitata alla ghiandola prostatica.
I parametri piu’ comunemente accettati per l’ indicazione al trattamento sono: PSA fino a 10 ng/ml,  punteggio di Gleason sulla biopsia fino a  6; inoltre il volume prostatico dovrebbe essere compreso fra 20 –50 cc e devono essere assenti sintomi di tipo ostruttivo alla minzione (questo perche’ all’ inizio del trattamento puo’ aversi una transitoria tumefazione della ghiandola con rischio di ritenzione urinaria acuta).

Come avviene il trattamento?
Possiamo schematizzare una procedura in piu’ fasi:
 • Dapprima si realizza una eco-stratigrafia della prostata a strati successivi distanziati di circa 1 cm; queste “fette” sono acquisite da un sistema computerizzato che crea un modello 3D della prostata esaminata
• Poi il computer calcola e rappresenta graficamente la sistemazione virtuale ottimale dei semi in modo che venga irradiato tutto il volume considerato
• Infine si passa all’infissione vera e propria degli aghi nella prostata, nella posizione prevista dal piano di trattamento computerizzato.
I semi verranno lasciati in loco, ed il paziente non avvertira’ in alcun modo la loro presenza.
Dopo alcuni mesi (4 - 6 mesi a seconda del materiale impiegato) la radioattivita’ decade e diventano totalmente inerti. Nel periodo di radioattivita’ il paziente dovra’ osservare alcune precauzioni onde non irradiare involontariamente i soggetti sensibili (soprattutto donne in gravidanza e bambini). E’ sufficiente, anche nei periodi di massima attivita’, osservare una distanza minima di un metro.
Alcuni centri, ad esempio quello di Lucca, forniscono al paziente una sorta di gonnellino piombato indossabile sotto i comuni indumenti e tale da bloccare completamente qualsiasi radiazione.

Dove si effettua questo trattamento?
Per i motivi descritti sopra, in Italia i Centri che effettuano tale trattamento sono relativamente pochi e localizzati quasi tutti nel nord. Una statistica precisa e aggiornata non e’ agevole, perche’ le situazioni locali variano con rapida frequenza, essendo molto legate alle singole persone, alle possibilita’ di coordinamento interdisciplinare, a eventuali situazioni di “concorrenza”.
Piu’ Centri si sono contesi, negli anni passati, il titolo di Leader del settore: Milano, Trento, Savona, e, da alcuni anni, Lucca, che con i suoi 40 interventi l’ anno sta acquisendo una delle casistiche nazionali piu’ consistenti, se non addirittura la piu’ consistente.  E, come puo’ desumersi da quanto gia’ detto, l’ esperienza pratica e’ di fondamentale importanza per la riuscita ottimale del trattamento.
Un grosso Ospedale romano ha aperto un servizio analogo solo da alcuni mesi.
 
Uno dei nostri collaboratori, recentemente trattato proprio presso l’ Ospedale di Lucca, ha riferito dell’ estrema competenza degli operatori sanitari, della rapida ed efficiente organizzazione ospedaliera, della completa gratuita’ dell’ intero ciclo di prestazioni.
Il Prof. Pinzi e il dott. Paoluzzi, l’ uno Primario e l’ altro Coordinatore del servizio, da noi intervistati, hanno confermato l’ elevato standard delle loro casistiche, in linea con le piu’ quotate casistiche internazionali.
Questa metodica, insomma, rappresenta la soluzione ottimale per quei casi borderline, in cui il medico stesso e’ incerto sulla condotta da seguire: nei tumori non tanto avanzati da imporre un trattamento demolitivi ma neppure tanto insignificanti da poter essere lasciati tranquillamente in loco in “vigile attesa”: la brachiterapia permette in questi casi di effettuare un trattameno risolutivo senza essere demolitivo.

Daniele Zamperini - Pina Onotri






Questo Articolo proviene da Scienza e Professione - (Daniele Zamperini Medico)
http://www.scienzaeprofessione.it

L'URL per questa storia è:
http://www.scienzaeprofessione.it/modules.php?name=News&file=article&sid=261