Note sul disturbo da deficit di attenzione e iperattivita’
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Argomento: Medicina Clinica


Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (in inglese Attention Deficit and Hyperactivity Disorder, ADHD) è una vera e propria patologia psichiatrica dell’età infantile e scolare, ancora abbastanza controversa in alcuni suoi aspetti.

Descritto per la prima volta dall’inglese Gorge Still agli inizi del XX secolo, viene di solito diagnosticato nei primi anni della scuola, dove il bambino iperattivo viene notato per la sua irrequietezza.
Esso mostra pesanti problemi di concentrazione ed attenzione, è incapace di rimanere seduti per lungo tempo o di restare tranquillo a lungo, spesso presenta movimenti incoordinati e improvvisi, non finalizzati.
Segni tipici sono anche la disorganizzazione delle attività, una grande facilità nel distrarsi, una quasi totale assenza di concentrazione, la facile e frequente perdita delle proprie cose. Inoltre possono essere molto evidenti l’irrequietezza, l’incapacità di rimanere fermo e/o seduto a lungo, una tenace logorrea, una forte rumorosità nelle attività, una continua interruzione degli altri, una tonalità di voce piuttosto alta nelle risposte.
Il bambino affetto da tale patologia, a differenza del semplice “discolo” si mostra incapace di controllare il proprio comportamento.

E’ cruciale il problema della diagnosi perche’ puo essere facile attribuire i disturbi a problematiche psicologiche, come al contrario la diagnosi puo’ essere posta con eccessiva leggerezza. La cosa e’ di fondamentale importanza perche’  e’ stato verificato come l’ ADHD sia un vero disturbo neurobiologico basato su fondamenta organiche. Sono emerse dagli esami strumentali effettuati sui pazienti con ADHD anomalie a carico di alcune regioni cerebrali, in particolare si e’ rilevato uno squilibrio funzionale tra alcune aree (quelle dell’ attenzione e dell’ inibizione, che funzionano in modo rallentato) rispetto ad altre (alcune aree motorie, iperfunzionanti.
In altre parole, le aree motorie attiverebbero i movimenti del bambino “irrequieto” mentre le aree inibitorie non reagirebbero con sufficiente velocita’ per bloccarli.
Non e’ ancora chiarita con precisione la patogenesi di queste anomalie: sembra che possa essere coinvolto l’ uso di tabacco in gravidanza da parte della madre (con influssi sul sistema dopaminergico del feto) cosi’ come inciderebbe anche una nascita pretermine o comunque un peso ridotto del bambino.
La particolare tipologia del disturbo spiega la terapia molto particolare: a differenza dei bambini “discoli”, i tranquillanti non risultano particolarmente efficaci, bensi’ occorre un trattamento con farmaci psicostimolanti.
Questi, stranamente, mostrano un effetto “tranquillante” in questi pazienti.
Questo perche’ gli psicostimolanti (derivati da anfetamine) riescono ad attivare le aree inibitorie accellerandone le funzioni e mettendole in condizione di controllare l’ iperattivita’ involontaria del bambino.
E’ intuibile come sarebbe un grave errore considerare tali farmaci come “tranquillanti” e somministrarli ad un soggetto semplicemente “discolo” pensando di migliorarne il comportamento: anziche’ mostrare l’ effetto sedativo ne verrebbero accentuati i comportamenti aggressivi. E’ necessario quindi affidarsi a professionisti competenti e ad evitare le diagnosi “fai da te”.
Il periodo di assunzione varia per i diversi soggetti, gli effetti collaterali sono generalmente modesti (mal di testa o di di stomaco, inappetenza, disturbi del sonno, calo di peso, depressione.







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