Il sistema attuale di "libera scelta e revoca in qualunque momento" rende soggetto il medico alle pressioni (anche illegittime) degli assistiti. Si dibatte la possibilità di una diversa regolamentazione del problema
Da anni (gia’ nel 2001 se ne discusse in una vecchia mailing-list medica) si dibatte sull’ opportunita’ o meno di regolamentare in modo piu’ preciso le modalita’ di scelta e revoca del medico di famiglia.
Il MdF, infatti, e’ l’ unico sanitario italiano la cui sopravvivenza, sia in termini di professionalita’ che puramente economici, dipenda unicamente dal “gradimento” del singolo paziente.
Questo medico esercita un’ attivita’ che per il paziente e’ totalmente gratuita, qualunque sia la quantita’ e l’ opportunita’ delle richieste da parte del paziente-cliente, e il suo rientro economico non e’ legato alla qualita’ delle prestazioni ma solo alla quantita’ di persone che decidano di affidarsi alla sua opera.
E’ stato chiaro fin dall’ inizio (dall’ entrata in vigore della legge 833) che il meccanismo del “terzo pagante” con un utente totalmente deresponsabilizzato avrebbe comportato problemi (soprattutto economici) di non lieve entita’ per il SSN. La consapevolezza di poter scegliere il medico piu’ “gentile” e piu’ acquiescente (e poter far pressione, minacciando la revoca), e il diritto incensurabile di revocare la scelta anche senza validi motivi, ha portato ad una serie di distorsioni del sistema.
Ma perche’ la scelta fiduciaria non puo’ soggiacere, come tutte le altre situazioni, ad una serie di regole (ragionevoli, s’ intende) che ne evitino l’ uso distorto e fraudolento?
L’ argomento e’ stato riproposto all’ attenzione generale da un interessante articolo a firma del dr. Pietro Quinto Direttore Generale dell'USL 5 di Montalbano Jonico comparso sul numero 21 di “Sole-24 ore Sanità”.
L’ autore si sofferma soprattutto sul problema delle prescrizioni “indotte”, cioe’ su quelle derivate da medici diversi dal quello di famiglia, e da lui pedissequamente riprescritte a carico del SSN in seguito alle pressioni psicologiche (e non solo!) a cui viene sottoposto.
In questi tempi in cui si cerca di comprimere la spesa sanitaria evitando inutili sprechi di risorse, la riconquista da parte del MdF di un effettivo ruolo decisionale, appare fondamentale.
Il fenomeno delle prescrizioni indotte appare più evidente nelle aree metropolitane, sedi di Università, Policlinici e grandi Ospedali. In queste situazioni si e’ rilevato un problema causato proprio dalla eccessiva “migrazione” dei pazienti presso diversi sanitari: il paziente “esigente” (spesso si tratta di soggetti titolari di esenzione dal ticket a vario titolo) non si accontenta piu’ della diagnosi o della prescrizione del proprio medico, e pretende una ulteriore visita da pate di uno specialista. Se lo specialista non e’ soddisfacente, ne vuole sentire un altro (tanto e’ gratis) finche’ trova quello che, a suo insindacabile giudizio, ha “azzeccato” la diagnosi e la terapia giusta. Quando poi lo specialista (sovente un “luminare”) consegna al paziente la sua prescrizione, diventa molto difficile, da parte del medico di famiglia (esclusi i pochi casi di mancanza di concorrenza, rari, date le leggi in vigore che accreditano un surplus di sanitari), opporsi e contestarne l’ appropriatezza. Questa difficolta’ deriva anche dal fatto che il MMG viene posto piu’ o meno implicitamente sotto la minaccia di essere revocato; si tratta dell’ unica figura professionale che paga di tasca sua il fatto di non assecondare chi voglia eludere le normative. “Le revoche della scelta del medico poco accondiscendente a trasformarsi in un trascrittore di prescrizioni altrui o a compiacenti certificazioni per qualche giorno in più di malattia sono frequentissime" cita il dott. Quinto, sottolineando quanto cio’ sia mortificante sotto l'aspettodeontologico e tale da portare effetti sociali ed economici devastanti.
La soluzione proposta e’ semplicissima: rendere la scelta del medico stabile per un periodo minimo predeterminato, in modo da eliminare il "ricatto" dell’ assistito. L’ Autore propone una durata di 5 anni, tuttavia propone anche, per non minare del tutto la liberta’ di scelta, una serie di correttivi, prevedendo situazioni che, minando la fiducia tra medico e assistito, possano portare ad una revoca anticipata in deroga dalla norma generale.
Puo’ sembrare strano, ma questa proposta ha scatenato un vivace e talora aspro dibattito nella categoria, con la creazione di due fronti contrapposti: un fronte possibilista, che vede in una regolamentazione delle scelte, magari vincolate per un periodo inferiore e con regole meno rigide, un modo effettivamente utile per alleggerire il medico dalla pressione del ricatto; un altro fronte, garantista, che intende tutelare l’ assoluta autonomia del paziente in questo settore.
E, come spesso accade, il calore della polemica ha fatto dire anche molte sciocchezze e imprecisioni. Ma esaminiamo con calma la cosa.
Dicono i medici favorevoli al sistema attuale:
- In nome della liberta’ di cura, e’ illecito, impossibile (o addirittura, secondo alcuni, incostituzionale) limitare la facolta’ del paziente di cambiare medico “ad libitum”. - L’ adozione di un vincolo temporale sarebbe sgraditissimo ai pazienti (plausibile!) e porterebbe una serie di problemi gravissimi e irrisolvibili nel rapporto paziente-medico.
Noi riteniamo che tali motivazioni siano in realta’ soltanto pretestuose, per una serie di motivi:
- In alcune nazioni tale criterio esiste gia’, e non si tratta ne’ di nazioni tiranniche e antidemocratiche, ne’ di nazioni con assistenza sanitaria inefficiente: in Francia, ad esempio, la scelta del medico e’ vincolante per sei mesi, ne’ ci risulta che tale regola abbia comportato particolari drammi sanitari o vulnerato la democrazia.
- Anche in Italia, prima della legge 833, una gran parte della popolazione godeva di assistenza basata su criteri di scelta e revoca del tutto diversi dall’ attuale, e non si e’ mai verificato nulla di quanto ora paventato. Non pochi cittadini, anzi, rimpiangono quei tempi e quei sistemi.
- In un’ epoca in cui vengono messi in discussione diritti ben piu’ “pesanti”, un’ epoca in cui si discute di aborto, eutanasia, diritto alla vita, eugenetica, andare a classificare tra i “diritti inalienabili” il fatto di poter cambiare medico tutti i giorni, suona francamente un po’ ridicolo.
- Chi parla di anticostituzionalita' confonde il “diritto alla cura” con il “diritto a scegliersi un curante”. Sono questioni ben diverse: mentre il primo costituisce un vero diritto assoluto, il secondo invece e’ assolutamente al di fuori di questa definizione: cio’ viene confermato,ad esempio, dall’ organizzazione sanitaria extragenerica: perche’ mai, altrimenti, negli ospedali, negli ambulatori pubblici, negli stessi studi medici in occasione di assenze del titolare, il paziente sarebbe obbligato a servirsi del medico che gli viene assegnato senza poter esercitare tale “diritto inalienabile”? E perche’ la scelta del medico puo’ essere pacificamente regolamentata in ambito territoriale mentre diventa “incostituzionale”, “illegale”, “prevaricatrice” una limitazione temporale?
Non vi sono dunque ragioni vere e sostanziali per opporsi ad una seria proposta in merito. Ovviamente si dovra’ tener conto dei casi particolari, prevedere una serie di deroghe ragionevoli. Il vantaggio di deresponsabilizzare il medico di famiglia da decisioni non sue e proteggerlo dal ricatto della revoca, consentirebbe certamente un miglior governo del territorio, con effetti certamente “sani” su tutto il sistema. Daniele Zamperini 27/6/2007