Negli USA, rispetto agli anni '90, la medicina primaria viene scelta da un numero sempre minore di studenti.
Ma un fenomeno simile si osserva anche in Italia
Diminiscono negli USA gli studenti di medicina che scelgono di fare i medici di cure primarie. E' quanto risulta da uno studio che ha preso in esame la specialità scelta dagli studenti in medicina negli anni '90 e nel 2007. Il numero di studenti che opta per le cure primarie è sceso del 32% dal 1985 al 2008. Inoltre i medici che scelgono la medicina generale dopo il praticantato sono passati dal 54% del 1999 al 20% del 2008.
Gli studenti intervistati ritengono che il carico di lavoro e lo stress siano maggiori per i medici che si dedicano alle cure primarie rispetto alle altre specialità, anche se una maggior percentuale nel 2007 rispetto al 1990 pensa che il lavoro di medico generalista sia più soddisfacente.
Ha importanza, nell'orientameto degli studenti, anche il fattore economico e la percezione che il lavoro del medico specialista garantisca un reddito maggiore. Gli autori calcolano che durante una carriera di 40 anni la differenza di guadagno tra un medico generalista e uno specilista sia di circa 3,5 milioni di dollari a favore di quest'ultimo.
Tra i limiti dello studio viene segnalata la possibilità che il campione di studenti esaminato non sia rappresentativo dell'intera nazione.
Gli autori ritengono che per invertire la tendenza in atto, tra le altre cose, sia necessario ridurre il gap economico tra generalisti e specialisti e riformare la medicina di base, oltre che migliorare la percezione che durante l'università gli studenti hanno della medicina primaria.
Fonte:
Schwartz MD et al.Changes in Medical Students' Views of Internal Medicine Careers From 1990 to 2007
Arch Intern Med. 2011 Apr. 25;171:744-749.
Commento di Renato Rossi
La tendenza che viene evidenziata dallo studio recensito in questa pillola non riguarda solo gli USA. Anche il Italia la scelta di fare il medico di famiglia è diventata sempre meno appetibile.
Vi concorrono varie motivazioni.
Anzitutto il prestigio che la società nel suo complesso riserva allo specialista rispetto al medico di Medicina Generale, ritenuto spesso un medico di serie B.
E' inutile nascondere che la considerazione di cui gode il medico che esercita una specialità o che lavora in ospedale rispetto al medico di famiglia, ancora chiamato spesso "medico della mutua", è ben diversa. Il Medico di Medicina Generale spesso viene considerato come un semplice trascrittore di ricette altrui oppure un compilatore di certificati.
Vi sono poi altre ragioni che portano a scegliere una specialità piuttosto che dedicarsi alle cure primarie, come per esempio la crescente componente burocratica che imbriglia il medico di Medicina Generale ad occuparsi di pratiche che poco o nulla hanno a che fare con il lavoro per il quale è stato formato e che dovrebbe essere essenzialmente di tipo clinico. Basti pensare che in alcune mailing list nazionali di Medici di Medicina Generale gli argomenti che vengono trattati sono essenzialmente di tipo burocratico-certificativo, legale o sindacale, tanto che spesso si ha la sensazione che si tratti di mailing list di impiegati o di avvocati piuttosto che di professionisti che si occupano della salute.
Infine, come negli USA, anche il fattore economico gioca la sua parte: la Medicina Generale, in Italia, è una figura spuria, a mezza strada tra la libera professione e la dipendenza, che assorbe tutti i lati negativi di entrambe senza poter usufruire dei relativi vantaggi.
Eppure una medicina primaria ben funzionante è indispensabile per il buon andamento di qualsiasi sistema sanitario, soprattutto se pubblico.
Il medico di famiglia è la prima figura sanitaria a cui in genere ricorre il paziente, che riesce a gestire molte delle patologie più comuni, che cura la cronicità, vera emergenza del mondo occidentale, spesso da solo e senza ricorrere alle strutture di secondo livello. Il medico di famiglia, se appena lo si mettesse in grado di farlo dotandolo di risorse economiche e di personale adeguate, potrebbe esercitare un' efficace azione di filtro dei bisogni sanitari veri o presunti della popolazione.
Le risorse investite nelle cure primarie avrebbero un ritorno non solo economico, grazie ad un risparmio in terapie e accertamenti non necessari, ma porterebbe ad una benvenuta demedicalizzazione di molte situazioni di difficoltà o semplice disagio, per le quali la scorciatoia di una pillola "magica" non rappresenta affatto la soluzione.
Vi sono numerosi studi che dimostrano che dove esiste una medicina di base forte, ben organizzata e di qualità, gli esiti sulla salute sono ottimi con minor impiego di risorse. Ma è necessario che vi sia la volontà di creare una medicina di questo tipo, facendo seguire, alle solite dichiarazioni di intenti, i fatti reali.