Non sempre la medicina difensiva protegge il medico che la mette in atto, ne' il paziente: il caso della associazione ASA/PPI.
Mario è un paziente di 55 anni che ha avuto un infarto miocardico. Dopo la dimissione dall'ospedale, dove è stato curato con terapia conservativa, viene dimesso con la prescrizione di ASA 100 mg/die.
Quando si reca dal suo medico curante, Mario riferisce che un suo vicino di casa, insieme all'ASA, assume un inibitore di pompa protonica (PPI) a scopo gastroprotettivo.
Chiede perciò se non sia il caso di fare altrettanto perchè "non si sa mai".
Il medico curante gli fa notare che nella lettera di dimissioni non figura la prescrizione di un inibitore di pompa protonica, segno che anche i colleghi ospedalieri non ritengono necessario associare un PPI alla terapia con ASA.
Infatti Mario non possiede i requisiti del paziente a rischio di complicanez gastroenteriche in quanto è relativamente giovane, non assume cortisonici, FANS, warfarin, non ha mai avuto problematiche a carico del tratto digestivo superiore.
Ma un dubbio assale il medico curante: "E se per caso non prescrivo la gastroprotezione e poi il paziente ha un'emorragia digestiva?". E' quindi tentato di consigliare l'assunzione di un PPI, spiegando tuttavia al paziente che la prescrizione non potrà essere a carico del Servizio Sanitario Nazionale perchè non prevista dalla relativa nota dell'AIFA.
Si tratterebbe di una scelta meditata, ancorchè dettata soprattutto da medicina difensiva?
La probabilità di Mario di fare una complicanza gastrointestinale è molto basso in quanto non vi è alcun fattore di rischio.
D'altra parte ci sono lavori che suggeriscono che i PPI associati all'ASA possono interferire con l'azione di quest'ultimo.
Per esempio in uno studio osservazionale effettuato su quasi 20.000 pazienti con recente infarto miocardico acuto si è visto che, rispetto a chi usava solo ASA, vi era un rischio, con l'associazione ASA/PPI, aumentato del 46% di eventi cardiovascolari (morte cardiovascolare, infarto miocardico e ictus).
Trattandosi di uno studio osservazionale è possibile che fattori di confondimento abbiano influito su questi risultati, anche se gli autori lo ritengono improbabile. In ogni caso si tratta di risultanze che non si devono trascurare.
Il dato infatti erà già stato evidenziato in precedenza da uno studio su 418 pazienti affetti da coronaropatia [2].
Pertanto prescrivendo a Mario un PPI si corre il pericolo di offrire una terapia protettiva per un rischio gastrointestinale molto basso ma nello stesso tempo si potrebbe aumentare la probabilità del paziente di eventi cariovascolari.
Insomma il classico "dalla padella nella brace".
In conclusione la medicina difensiva, contrariamente a quello che comunemente si crede, non sempre protegge il medico che la applica.
E, come in questo caso, non protegge nemmeno il paziente
A cura di Renato Rossi
Referenze
1. Charlot M et al. Proton pump inhibitor use and risk of adverse cardiovascular events in aspirin treated patients with first time myocardial infarction: nationwide propensity score matched study
BMJ 2011 May 21; 342:d2690
2. Würtz M et al. The antiplatelet effect of aspirin is reduced by proton pump inhibitors in patients with coronary artery disease.Heart. 2010 Mar;96:368-71