Aggiornamenti sugli effetti fisiologici dell' Alcool
Data: Argomento: Medicina Clinica
Una sintesi di recenti studi sugli effetti dell'etanolo sull'organismo.
Ricerche su pazienti sani hanno dimostrato una riduzione di mortalità associata all’introito da leggero a moderato di etanolo, ampiamente correlato alla riduzione della malattia coronarica. Studi su pazienti con malattia cardiaca nota sono stati inconcludenti.
Di seguito, il riassunto di vari trials e di varie metanalisi relative alla safety dell’etanolo.
1) Questa metanalisi ha valutato il rischio di fibrillazione atriale (FA) correlata ad assunzione di alcool. Precedenti studi osservazionali sullo stesso tema avevano dato risultati contrastanti. Gli autori hanno condotto una ricerca sui database di Medline (da Gennaio 1966 a Dicembre 2009) e di Embase (da Gennaio1974 a Dicembre 2009), relativa a studi su alcool e FA. Sono stati inclusi 14 studi elegibili. La stima complessiva di FA per il più alto introito di alcool versus il più basso era 1.51 (95% IC 1.31–1.74). Un modello di regressione lineare ha mostrato che la stima complessiva per un incremento di 10 g al dì di introito alcolico era 1.08. Anche un modello di regressione spline ha mostrato che il rischio di FA aumenta all’aumentare dei livelli di consumo di alcool. Questi risultati suggeriscono che evitare l’uso di alcool può ridurre il rischio di incidenza di fibrillazione atriale. Fonte: Alcohol consumption and risk of atrial fibrillation: a meta-analysis. Kodama S, Saito K, Tanaka S, et al. J Am Coll Cardiol. 2011 Jan 25;57(4):427–36.
2) Questa metanalisi ha esaminato la relazione tra vari livelli di introito alcolico e incidenza di scompenso cardiaco. Sono stati inclusi nell’analisi sei studi prospettici di coorte ottenuti da una ricerca su Pubmed. Sono stati inclusi nello studio 46.252 pazienti — che comprendevano 5.510 casi di scompenso cardiaco (SC). I bevitori sono stati classificati come non bevitori, ex bevitori e attuali bevitori di < 1, da 1 a 7,8 a 14, e > 14 drinks a settimana. Rispetto ai non bevitori, il rischio relativo complessivo era 1.16 per gli ex bevitori, 0.90 , 0.80 , 0.78 , e 0.77 per i bevitori attuali di < 1, 1–7, 8–14, e > 14 drinks per settimana, rispettivamente, in un modello a effetti random. Rispetto ai non bevitori, gli ex bevitori avevano un rischio del 16% più elevato di SC; tuttavia, i bevitori attuali di < 1, 1–7, 8–14, e > 14 drinks per settimana erano associati ad un rischio più basso di SC del 10%, 20%, 22%, e del 23%. Questi risultati suggeriscono che un uso infrequente e da leggero a moderato di alcool è associato ad un rischio più basso di SC, e può essere appropriato per persone a rischio di SC in assenza di controindicazioni. Questi risultati non supportano un uso più pesante o un uso “tipo binge” per gli effetti sull’aumento di mortalità.
Fonte:
Alcohol consumption and risk of heart failure: a metaanalysis. Padilla H, Gaziano MJ, and Djousse L. Phys Sportsmed 2010;38(3):84–9. 3) Questo studio ha ritenuto di determinare se l’alcool influenzasse la perdita di sangue fecale in volontari maschi sani in terapia con diflunisal o con aspirina. La perdita di sangue fecale è stata misurata uilizzando globuli rossi marcati con 51-Cr. In uno studio parallelo in doppio cieco su 10 soggetti, l’effetto di 250 mg di diflunisal due volte al dì è stato paragonato a 750 mg di aspirina 4-volte al dì. I farmaci sono stati assunti per un periodo di 7 giorni separati da un periodo di controllo di una settimana. La perdita di sangue fecale giornaliera media durante i due periodi di trattamento era di 0.32 ml e di 0.53 ml nel gruppo diflunisal versus 6.87 ml e 3.20 ml nel gruppo aspirina. Il diflunisal non aumentava in maniera significativa la perdita di sangue, mentre l’aspirina aveva un effetto significativo. In uno studio crossover in doppio cieco, su 12 soggetti, l’effetto di 250 mg di diflunisal due volte al dì veniva paragonato a 600 mg di aspirina 4-volte al dì. L’alcool (120 ml, 40%) veniva aggiunto negli ultimi 2 giorni di ciascun periodo di trattamento di 6-giorni. La perdita di sangue fecale non era influenzata in maniera significativa dal diflunisal e non vi era effetto significativo sulla perdita di sangue con l’uso concomitante di alcool. L’aspirina aumentava in maniera significativa la peridta di sangue fecale e questa aumentava in maniera significativa con l’uso concomitante di alcool. Questi dati supportano l’associazione tra concomitante uso di aspirina e di alcool e l’aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale, come evidenziato dalla perdita di sangue fecale. Ma analisi statistiche insufficienti pregiudicano conclusioni sicure —sono necessari dati aggiuntivi per caratterizzare il rischio assoluto di sanguinamento in pazienti che assumono basse dosi di aspirina (81–162 mg al dì) per la cardioprotezione. Fonte: Diflunisal versus aspirin: a comparative study of their effect of fecal blood loss, in the presence and absence of alcohol. De Schepper PJ, Tjandramaga TB, Verhaest L, et al. Curr Med Res Opin 1978;5(7):520–4.
4) Questo studio prospettico osservazionale ha voluto determinare l’influenza dell’acido acetilsalicilico (ASA, 1.000 mg), dell’ibuprofene (800 mg) e del paracetamolo (1.000 mg) su di una singola dose cinetica di etanolo in 12 volontari sani che avevano ingerito il farmaco ed una colazione standard un’ora prima dell’introito di etanolo. Ha anche valutato l’influenza dell’etanolo su di una singola dose cinetica di 1.000 mg di ASA in 10 volontari sani a digiuno. Le concentrazioni plasmatiche di etanolo sono state misurate attraverso la gascromatografia, e quelle del farmaco con cromatografia liquida. Non vi era effetto di ASA, ibuprofene o paracetamolo sulla singola dose cinetica di etanolo, ma l’assunzione contemporanea di etanolo riduceva il picco di concentrazione dell’ASA del 25%. Questi dati suggeriscono che l’etanolo interferisce con la farmacocinetica dell’ASA e potenzialmente ne riduce l’esposizione sistemica. Il significato clinico di questa interazione è discutibile, perché non spiega l’osservazione farmacodinamica di un aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale con la cosomministrazione di ASA ed etanolo. Sono necessari ulteriori studi per spiegare il significato clinico di questa interazione. Fonte: Pharmacokinetic interactions of alcohol and acetylsalicylic acid. Melander O, Liden A, Melander A. Eur J Clin Pharmacol 1995;48(2):151–3.
5) Il trial SAVE è uno studio randomizzato, multicentrico, in doppio cieco, controllato vs placebo, disegnato per valutare la sopravvivenza in pazienti con disfunzione ventricolare sinistra in seguito ad infarto miocardico. Un’analisi secondaria è stata studiata per valutare l’influenza dell’introito alcolico sullo sviluppo di scompenso cardiaco sintomatico (SC) in pazienti con disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (LVSD, frazione di eiezione [EF] <40%) dopo un infarto miocardico (IM) precedentemente studiati in SAVE. Duemiladuecentotrentuno (2.231) pazienti dopo IM sono stati randomizzati ad ACE-inibitore o a placebo. I pazienti sono stati classificati in non-bevitori, bevitori lievi-moderati (da 1 a10 drinks/settimana), o forti bevitori (>10 drinks/settimana) basandosi sui report basali di consumo alcolico. L’esito primario era la ospedalizzazione per scompenso cardiaco. L’analisi univariata ha mostrato che l’introito basale lieve-moderato era associato ad una più bassa incidenza di SC rispetto ai non bevitori (hazard ratio [HR] 0.71), mentre i forti bevitori no (HR 0.91; 95%; tuttavia, dopo aggiustamento per differenze basali, il consumo di alcool basale lieve-moderato non influenzava in maniera significativa lo sviluppo di SC (bevitori lievi-moderati HR 0.93; forti bevitori HR 1.25). Il consumo alcolico riportato tre mesi dopo l’IM neppure modificava il rischio di esiti avversi. Questi risultati suggeriscono che per pazienti con disfunzione sistolica ventricolare sinistra in seguito ad IM, l’introito alcolico lieve-moderato non altera il rischio di sviluppare SC. Fonte: Alcohol consumption and prognosis in patients with left ventricular systolic dysfunction after a myocardial infarction. Aguilar D, Skali H, Moye LA, et al. J Am Coll Cardiol 2004 Jun 2;43(11):2015–21.
6) Questo è uno studio prospettico di coorte su 1.645 uomini e donne arruolati nel Copenhagen City Heart Study. Il consumo alcolico individuale è stato determinato attraverso questionari, e lo sviluppo di fibrillazione atriale (FA) è stato accertato attraverso ECG routinari registrati al ricovero in ospedale. Il bere moderato è stato definito in questa analisi in maniera differente dal consenso generale di 1–2 drinks al giorno. daily. Secondo quanto definito come un bere moderato in questa analisi (< 35 drinks a settimana) non vi era associazione con un aumentato rischio di FA. Tuttavia, nei forti bevitori (> 35 drinks a settimana), vi era un aumento statisticamente significativo di rischio di aviluppare FA (HR 1.45, 95% IC 1.02–2.04). L’aggiustamento per confondenti, quali scompenso cardiaco, CAD o ipertensione non alteravano il rischio stimato. Questo studio prospettico di coorte ha confermato il concetto che un consumo elevato di alcool aumenta il rischio di FA. Fonte: Alcohol consumption and risk of atrial fibrillation in men and women. The Copenhagen City Heart Study. Mukamal KJ, Tolstrup JS, Friberg J, et al. Circulation 20005;112: 1736–1742.
7) Sebbene il bere moderato sia stato associato a ridotta mortalità in pazienti con malattia coronarica, la sicurezza in pazienti che assumono comuni farmaci cardiologici non è nota. Questo studio ha incluso 1.244 uomini arruolati nel Post-Coronary Artery Bypass Graft (CABG) Trial. I partecipanti erano assegnati in maniera random a lovastatina in basse (media 40 mg) o alte (media 76 mg) dosi e a basse dosi di warfarin (medio [INR] 1.4, goal INR <2.0) o a placebo in un disegno fattoriale. I livelli di Alanina aminotransferasi (ALT) e di INR venivano misurati ogni 6-12 settimane per 4 o 5 anni. L’introito alcolico era caratterizzato come astensione (<1 drink a settimana), leggero (1–6 drinks a settimana), moderato (7–13 drinks a settimana), e pesante (≥ 14 drinks a settimana). Durante il follow-up,il 66% degli uomini che assumevano warfarin avevano un INR di 2.0 o più elvato, e il 7% degli uomini aveva una ALT di 80 IU/L o più elevata. I livelli massimi di INR (P=0.72) e di ALT (P=0.51) non differivano tra categorie di introito alcolico. I rischi di un INR di 2.0 o più elevato erano 67%, 66%, 68%, e 61% tra non-, leggero, moderato, e pesante bevitore, rispettivamente. I rischi corrispondenti di una ALT di 80 IU/L o più erano 8%, 10%, 9%, e 6%, rispettivamente. I risultati di questo trial mostrano che il bere moderato non influenza negativamente la sicurezza di basse dosi di warfarin o di dosi anche elevate di lovastatina tra gli uomini arruolati nello studio, come evidenziato dai livelli di INR e di ALT. Mentre questi risultati non hanno raggiunto necessariamente la validità esterna in assenza di dati più conclusivi riguardanti dosi più elevate o terapeutiche di warfarin, è interessante che i risultati oggettivi non indicano un’associazione di danno. E’ ragionevole consigliare ai pazienti di evitare forti dosi di introito alcolico; tuttavia, l’introito alcolico lieve-moderato non sembra interagire negativamente con la terapia con warfarin a basse dosi o con la terapia con lovastatina. Fonte: Moderate alcohol consumption and safety of lovastatin and warfarin among men: the post-coronary artery bypass graft trial. Mukamal KJ, Smith CC, Karlamangla AS, Moore AA. Am J Med 2006 May;119(5):434–40.
8) Questa analisi post-hoc del Physician’s Health Study ha cercato di identificare l’associazione tra bere lieve-moderato e incidenza di scompenso cardiaco (SC) in 5.153 medici maschi ipertesi liberi da stroke, infarto miocardico, o cancro alla linea basale. Il consumo alcolico è stato autoriportato classificato come <1, 1–4, 5–7, e ≥ 8 drinks/a settimana. Lo SC è stato accertato attraverso questionari di follow-up ed utilizzando i criteri validati di Framingham. L’età media era di 58 anni, e circa il 70% dei soggetti consumava 1–7 drinks/a settimana. Rispetto ai soggetti che consumavano <1 drink/a settimana, la hazard ratios per SC era 0.89, 0.72 , e 0.38 per il consumo alcolico di 1–4, 5–7, e ≥ 8 drinks/a settimana dopo aggiustamento per età, body mass index, fumo, esercizio fisico e storia di fibrillazione atriale, rispettivamente. Questi dati suggeriscono che il consumo alcolico lieve-moderato era associato ad un più basso rischio di SC in medici maschi ipertesi. Sebbene il bere aumenti la pressione arteriosa ed il bere leggero sia stato associato a cardiomopatia alcolica, si sa poco circa l’associazione tra consumo alcolico lieve-moderato e rischio di scompenso cardiaco (SC); tuttavia, gli autori ipotizzano che poiché l’alcool è un diuretico potrebbe prevenire il sovraccarico di volume e ritardare l’inizio dei segni e sintomi dello scompenso. L’elemento chiave di questi dati, insieme con i risultati di altri studi prospettici, è il grado di introito alcolico. Questi risultati suggeriscono che il consumo lieve-moderato di alcool è associato ad un rischio più basso di SC in medici maschi ipertesi. Fonte: Alcohol consumption and heart failure in hypertensive US male physicians. Djousse L, Gaziano JM. Am J Cardiol 2008 Sept 1;102(5):593–7.
9) Studi precedenti hanno suggerito che il consumo regolare, da moderato a pesante, di alcool potrebbe aumentare il rischio di sviluppare fibrillazione atriale in uomini, non in donne. La proposta di questo studio osservazionale di coorte di pazienti arruolate nel Womens’ Health Study era di valutare prospetticamente l’associazione tra consumo regolare di alcool e incidenza di fibrillazione atriale tra donne. Questo studio ha incluso 34.715 donne inizialmente sane che hanno documentato il consumo alcolico su di un questionario alla linea basale e a 48 mesi di follow-up e sono state raggruppate in 4 categorie (0, > 0 e < 1, ≥ 1 e < 2, e ≥2 drinks al giorno). Dopo più di 12 anni di follow-up, sono stati confermati 653 casi di fibrillazione atriale incidente. L’incidenza aggiustata per età tra donne che consumavano 0 (n = 15.370), più di 0 e meno di 1 (n = 15.758), 1 o più e meno di 2 (n = 2.228), e 2 o più (n = 1.359) drinks al giorno era 1.59, 1.55, 1.27, e 2.25 eventi/1000 persone-anno di follow-up. Rispetto alle donne non bevitrici, le donne che consumavano 2 o più drinks al giorno avevano un rischio assoluto aumentato di 0.66 eventi/1000 persone-anno. Questo studio prospettico di coorte ha confermato che donne sane di mezza età, che consumavano più di 2 drink al giorno, non erano a rischio aumentato di incidenza di fibrillazione atriale; tuttavia, un bere più pesante (> di 2 drinks al giorno) era associato ad un rischio aumentato. Fonte: Alcohol consumption and risk of incident atrial fibrillation in women. Conen D Tedrow UD, Cook NR et al. JAMA. 2008 Dec 3; 300(21):2489–96.
In conclusione: Effetti avversi cardiovascolari: Esacerbazione dell’angina (E), scompenso cardiaco (E), cardiomiopatia idiopatica (B), e fibrillazione atriale (A). Interazioni farmacologiche: Aumentato rischio di sanguinamento gastrointestinale con l’uso concomitante di aspirina (C), aumentato rischio di emorragia per il ridotto metabolismo del warfarin (C), e possibile riduzione dell’efficacia terapeutica dell’anticoagulazione per l’induzione del metabolismo del warfarin (E).
Commento di Patrizia Iaccarino Per quanto riguarda il medico di medicina generale e la posizione più corretta che egli possa assumere rispetto al paziente nel consigliare o sconsigliare la assunzione alcolica, ci piace citare testualmente le conclusioni di John B. Standridge alla sua revisione “Alcohol Consumption: An Overview of Benefits and Risks”, South Med J. 2004;97(7), che condividiamo pienamente : “L’alcool è visto come un nutrimento benefico che prolunga la vita ed alimenta uno stile di vita piacevole e divertente da alcuni, ma è egualmente riconosciuto come una tossina che distrugge la vita a vari livelli da altri. In medicina non esiste un’arma a doppio taglio più tagliente. Sebbene sia appropriato raccomandare la terapia β-bloccante dopo un infarto miocardico, per la sua dimostrata riduzione di mortalità del 23%, secondo la nostra opinione ai medici non dovrebbe competere il raccomandare basse dosi di consumo alcolico, che fornisce una riduzione di mortalità del 27%. La ragione per tale esitazione è dovuta alla differenza di ampiezza di rischio di poter sviluppare patterns di abuso. L’antico detto, sempre valido, cita: Primum non nocere . Un medico astuto e ben informato, che conosce i suoi pazienti come conosce la medicina, dovrebbe essere cauto nel consigliare i pazienti su questo tema. Noi abbiamo conoscenza, qualche intuizione, ma non preveggenza. Presentando sia i rischi sia i benefici della moderata assunzione di alcool, secondo i particolari benefici e rischi attribuibili a ciascun individuo, si dovrebbe aumentare la capacità di ciascun paziente di prendere decisioni individualizzate e informate”.
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