Exemestane riduce in 3 anni di trattamento del 65% i casi di cancro mammario invasivo in donne in post menopausa a rischio moderato per questo tipo di neoplasia.
In questo studio randomizzato e controllato, in doppio cieco, sono state arruolate 4.560 donne in post menopausa (età media 62,5 anni) che avevano almeno uno dei seguenti fattori di rischio per cancro mammario: età >= 60 anni, score di Gail a 5 anni > 1,66% (rischio in 100 donne di sviluppare un cancro mammario invasivo in 5 anni), anamnesi positiva per iperplasia duttale o lobulare atipica, carcinoma lobulare in situ oppure carcinoam duttale in situ con mastectomia.
Lo score mediano di Gail risultò essere di 2,3%.
Le partecipanti sono state randomizzate a exemestane oppure placebo.
Dopo un follow up medio di 35 mesi furono diagnosticati 11 cancri mammari invasivi nel gruppo exemestane e 32 nel gruppo placebo (HR 0,35; 95%CI 0,18-0,70; p = 0,002).
Eventi avversi si verificarono nell'88% del gruppo exemestane e nel 85% del gruppo placebo. Non ci furono differneze fra i due gruppi per quanto riguarda fratture, eventi cardiovascolari, altre neoplasie, mortalità totale o decessi associati al trattamento. Fururono osservate differenze minime per quanto riguarda la qualità di vita.
Fonte:
Goss PE et al. for for the NCIC CTG MAP.3 Study Investigators. Exemestane for Breast-Cancer Prevention in Postmenopausal Women. N Engl J Med 2001 Jun 23; 364:2381-2391.
Commento di Renato Rossi
La FDA ha approvato sia il tamoxifene che il raloxifene per la riduzione del rischio di cancro mammario nelle donne ad alto rischio per questa neoplasia, anche se, almeno in Italia, questa strategia è lontana dall'essere una pratica clinica frequente.
Il passo successivo è stato, ovviamente, quello di testare gli inibitori dell'aromatasi. Ed ecco quindi arrivare il primo studio sull'exemestane, che dimostra come la sua somministrazione per circa 3 anni a donne in post menopausa a rischio moderato di cancro mammario riduca del 65% (in termini relativi) tale rischio. In termini assoluti però l'efficacia del trattamento appare meno eclatante: i casi diagnosticati di cancro mammario invasivo sono stati 0,55% nel gruppo placebo e 0,19% nel gruppo trattamento. Tradotto in altri termini questo vuol dire che si devono trattare circa 277 donne per 3 anni per evitare un caso di neoplasia mammaria invasiva.
Un editoriale di accompagnamento [1], dopo aver osservato che probabilmente i tre inibitori dell'aromatasi (letrozolo, anastrozolo ed exemestane) sono di efficacia paragonabile, conclude che attualmente i medici hanno a disposizione tre scelte (tamoxifene, raloxifene, inibitori dell'aromatasi) per la profilassi primaria del cancro mammario invasivo, che rappresenta la seconda causa di morte per cancro negli USA. Perciò non ci dovrebbero essere più scuse per ulteriori attese.
In effetti i dati degli studi sono a favore dei farmaci.
Tuttavia a nostro avviso rimangono alcuni dubbi legati soprattutto ad un punto critico che assume molta importanza nella pratica di tutti i giorni: la corretta individuzione delle pazienti a rischio moderato o elevato che possono tratte giovamento dalla chemioprofilassi. In questo possono essere di aiuto dei sistemi a punteggio di cui abbiamo scritto in precedenza e a cui rimandiamo [2]
Fonte: