Il problema delle prescrizioni off-label (fuori scheda tecnica)
Data: Argomento: Normative di interesse sanitario
La prescrizione di farmaci al di fuori delle indicazioni riportate in scheda tecnica e' reagolata da specifiche norme di legge che la permettono solo in casi particolari. Ne conseguono importanti problemi di responsabilita' professionale, specialmente se si verificano eventi avversi, oltre a problematiche attinenti il controllo della spesa farmaceutica. Uno studio ha cercato di analizzare il problema
Sappiamo poco circa la prevalenza dell’off-label e circa i fattori che la determinano. Partendo da queste premesse, gli autori di questo lavoro, utilizzando il Medical Office of the XXI Century electronic health record network in Quebec, Canada, dove la documentazione della indicazioni di trattamento è obbligatoria, hanno raccolto i dati di 113 medici di cure primarie, con 253.347 prescrizioni elettroniche per 50.823 pazienti da Gennaio 2005 a Dicembre 2009. Ciascuna indicazione del farmaco era classificata come on-label o off-label secondo l’Health Canada drug database. Utilizzando modelli di regressione logistica alternati, sono state stimate le associazioni tra uso off-label e farmaci, pazienti e caratteristiche dei medici. Risultati
La prevalenza dell’uso off-label era dell’11.0%; delle prescrizioni, il 79.0% mancava di forti evidenze scientifiche. L’uso off-label era più alto per i farmaci del sistema nervoso centrale (26.3%), compresi gli anticonvulsivanti (66.6%), gli antipsicotici (43.8%), e gli antidepressivi (33.4%). Specifici farmaci con il più alto indice di uso off-label comprendevano il solfato di chinino (99.5% delle prescrizioni) seguito da gabapentin (99.2%), clonazepam (96.2%), amitriptilina idrocloride (93.7%), trazodone idrocloride (92.6%), e betaistina diidrocloride (91.5%). Tra i 15 farmaci con il più alto uso off-label, 8 non incontravano i criteri di studio per avere forti evidenze scientifiche. La più bassa prevalenza di uso off-label era per gli antidiabetici (0%-2%), gli ipolipemizzanti (0%-0.5%), e per i farmaci antiemicrania (0%).+ Le indicazioni che avevano la maggiore probabilità di essere trattate con farmaci off-label comprendevano i crampi notturni e la vertigine posizionale benigna, per le quali il 100% dei farmaci prescritti era off-label. Il dolore neuropatico era trattato off-label il 99,5% delle volte con farmaci quali gabapentin, amitriptilina e topiramato. Altre indicazioni erano la fibromialgia (67.0%), l’aritmia (60.2%), il disturbo d’ansia generalizzato (46.5%), e l’insonnia (43.6%).
I farmaci con 3 o 4 indicazioni approvate erano associati ad un minore uso off-label rispetto a quelli con 1 o 2 indicazioni approvate (6.7% vs 15.7%; la odds ratio aggiustata [AOR], è 0.44; 95% IC, 0.41-0.48). I farmaci approvati dopo il 1995 erano stati prescritti off-label meno di quelli approvati prima del 1981 (8.0% vs 17.0%; AOR, 0.46; 95% IC, 0.42-0.50). I pazienti con un Indice Charlson di Comorbilità di 1 o più avevano un minore uso off-label rispetto a pazienti con un indice di 0 (9.6% vs 11.7%; AOR, 0.94; 95% IC, 0.91-0.97). I medici con orientamento evidence-based avevano minori probabilità di prescrivere off-label (AOR, 0.93; 95% IC, 0.88-0.99), un 7% di riduzione per 5 punti nella sezione evidenze della Evidence-Practicality-Conformity Scale.
Gli autori concludono che la prescrizione off-label è comune e varia secondo le caratteristiche del farmaco, del paziente e del medico. La prescrizione elettronica dovrebbe documentare le indicazioni di trattamento per monitorare l’uso off-label.
Nell’editoriale di accompagnamento, Patrick G. O’Malley mette in discussione il reale significato della parola “off-label”. Tecnicamente, significa prescrivere un farmaco o un device per indicazioni o per sottogruppi di popolazioni che le agenzie regolatorie non hanno ufficialmente approvato. In molti paesi (compresi gli USA) è legale, e si basa sulla premessa che le agenzie regolatorie non hanno l’autorità di controllare la pratica della medicina. Ma cosa significa realmente?-egli si domanda-. Vi sono molti esempi di terapie mediche efficaci per condizioni per le quali non erano state approvate, un classico esempio è l’aspirina per la sindrome coronarica acuta: le agenzie regolatorie non ne hanno approvato l’uso fino a quando l’evidenza non ne ha dimostrato il beneficio. Il processo di approvazione dei farmaci per specifiche indicazioni è oneroso, richiede risorse sostanziose e rischi finanziari. Anche se vi sono studi disponibili che dimostrano l’efficacia, il peso dell’applicazione della indicazione è a totale carico della compagnia farmaceutica. A meno che non vi sia probabilità ragionevole per margini di profitto, l’industria farmaceutica probabilmente non è interessata alla approvazione regolatoria. Pertanto, vi sono ovvie limitazioni al processo di “labeling” che inibisce non solo il potenziale accesso a trattamenti efficaci ma anche la validità del labeling stesso. Un processo migliore dovrebbe seguire un aggiornamento più facile delle indicazioni in scheda tecnica che sia concordante e commisurato alla forza delle evidenze. Secondo il parere dell’autore, vi è una inadeguato monitoraggio dell’uso dei farmaci secondo indicazione, evidenza o appropriatezza e la definizione off-label non significa necessariamente che vi è insufficiente evidenza per l’uso. L’informazione più importante è la utilizzazione secondo la forza delle evidenze, per cui vi è maggiore probabilità di pratica inappropriata che si verifica con l’uso di farmaci per i quali vi è insufficiente evidenza. Non possiamo, egli sostiene, realmente giudicare lo scopo o la gravità del rischio di questa pratica senza conoscere i corrispondenti esiti clinici associati a tali prescrizioni. Il problema reale è che l’uso off-label può essere attualmente soltanto un marker crudo di uso inappropriato.
Il significato di uso off-label dipende dalla prospettiva, specialmente in aree nelle quali manca l’evidenza. Nella pratica clinica, chi si interfaccia con un paziente complesso sofferente per il quale non vi è trattamento evidence-based, può essere completamente appropriato e razionale estrapolare l’efficacia di un trattamento da una condizione ad un’altra. In questo caso, uso off-label significa poco. In poche parole, vi sono limiti all’evidenza che è disponibile per guidare il clinico impegnato riguardo la miriade di decisioni complesse che egli deve prendere ogni giorno. Data l’eterogeneità delle popolazioni cliniche, il gap transazionale nell’evidenza tra efficacy ed effectiveness delle ricerca e la complessità della pratica nel mondo reale, dovrebbe esserci una enorme task a supportare il labeling per ogni possibile uso potenziale. Di contro, l’11% di prevalenza di off-label (riscontrata da Eguale) prescritta si può considerare attualmente bassa, in relazione alla penetranza dell’efficacia dei trattamenti per soddisfare l’onere malattia. La realtà è che quando ci si confronta con sintomi e sindromi difficili che non sono responsivi ai trattamenti disponibili, i clinici ricorrono a quanto sembra ragionevole per alleviare la sofferenza.
O’Malley avanza anche dei suggerimenti: bisogna focalizzare il discorso meno sul sovrauso o sul sottouso o sull’uso off-label e più sull’evoluzione verso una migliore misurazione dell’uso appropriato basato su collegamenti ad esiti clinici, e a processi per ottimizzare l’uso. Vi è un’ampia evidenza di problemi sia con il sovrauso sia con il sottouso dei farmaci ma vi è scarsa evidenza sul come raggiungere un uso ottimale. Abbiamo bisogno di maggiore ricerca clinica per guidare l’uso. Il che significa, di un’agenda di ricerca di efficacia comparativa più ampia e più utile. Sappiamo che vi è insufficiente evidenza per supportare le decisioni nella pratica dei medici. Troppo spesso, le decisioni vengono basate sulla estrapolazione dell’efficacia dei trials, o, peggio, delle linee guida. La ricerca ha bisogno di focalizzarsi sul come legare in maniera più accurata e monitorare l’uso con l’indicazione e l’identificazione della malattia con l’efficacia degli interventi. Questo potrà aiutare ad ottimizzare l’uso e minimizzare il sottouso o l’uso dannoso. L’attuale implementazione della cartella clinica elettronica potrebbe plausibilmente fare ciò al momento della prescrizione e con il monitoraggio degli esiti in maniera più sistematica. Vi è ancora molta strada da fare per valutare meglio e monitorare l’appropriatezza della prescrizione dei farmaci. Riferimenti: Drug, patient, and physician characteristics associated with off-label prescribing in primary care Eguale T, Buckeridge DL, Winslade NE, Benedetti A, Hanley JA, Tamblyn R. [published online April 16, 2012]. Arch Intern Med. 2012;172(10):ioi120006781-788 What Does Off-label Prescribing Really Mean?What Does Off-Label Prescribing Really Mean? Patrick G. O’Malley.ùArch Intern Med. 2012;172(10):759-760. Commento di Patrizia Iaccarino Interessante il discorso dell’editorialista, soprattutto per quanto riguarda il ritardo dei processi regolatori nell’adeguamento delle schede tecniche alle nuove evidenze, processo che certamente meriterebbe di una velocizzazione. Ma vi sono altre problematiche non considerate nel lavoro in oggetto. In Italia, tutto quanto è “off-label”, non è prescrivibile e, quindi, non è rimborsato dal SSN, pertanto, il paziente è costretto all’onere del pagamento del farmaco prescritto. La prescrizione di un farmaco off-label, quindi, realizza, talvolta, una ulteriore discriminazione del paziente, secondo le sue possibilità economiche. La mancata conoscenza di questa legge spesso finisce per determinare un contenzioso tra i pazienti, cui lo specialista ha prescritto un farmaco off-label, e il medico di medicina generale, che è tenuto al rispetto della legge, per quanto riguarda la prescrivibilità. La attuale normativa vigente sull’ off label recita: “Si definisce off-label, la prescrizione di medicinali per patologie che non dispongono di valida alternativa terapeutica da erogarsi a totale carico del cittadino (DL n. 23/1998 e Legge n. 94/1998). Un medico può prescrivere, sotto la propria esclusiva e diretta responsabilità, medicinali al di fuori delle condizioni di registrazione qualora ritenga, sulla base di dati documentabili, che un paziente non possa essere trattato utilmente con medicinali già approvati per quella indicazione terapeutica, via o modalità di somministrazione. Tale prescrizione può avvenire solamente nei casi in cui l’impiego proposto del farmaco sia documentato e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale. Prima della prescrizione il medico deve acquisire il consenso informato scritto del paziente”.
Molto spesso, noi medici di medicina generale ci imbattiamo in prescrizioni off label da parte degli specialisti (per citarne qualcuno dei più frequenti, l’acido ursodesossicolico nelle steatosi epatiche, un PPI associato ad un FANS indipendentemente dall’età e dal rischio di sanguinamento del paziente, FANS utilizzati a dosaggi non autorizzati per determinate patologie, farmaci antiepilettici nel disturbo bipolare) e siamo costretti a realizzare noi il processo informativo che lo specialista non attua. Se aggiungiamo, poi, che spesso il farmacista anticipa il farmaco al paziente prima di ottenere la ricetta del SSN, sarà facile comprendere come il contenzioso con il paziente aumenti…
Lodevole, invece, l’iniziativa dell’AIFA , che ha istituito delle liste di farmaci con uso consolidato, sulla base dei dati della letteratura scientifica, per indicazioni anche differenti da quelle previste dal provvedimento di autorizzazione all'immissione in commercio, nel trattamento dei tumori solidi nell'adulto, nel trattamento dei tumori pediatrici, nel trattamento delle neoplasie e patologie ematologiche, nel trattamento di patologie neurologiche e nel trattamento correlato ai trapianti. Le liste sono disponibili al sito: http://goo.gl/xZQEV
|
|