La fibrillazione atriale parossistica silente potrebbe essere più frequente di quanto si creda ed essere responsabile di ictus ischemici di origine ignota.
E' noto che una delle cause più importanti di ictus ischemico è la fibrillazione atriale.
Tuttavia si vedono con una certa frequenza ictus ischemici in pazienti che non soffrono di fibrillazione atriale e nei quali non sono evidenti neppure altre cause (come per esempio una stenosi carotidea oppure una patologia aterosclerotica diffusa).
In realtà la possibilità attuale di poter disporre di registrazioni elettrocardiografiche continue di 24 ore (ECG secondo Holter) o addirittura di giorni (loop recorder) ci ha permesso di scoprire che esistono pazienti che vanno incontro ad episodi anche prolungati di fibrillazione atriale del tutto asintomatici dal punto di vista clinico.
Qual è l'importanza di questi episodi? Si può ipotizzare che possano essere la causa (o almeno una delle cause) dei cosiddetti ictus idiopatici?
Sembrerebbe di si, secondo uno studio pubblicato dal New England Journal of Medicine.
Nello studio, denominato ASSERT (Asymptomatic AF and Stroke Evaluation in Pacemaker Patients and the AF Reduction Atrial Pacing Trial), erano stati arruolati 2580 pazienti portatori di pacemaker e con anamesi negativa per fibrillazione atriale anche pregressa.
La registrazione dei tracciati effettuata mediante il device ha permesso di osservare che, durante un follow up di almeno 3 anni, circa un paziente su tre va incontro ad episodi di fibrillazione atriale clinicamente silente della durata di almeno sei minuti. Si è visto inoltre che questi episodi aritmici erano associati ad un rischio di ictus ischemico aumentato di circa 2,5 volte. Il rischio risultava ancora maggiore se il paziente aveva un CHADS2 score di 2 o più elevato.
Se è vero quindi che episodi prolungati di fibrillazione atriale silente possono causare ictus ischemico, la domanda conseguente è se il trattamento con anticoagulanti possa essere utile come per i pazienti con fibrillazione atriale clinicamente manifesta.
Per il momento la domanda rimane senza una risposta certa in quanto non esistono RCT che abbiano esplorato questa specifica situazione.
Rimane il fatto che la disponibilità di registrazione elettrocardiografiche continue porterà sempre più il medico a individure pazienti con episodi di fibrillazione atriale silente.
Cosa fare in questi casi? In mancanza di evidenze certe è giocoforza affidarsi al buon senso clinico. Una strategia ragionevole potrebbe essere quella di sottoporre a terapia anticoagulante quei soggetti che presentano episodi silenti prolungati e ripetuti, soprattutto se il loro rischio tromboembolico secondo la valutazione CHA2DS2-VASc risulta elevato, comportandosi in pratica come di fronte a episodi parossistici clinicamente evidenti [2].
Renato Rossi
Referenze
1. Healey JS et al. for the ASSERT Investigators. Subclinical Atrial Fibrillation and the Risk of StrokeN Engl J Med 2012 Jan 12; 366:120-129
2. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=5191