E' davvero utile lo screening del diabete?
Data: Argomento: Medicina Clinica
Il primo studio randomizzato e controllo sullo screening del diabete tipo 2 in soggetti a rischio suggerisce che i benefici di una diagnosi precoce potrebbero essere inferiori a quanto comunemente si ritiene.
Pur in mancanza di studi randomizzati e controllati le società scientifiche diabetologiche consigliano di effettuare lo screening del diabete tipo 2 negli ipertesi, negli ipercolesterolemici, negli obesi, nei soggetti con parenti di primo grado affetti da diabete e in tutti gli adulti dopo i 45 anni.
In realtà finora non era noto se una diagnosi precoce attuata mediante screening e il successivo trattamento fossero in grado di ridurre le complicanze e la mortalità associate al diabete. La United States Preventive Services Task Force, in controtendenza rispetto a quanto generalmente consigliato, raccomanda lo screening solo nei soggetti con valori pressori superiori a 135/80 mmHg, anche se ammette comunque la mancanza di evidenze circa l'effettiva utilità di un intervento precoce [1]. Arriva ora uno studio clinico randomizzato e controllato [2] effettuato in 33 practices inglesi. Sono stati reclutati oltre 20.000 pazienti, randomizzati in tre gruppi: nessuno screening, screening seguito da trattamento intensivo in caso di riscontro di diabete, screening seguito da trattamento standard. I partecipanti avevano un'età compresa tra 40 e 69 anni e un elevato rischio di avere un diabete non diagnosticato calcolato mediante un apposito score. L'endpoint primario era la mortalità da tutte le cause. Il follow up è stato, in media, di 9,6 anni. Non si è riscontrata alcune differenza tra i tre gruppi per quanto riguarda la mortalità totale, la mortalità cardiovascolare, la mortalità neoplastica, la mortalità correlata al diabete e la mortalità da altre cause. Gli autori concludono che lo screening del diabete in soggetti a rischio elevato potrebbe portare a benefici minori di quelli attesi. Che dire? Dal punto di vista pratico questo studio probabilmente non porterà a importanti variazioni nella medicina di tutti i giorni perchè una valutazione della glicemia effettuata quando si richiedono esami ematochimici per qualche motivo clinico o semplicemente per un controllo (magari sollecitato dal paziente) non si nega mai. Tuttavia lo studio merita di essere ben esaminato. Intanto perchè è il primo studio di tipo randomizzato e controllato che abbia valutato l'efficacia dello screening del diabete su un endpoint hard come la mortalità. In secondo luogo perchè suggerisce che se anche si anticipa la diagnosi di diabete di alcuni anni sembra non ci siano benefici clinici importanti, neppure se la malattia viene trattata in maniera aggressiva. Nel mondo reale, poi, i benefici potrebbero essere ancora minori stante la notoria difficoltà di impostare terapie molto aggressive in soggetti asintomatici o paucisintomatici. Ovviamente si può sempre obiettare che lo studio ha avuto una durata troppo breve per valutare appieno gli eventuali benefici di un trattamento precoce, in quanto è noto che le complicanze della malattia diabetica compaiono generalmente dopo molti anni. Una possibile contro obiezione è che noi non sappiamo, in realtà, quando la malattia è iniziata nei soggetti partecipanti allo studio ADDITION-Cambridge in quanto si trattava di soggetti asintomatici. E' pensabile però che, perlomeno per quelli che avevano più di 55-60 anni, il diabete datasse comunque da tempo e quindi un follow up di circa 10 anni può riteneresi ragionevolmente adeguato. In ogni caso vedremo, in futuro, come le linee guida recepiranno i risultati di questo studio e se altri RCT potranno apportare ulteriori contributi. Renato Rossi Bibliografia 1. http://www.pillole.org/public/aspnuke/news.asp?id=4072 2. Simmons RK et al. Screening for type 2 diabetes and population mortality over 10 years (ADDITION-Cambridge): a cluster-randomised controlled trial. Lancet. Pubblicato anticipatamente online il 4 ottobre 2012. doi:10.1016/S0140-6736(12)61422-6 http://tinyurl.com/99mnufp
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