Aumentare le diagnosi non sempre migliora la prognosi
Data: Argomento: Pensieri e opinioni professionali
L' esame del paziente multiproblematico non si risolve soltanto con un aumento delle diagnosi "Pluralitas non est ponenda sine necessitate” Guglielmo di Ockham XIV° Secolo La gestione del paziente multiproblematico, del paziente fragile o più genericamente del paziente complesso è uno dei problemi più rilevanti dei sistemi sanitari di tutti i paesi avanzati. La co-morbidità è presente in ogni fascia di età ma nel Regno Unito i pazienti di età superiore a 65 anni nel 50% dei casi presentano almeno 3 condizioni croniche coesistenti. (1)
Negli USA, i dati di Medicare del 2002 indicano che il 50% degli assistiti presentano almeno 5 condizioni croniche in trattamento.(2); gli assistiti Medicare con 6 o più problemi cronici subiscono frequenti ricoveri e pur rappresentando solo il 12% degli assistiti Medicare attingono al 43% dei fondi globali e quasi al 50% dei fondi per le spese di ospedalizzazione. (3)
Le linee guida di buona pratica clinica sono quasi sempre dedicate ad un singolo quadro clinico, tanto nell’approccio diagnostico che nel protocollo terapeutico. Molto raramente la ricerca e le indicazioni dei gruppi di esperti si occupano della co-morbidità ed in particolare della interazione tra le varie forme morbose , delle modifiche che ciascuna di esse induce nelle altre dei gravi problemi correlati alla semplice ed acritica somma delle singole terapie. E’ sorprendente constatare come importanti dati che evidenziano i limiti di questo approccio ed i vantaggi di un approccio non specialistico ma generalistico e globale al paziente multiproblematico sia in termini di costi che di risultati siano quasi ignorati; anche la semplice regola metodologica di considerare caso per caso la opportunità di “non richiedere accertamenti” “non prescrivere nuove terapie” “non confermare la terapia in corso” viene raramente presa in considerazione nelle linee guida e nelle raccomandazioni degli esperti (4,5). Il dato è ancor più sconcertante se consideriamo la grande quantità di dati sugli effetti negativi dell’approccio plurispecialistico - pluriterapeutico. . La moltiplicazione delle diagnosi e delle terapie Uno degli assiomi fondamentali della medicina moderna è quello di correlare i problemi ad una diagnosi ed ove questo non sia possibile valutare se siamo di fronte ad un nuovo quadro morboso: il moltiplicarsi delle diagnosi possibili è sempre stato considerato un fattore di progresso della medicina anche perché ad ogni diagnosi viene assegnata la relativa terapia. Questo assioma ha funzionato benissimo fino a che qualcuno ha segnalato che talora si creavano nuovi quadri morbosi che non avevano un chiaro substrato fisiopatologico e che forse erano creati per giustificare l’impiego di farmaci in cerca di quote di mercato ( “disease mongering” ).(6)
Negli ultimi anni poi si è diffusa la tendenza a curare il fattore di rischio anziché la malattia impostando studi e congressi alla lotta ai così detti “ end point surrogati”. Esaminiamo alcuni esempi significativi. La ipercolesterolemia , anche modesta tende sempre più ad essere trattata farmacologicamente considerando l’abbassamento del colesterolo non come una diminuzione, talora insignificante, del rischio, ma come un indicatore di miglioramento dello stato di salute.
La recente introduzione della categoria diagnostica della “pre-ipertensione” per valori maggiori di 120/80 ( quindi una pre-malattia…) allarga a dismisura il numero delle persone pre-malate da trattare, spesso farmacologicamente. Ricordiamo che la precedente revisione dei valori di riferimento per la ipertensione nel 1993 aveva comportato negli USA un aumento del numero delle persone considerate ipertese di 22 milioni di soggetti, fino ad allora ritenuti sani: gran parte di queste persone sono tutt’ora in trattamento farmacologico. Secondo alcune stime anche la categoria diagnostica di pre-ipetensione comporterà la comparsa di decine di milioni di pre-ipertesi… Questi sono esempi limiti e particolarmente significativi, ma la tendenza a largheggiare con il numero di diagnosi e conseguentemente di terapie è largamente diffusa tra noi medici
Ed ora occupiamoci brevemente della moltiplicazione delle terapie.
Gli “eventi avversi farmaco correlati” rappresentano la V° causa di morte negli ospedali USA e ben il 17% dei ricoveri degli ultra 65 anni è riconducibile a questa causa: è sorprendente come il riferimento ai possibili effetti collaterali ed alle possibili interazioni sia così raro nelle raccomandazioni sulle malattie croniche (2). Un importante studio pubblicato negli USA prende in esame la applicazione delle linee guida di ciascuna singola malattia in pazienti con 5 condizioni croniche: il risultato sono 12 farmaci da assumere in 19 dosi in 5 differenti momenti della giornata; viene spontaneo chiedersi come potranno i pazienti anziani seguire una simile terapia, ma ciò che più importa è che qualora la seguissero diligentemente avranno ottime probabilità di presentare almeno 1 delle 10 interazioni od effetti collaterali prevedibili con questo genere di politerapie. (8) E’ stato infatti dimostrato che il rischio di eventi aversi farmaco-correlati è del 13% con due farmaci, sale al 38% con quattro farmaci e raggiunge l’82% con sette farmaci(9). Inoltre le politerapie comportano un aumentato rischio di scarsa compliance: la mancata adesione alla terapia e gli effetti collaterali sono più frequenti negli anziani che vivono soli, in coloro che hanno problemi cognitivi o scarsa cultura ed in tutti i casi in cui la politerapia è la risultante delle prescrizioni di diversi medici (9).
Conclusioni Le linee guida diagnostico terapeutiche sono generalmente redatte da specialisti che molto spesso non prendono in considerazione altre malattie concorrenti ed eventi avversi delle multiterapie. Vi sono tuttavia crescenti dati per sostenere la opportunità che questi pazienti siano trattati da medici “generalisti” che con un approccio “bio-psico-sociale” valutino in ogni singolo paziente quanto una nuova etichetta diagnostica ed un nuovo protocollo terapeutico possa aggiungere od invero togliere allo stato di salute dell’individuo assistito.
Riccardo De Gobbi
Biblografia 1) Barnett K, Mercer SW, Norbury M, Watt G, Wyke S, Guthrie B.: Epidemiology of multimorbidity and implications for health care, research, and medical education: a cross-sectional study. Lancet 2012; published online 10 May 2) Mangin Dee, Health I, Jamoulle M. :Beyond diagnosis: rising to the multimorbidity challenge BMJ 2012;344:e3526 3) Centers for Medicare & Medicaid Services. Chronic Conditions Among Medicare Benefi ciaries, Chart Book. Baltimore, MD. 2011 http://www.cms.gov/TheChartSeries/Downloads/ChartbookFinal.pdf. 4) Jerant A, Fenton JJ, Franks P. Primary care attributes and mortality: a national person-level study. Ann Fam Med 2012;10:34-41. 5) Starfield B, Shi L, Macinko J. Contribution of primary care to health systems and health. Milbank Qtly 2005;83:457-502 6) Moynihan R,Healt I, Henry D. Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering BMJ 2002; 324:886-91 7) Rosendorff C, Black HR, Cannon CP, et al; American Heart AssociationCouncil for High Blood Pressure Research; American Heart Association Council on Clinical Cardiology; American Heart Association Council on Epidemiology and Prevention.: Treatment of hypertension in the prevention and management of ischemic heart disease: a scientific statement from the American Heart Association Council for HighBlood Pressure Research and the Councils on Clinical Cardiology and Epidemiology and Prevention. Circulation. 2007;115(21):2761-2788. 8) Boyd CM, Darer J, Boult C, Fried LP, Boult L, Wu AW. Clinical practice guidelines and quality of care for older patients with multiple comorbid diseases: implications for pay for performance. JAMA 2005;294:716-24 9) Petrovic M, van der Cammen T, Onder G.: Adverse Drug Reactions in Older People. Detection and prevention Drugs Aging 2012; 29(6):453-462
|
|