Segnalare la “latitanza” di un collega non costiuisce diffamazione
Data:
Argomento: Normative di interesse sanitario


Allorche’ dei medici segnalano l’ assenza del collega dal suo studio durante l’ orario, se il fatto e’ vero, non c'e' diffamazione (Cass. V pen n. 21043/2013)
Daniele Zamperini



I fatti
Due medici di ASL avevano segnalato per iscritto al dirigente di distretto (a quanto pare con toni piuttosto malevoli) le assenze di un collega dal suo ambulatorio durante l’ orario in cui doveva essere presente.
In un’ occasione i due si erano recati insieme nell’ ambulatorio per essere visitati, in una seconda occasione il medico, contattato da uno dei due, si era rifiutato di effettuare la visita.

Il medico “assente” aveva querelato per diffamazione i due medici, sostenendo che, nel primo caso, egli si trovava in una stanza diversa (per motivi logistici) da quella in cui era stato cercato; nel secondo caso non aveva effettuato la visita perche’ non aveva a disposizione la cartella clinica.

Il giudice di pace aveva assolto entrambi i medici sottolineando che la lesivita’ delle condotte dei due querelati era da escludersi in ragione della ammissione da parte dello stesso medico “assente” circa la verita’ delle circostanze di fatto segnalate nelle missive a firma degli imputati. Perciò,  secondo il GdP, veniva escluso un intento diffamatorio, avendo i medici inviato al dirigente delle missive «da considerarsi una lamentela per una situazione che si era verificata nell’orario di lavoro» senza voler offendere il collega ma soltanto sottolineare «alcune sconvenienze che certamente non ne hanno offuscato la dignità ed il prestigio».

Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello presentava ricorso in Cassazione.lamentando invece che il tenore dei due scritti rivelerebbe l’intenzione dei prevenuti (soprattutto per essere a loro volta medici incardinati nel servizio sanitario nazionale, e dunque consapevoli delle modalità concrete di svolgimento di quelle attività di assistenza) di «interpretare malevolmente le assenze della parte lesa, inquadrandole come sintomatiche di un arbitrario rifiuto di compiere atti dell’ufficio».

La Cassazione ha respinto il ricorso del Procuratore generale sottolineando soprattutto che gli eventi denunciati erano risultati veritieri, in quanto, avendosi riguardo al contenuto degli addebiti, entrambi gli imputati sono accusati di avere rappresentato al dirigente sanitario di avere atteso; per mezz’ora il collega presso gli ambulatori del secondo piano del distretto (senza averlo potuto rintracciare), mentre ad un solo medico si contestava di avere scritto che la parte civile si era rifiutata di effettuare la visita del 29/03/2007.
“Si tratta, all’evidenza, di asserzioni prive di intrinseca offensività, e che in tanto, possono risultare lesive della reputazione altrui in quanto se ne dimostri la falsità. Ma, come ricordato, così non è: il 22 febbraio, forse perché impegnato altrove (e non è dimostrato che i due imputati lo sapessero o ne dovessero essere, consapevoli), il Dott. C. non si vide; a fine marzo, non visitò il Dott. C. (e sempre di rifiuto si trattò, fondata o meno che fosse la giustificazione dedotta circa la mancata disponibilità della cartella clinica)”..

La Cassazione respingeva quindi il ricolrso.

Commento personale:
L’ assoluzione dei due medici “denuncianti” veniva percio’ confermata ma ritengo che vada meditato l’ inciso della Cassazione allorche’ sottolinea che la mancata visita del collega “sempre di rifiuto si tratto’, fondata o meno che fosse la giustificazione dedotta circa la mancata disponibilita’ della cartella clinica”.
Al sottoscritto sembra di leggere, in questo inciso, un segnale che indichi come tale rifiuto di compiere un atto del suo ufficio fosse da considerare in ogni caso illegittimo e che forse occorreva prendere in considerazione questo aspetto piuttosto che perseguire ostinatamente chi segnalava comportamenti discutibili.

Daniele Zamperini






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