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Curare i sani: il successo del Disease Mongering (parte 1)
Pubblicato da dzamperini in data 06/08/2017 00:00
Pensieri e opinioni professionali

Come e perché da decenni l'invenzione di nuove malattie accontenta case farmaceutiche, medici e pazienti.
( Un breve saggio in 2 puntate, a cura di G.Collecchia e R. De Gobbi su incarico della Redazione di Pillole) 


Introduzione 

Il disease mongering (commercio di malattie) è un sofisticato processo mediante il quale vari tipi di disturbi e malesseri vengono classificati come malattie, per le quali sono in genere prontamente disponibili terapie di vario genere e farmaci di vario tipo. 
La diffusione planetaria di questo allarmante fenomeno è legata ai considerevoli vantaggi che comporta: case farmaceutiche che incrementano i profitti, ricercatori medici che con molta fantasia e poco sforzo acquisiscono notorietà, pazienti ipocondriaci ansiosi e depressi che trovano finalmente una risposta, ancorché illusoria, alle proprie sofferenze.

Il commercio delle sofferenze viene infatti esteso alle problematiche della vita e della morte, alle emozioni, alla sessualità. Il marketing enfatizza i rischi di malattia, i pericoli per la salute e specularmente elenca i potenziali benefici delle cure mediche, le possibilità di intervento, per rassicurare chi nel frattempo è stato trasformato in malato e quindi in consumatore. I diritti di salute sono subordinati a quelli economici e si evidenzia una tendenza sempre maggiore a ridurre il progetto salute ad opzione, riferimento da enunciare, senza impegni da mantenere effettivamente.
Il connubio tra business e medicina non è peraltro recente, una lucida descrizione delle dinamiche con cui il mercato colonizza massicciamente l’ambito della salute è presente ad esempio nel fondamentale Nemesi Medica di I. Illich, dove viene descritta la paradossale nocività del sistema medico: “Il concetto di morbosità si è esteso fino ad abbracciare i rischi prognosticati. Dopo la cura delle malattie, anche la cura della salute è diventata una merce…..ci si tramuta in pazienti senza essere malati”[1].
Un tempo valeva la regola “Medicus non accedat nisi vocatur” (il medico non varchi la soglia se non è chiamato): il paziente, in base alla sintomatologia avvertita, decideva di recarsi dal medico. Oggi è il medico che stabilisce chi deve curarsi, indipendentemente dalla soggettività, in un passaggio sempre più sfumato dalla clinica alla preclinica, dalla cura del malato alla cura del sano[2] . Qualcuno si è chiesto se il sano non è in fondo soltanto “uno che non ha fatto abbastanza esami” [3].

Il disease mongering ha molto successo, oltre che per la potente alleanza fra industrie, medici e organizzazioni di pazienti, per una serie di motivi, ad esempio perché fa leva sulla necessità delle persone di conformarsi a modelli idealizzati di apparenza e comportamento e perché fornisce risposte alla paura atavica di soffrire e morire. La medicalizzazione inoltre è diventata il principale strumento per l’attribuzione di senso e riconoscimento sociale a fenomeni quali l’ansia, l’insoddisfazione, il disagio del vivere. Non va pertanto considerata un fenomeno costrittivo, etero-imposto, ma il frutto di un meccanismo selettivo, basato sui bisogni fondamentali della nostra esistenza. Si assiste ad una sempre maggiore espropriazione delle percezioni: il paziente, che dovrebbe essere l’esperto di se stesso, in realtà spesso non si identifica in tale ruolo. La conoscenza di sé sta diventando vera solo in quanto scientifica. Gli accertamenti, anziché strumento di conoscenza, sono divenuti oggetti di conoscenza “in sé”, rischiando di perdere il loro significato originale [4].

Questo sofisticato processo provoca una vera e propria costruzione delle malattie: sul piano qualitativo aumentando le non-malattie, sul piano quantitativo riducendo le soglie diagnostiche e terapeutiche, sul piano temporale mediante l’anticipazione della diagnosi, presentata come prevenzione.
Una delle più gravi conseguenze dell’enfasi sui determinanti medici della salute è il riduzionismo nella soluzione dei problemi, che devia l’attenzione e le risorse della collettività dai ben più importanti determinanti sociali, economici e ambientali [5,6,7].
Con questo nostro lavoro intendiamo proporre ai lettori alcuni strumenti logici e metodologici per riconoscere nell’informazione e nella letteratura i subdoli processi di Disease Mongering, per valutarli criticamente in particolare nelle loro ricadute psico-sociali, fornendo indicazioni per un approccio culturale e metodologico alternativo. 

Curare anche i sani : il “Colpo di Genio” del Disease Mongering 

La “scoperta” di una nuova malattia, ovvero il suo “processo di identificazione”ha iniziato a definirsi nella medicina positivistica sviluppatasi dapprima in Europa poi anche in USA tra l’inizio del Settecento e la metà del Novecento:sulla base di un approccio logico che risale ad Aristotele si ricercava l'agente causale di qualsiasi quadro morboso; individuato l’agente si ricercavano le condizioni favorenti e quelle ostacolanti lo sviluppo della malattia e quindi se ne cercava la terapia.

Le grandi ricerche di Koch e Pasteur sulla batteriologia, ma anche le geniali intuizioni di Ramazzini sull'ambiente di lavoro e di vita come causa di malattia, sono esempi illuminanti di questo approccio cognitivo che ha consentito l'enorme balzo in avanti della medicina moderna.[8] 
Questo approccio è tuttavia eccellente solo ove si possono individuare precisi agenti eziologici (esempio batteri e virus) o varie concause in parte modificabili (esempio carenza dietetica e scarsa esposizione al sole nel rachitismo), ma è meno efficace sulle malattie croniche degenerative ove si trattano spesso i sintomi (esempio BPCO) o addirittura i valori di laboratorio (esempio diabete).[9]
I grandi successi ottenuti contro le malattie infettive hanno creato in noi tutti l'illusione che la medicina e la farmaceutica possono guarire non solo ogni malattia ma anche ogni disturbo o malessere. Dagli ultimi decenni del Novecento si è infatti diffusa in tutto il mondo una speranza ed una attesa spesso miracolistica verso la medicina e tutta la scienza.[10] 

Nel fronte della ricerca farmacologica le grandi sfide del Cancro e della Demenza richiedono enormi investimenti, mentre gli innumerevoli disturbi di cui soffrono molte persone ed in particolare coloro che hanno tratti depressivi od ipocondriaci [11] si prestano molto bene ad essere curati con farmaci “me too”od “ever green”, di cui si estendono le indicazione terapeutiche, divenendo così in qualche modo e per qualcuno efficaci, se non altro perché i pazienti li accettano di buon grado e si lamentano meno. 
In questo terreno culturale ed in questo contesto antropologico quale migliore soluzione di raggruppare disturbi e sintomi aspecifici e di non chiara origine all'interno di ipotetici quadri sindromici ? 
Se questo primo passaggio pseudo-logico e pseudo- scientifico è accettato, il passaggio successivo è rapido e quasi liberatorio: dai Sintomi alla Sindrome e dalla Sindrome finalmente la regina della medicina: la Malattia.

La sofferenza, grazie a questo passaggio, illogico ma efficace, acquisisce nella nostra società quel senso e quel significato che in altre società potevano avere le fantasie di possessione, maledizione, sortilegio. Il soggetto è vittima di un evento esterno, la malattia, che ha superato le sue capacità di difesa, non è più una persona incapace di reagire alle proprie sofferenze ma ora è un essere che merita di essere curato e può affidarsi nelle mani di guaritori premurosi che hanno a disposizione decine di farmaci che leniscono, di integratori che potenziano, di diete che rendono tolleranti.

Benvenuti nel nuovo mondo: quello del Disease Mongering !!!

L ’avvenire di una illusione 

Il successo della “fabbrica delle malattie” è legato al fatto che la illusione gratifica tutti gli attori della commedia: i ricercatori che senza grandi fatiche “scoprono” nuove malattie, le case farmaceutiche che creano nuovi mercati per farmaci già prodotti, i medici pratici che trovano facili risposte a problemi complessi, i pazienti per i quali la sofferenza acquisisce un senso nel momento stesso in cui acquisisce un nome, specie se a questo nome viene associata una comoda terapia acquistabile a pochi euro. 
Come ogni buon gioco di prestigio anche il Disease Mongering ha successo e continua ad averlo perché risponde ai desideri dei prestigiatori di avere successo, e degli spettatori desiderosi di essere piacevolmente sorpresi.[12]

Giampaolo Collecchia, Riccardo De Gobbi 

Continua nella seconda parte 



Bibliografia Essenziale Prima Parte 

1. Illich I. Nemesi Medica – L’espropriazione della salute. 1977

2. Satolli R. La medicina che gioca di anticipo. Janus 2007; 26: 41-43

3. Smith R. http://www.pitt.edu/~super7/14011-15001/14881.ppt 

4. Tombesi M. Comunicazione personale

5. Payer L. Disease­mongers. New York: John Wiley, 1992.

6. Crawford R. Healthism and the medicalization of everyday life. Int JHealth Services 1980;10:365­88

7. Moynihan R., Heath I., Henry D.: Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering

8. Austoni M., Federspil G.: Principi di Metodologia Clinica Cedam Ed. Padova 1975

9. Yudkin J, Lipska KJ , Montori V M: The idolatry of the surrogate BMJ 2011;343:d7995 doi: 10.1136/bmj.d7995

10. Moynihan R, Smith R.: Too much medicine? Almost certainly BMJ 2002;324:859–60

11. Tyrer P, Eilenberg T et al.: Health anxiety: the silent, disabling epidemic BMJ 2016;353:i2250 doi: 10.1136/bmj.i2250

12. Gotzsche P.: Medicine letali e crimine organizzato: come le grandi aziende farmaceutiche hanno corrotto il sistema sanitario Fioriti Editore 2015

 
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