Si assiste da molti anni al progressivo retrocedere dell’esame obiettivo nella pratica clinica.
Il periodo pandemico ha bruscamente interrotto tutte le forme di comunicazione che prevedono un contatto diretto con gli altri. Per il rischio di contagio reciproco, i pazienti in molti casi sono stati gestiti senza il contatto diretto. All’indagine clinica legata alla prossimità, si è sostituita la parola pronunciata da lontano, la sola indagine anamnestica, il ricorso al linguaggio come unica risorsa per entrare dentro il corpo e capirne le traversie.
Si è sostituito il tatto con una spesso asettica conversazione a distanza o immagine su uno schermo. Nonostante l’etimologia, il concetto di medicina digitale è diventato nell’uso pratico un ossimoro: il tocco umano contro la sua antitesi, il contatto contro il monitoraggio, con un rischio sempre maggiore di perdita della relazione medico-paziente [1]. Questa privazione del contatto fisico, che prende il nome di skin hunger, cioè “fame di pelle”, è una delle conseguenze più drammatiche dell’isolamento [2].
La perdita di importanza dell'esame fisico era peraltro già in atto da tempo, la Covid-19 ha solo accelerato il processo. Nell'assistenza sanitaria contemporanea, il tatto sembra infatti in via di estinzione. La tendenza attuale è di preferire l’apparente certezza degli esami alla classica visita diretta. L’assistito per il medico è quasi diventato un’icona digitale del paziente. A. Verghese ha coniato il termine iPatient [3]. Il paziente, che dovrebbe essere esperto di se stesso, in realtà spesso non si identifica in tale ruolo, ma riconosce una realtà del sapere di sé solo in veste strumentale (“non basta sapere che ho il mal di schiena e aspettare che passi, bisogna dare a ciò un nome….e questo richiede una documentazione…devo fare la risonanza…..”).In questo modo pensa di tenere sotto controllo la propria salute sottoponendosi a prelievi, ecografie o risonanze magnetiche e può arrivare a pensare che sia meglio avere a disposizione un buon esame piuttosto che un buon medico.
Il tocco digitale: i dispositivi aptici La stessa tecnologia che tende ad allontanare medico e paziente mette a disposizione dispositivi indossabili aptici, in grado di digitalizzare il tatto e aprire scenari applicativi ancora largamente inesplorati. I medici forniti di dispositivi indossabili, come per esempio guanti sensorizzati, potranno, in un futuro molto prossimo, palpare a distanza la cute, le mammelle o l’addome, garantendo anche a metodologie come la televisita l’accesso ad una fase essenziale dell’esame obiettivo a distanza: la telepalpazione.
D.Prattichizzo e S. Rossi descrivono diverse possibili applicazioni di tecnologie aptiche in campo medico, per esempio le “carezze aptiche” nei pazienti in “stato vegetativo” (Unresponsive Wakefulness Syndrome), dispositivi che consentono agli utenti di riconoscere e trasferire a distanza la forma, la consistenza di una superficie, le caratteristiche dei materiali e la temperatura di qualsiasi oggetto, per esempio la sensazione del tocco della mano di un interlocutore digitale. Le implicazioni in campo medico possono comprendere il fisioterapista che può provare sulla sua mano le sensazioni esperite dal paziente sottoposto a riabilitazione motoria, il chirurgo che opera con un robot e può percepire la forza con cui sta incidendo un organo, migliorando la precisione della manipolazione, l’autopalpazione remota di una paziente, per esempio di un linfonodo ingrossato, con la possibilità di trasferire in tempo reale al medico ciò che sente sotto le dita [4].
Come preservare il tatto nella cultura digitale Nel contesto tradizionale della visita medica il tocco, la palpazione, è indispensabile per diagnosticare o sospettare patologie. Ma non è soltanto un problema di semeiotica. Il tatto è una delle componenti più importanti dell'interazione medico-paziente. Mediante il rilascio di endorfine, serotonina e ossitocina, innesca una serie di eventi che si traducono in rilassamento, fiducia e cooperazione. Il tatto rafforza inoltre il sistema immunitario aumentando le cellule killer naturali, abbassa la pressione arteriosa, diminuisce i livelli di cortisolo indotti dagli ormoni dello stress, riduce l'ansia e, modulando il sistema oppioide endogeno, svolge un effetto antidolorifico [5] . Si tratta di una sorta di rituale, un messaggio chiaro che i medici trasmettono ai pazienti per creare una connessione da uomo a uomo che rassicura e solleva . Toccare il corpo dell'ammalato significa comprensione, rassicurazione, presa in carico. Il contatto fisico può essere anche considerato una delle cosiddette azioni parlanti, definite come atti solitamente clinici eseguiti con una valenza prevalentemente relazionale, per comunicare qualcosa ma contemporaneamente fornire una prestazione concreta. Tipico esempio è quello della palpazione dell’addome di un paziente affetto da colon irritabile: la visita non è molto importante sul piano diagnostico, ma per il paziente è rassicurante [6].
Riflessioni conclusive La mano del medico rimane uno degli strumenti diagnostici più preziosi e la sua fine sarebbe una grande perdita per l’arte della medicina: la privazione della nostra principale possibilità di toccare i pazienti per ottenere preziose informazioni cliniche ma anche per utilizzare la sua rilevanza affettivo-emozionale. La ricerca più avanzata e i dispositivi ad alta tecnologia non possono sostituire l’interazione umana. I pazienti sono per esempio diffidenti nei confronti dell’intelligenza artificiale e di altre tecnologie digitali. Secondo uno studio della Harvard Business Review i malati credono che i loro bisogni medici siano unici e non possano essere adeguatamente affrontati dagli algoritmi. Gli esseri umani, almeno per ora, preferiscono l’assistenza di altri esseri umani [7].
La vera domanda non è quindi se la scomparsa del contatto fisico possa danneggiare la relazione medico-paziente ma cosa possiamo fare per preservarlo. Come sempre, la consapevolezza è il primo passo: la tecnologia ci separa dai pazienti ma non è il vero problema. È solo quando diventa un fine anziché un mezzo che rischiamo di perdere secoli di tradizione medica, il che sarebbe dannoso non solo per i pazienti ma anche per noi [8]. È pertanto necessario trovare un equilibrio tra l’utilizzo della tecnologia e la garanzia che gli operatori sanitari umani mantengano un ruolo centrale nel fornire supporto emotivo e comprensione ai pazienti, che l’interazione umana rimanga una parte essenziale della professione sanitaria, ripensando l'interfaccia uomo-macchina e integrando il paziente reale con l’iPatient.
In ogni caso, anche se alla fine la medicina digitale, nel senso “ossimorico” del termine, dovesse prevalere, è necessario praticare almeno il “tatto” come sensibilità interpersonale, delicatezza, capacità di intercettare lo stato d’animo dell’altro e rispettarlo.
Giampaolo Collecchia
Bibliografia
1) Collecchia G. De Gobbi R. Intelligenza artificiale e medicina digitale. Una guida critica. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 2020 2) Prattichizzo D. “Fame di pelle e digitalizzazione del tatto”, in La Repubblica, 2021, http://tinyurl.com/prattichizzotatto 3) Rosenthal DI, Verghese A. Meaning and the Nature of Physicians’ Work. N Engl J Med 2016; 375:1813-1815 DOI: 10.1056/NEJMp1609055 4) Rossi S. Prattichizzo D. Il corpo artificiale. Neuroscienze e robot da indossare. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2023 5) Parisi G. Comunicazione e relazione. In: Caimi V, Tombesi M. Medicina generale. Torino, UTET, 2003 6) Kerr F, Wiechula R, Feo R, Schultz T, Kitson A. Neurophysiology of human touch and eye gaze in therapeutic relationships and healing: a scoping review. JBI Database System Rev Implement Rep. 2019;17(2):209-247. http://doi:10.11124/JBISRIR-2017- 003549 7) Longoni C., Morewedge CK. AI Can Outperform Doctors. So Why Don’t Patients Trust It? http://hbr.org/2019/10/ai-can-outperform-doctors-so-why-dont-patients-trust-it
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