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Le linee-guida non proteggono dalle accuse di responsabilita' medica
Pubblicato da dzamperini in data 12/11/2012 00:00
Normative di interesse sanitario
  La Cassazione, in occasione della sentenza n. 35922 del 19 settembre 2012 (commentata in un precedente articolo di questa testata) , ha riportato una serie di sentenze sull’ argomento, che qui vegono sintetizzate e sottolineate nelle parti salienti. Purtroppo la linea tenuta dai magistrati non e' tranquillizzante: anche seguendo le linee-guida se tutto va bene, allora ok; se qualcosa va male e' lo stesso colpa del medico perche' non doveva seguirle.
Il panorama, dal punto di vista dei sanitari, e’ abbastanza desolante: occorre essere ogni un misto di Superman,  Einstein e Dottor Kildare per potersi sentire almeno un po’ tranquilli.
Daniele Zamperini


La prima sentenza riportata e’ quella del 2 marzo 2007, n. 19354:
procedimento per il reato di omicidio colposo instaurato a carico di alcuni medici per il decesso di una paziente avvenuto per trombosi sopraggiunta a livello della protesi mitralica in conseguenza di un intervento per colecistectomia. Ai medici era stato contestato di aver prolungato oltre i tempi necessari la sospensione della terapia anticoagulante ordinariamente somministrata.

I giudici avevano assolto i medici (sia in fase di merito che di legittimita’, in quanto i sanitari, secondo quanto attestato da periti e consulenti, avevano proceduto in maniera conforme alle linee guida dettate dal trattato di cardiologia di E. Braunwald, riconosciuto come la Bibbia dei cardiologi mondiali, secondo il quale in pazienti a rischio era sconsigliata la terapia eparinica in dosi anticoagulanti nel periodo perioperatorio, essendo minimo il rischio di eventi trombotici a causa della sospensione della TAO, a condizione che la stessa fosse limitata a 1-3 giorni prima e dopo l’intervento.
La Cassazione quindi ha affermato l’ineccepibilità della decisione assolutoria che, ricostruendo la regola cautelare attraverso le linee guida desumibili dal citato tracciato di cardiologia (in assenza di specifiche linee guida redatte da società scientifiche), aveva ritenuto sfornita di riscontro probatorio l’impostazione accusatoria secondo la quale era stato fatale il settimo giorno di sospensione della TAO.
Conclusione: i medici sono assolti perche’ hanno seguito le linee-guida.
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Con la sentenza 8 giugno 2006, n. 24400, la Cassazione ha, invece, annullato con rinvio la sentenza d’ appello che aveva ritenuto responsabile l’imputato del reato di omicidio colposo per non avere predisposto i necessari esami neurologici (ed in particolare la TAC) su un paziente trasportato al pronto soccorso in seguito a trauma cranico e deceduto successivamente per insorgenza di ematoma subdurale.
L’ accusa verteva sulla doverosità della TAC in quanto imposta dalle condizioni del paziente, la cui omissione aveva impedito l’accertamento tempestivo dell’ematoma e, conseguentemente, l’istituzione di idonea terapia.
Dopo aver rivalutato l’importanza probatoria del contenuto delle linee guida, sulle quali era stata incentrata la difesa dell’imputato, qualificate come ‘suggerimenti atti ad orientare i sanitari nei comportamenti che devono porre in essere in relazione ai casi concreti’, la Corte censurava la sentenza d’ appello di condanna in quanto non era stata motivata la soccombenza dei consulenti della difesa ( fondate su linea guida autorevoli) rispetto alle conclusioni dei consulenti del PM. La corte sottolineava che nelle linee-guida difensive era suggerita solo l’osservazione clinica del paziente di grado zero (cioè quello con trauma cranico minore, che appare orientato nel tempo e nello spazio senza reale perdita di coscienza…), e non era stata motivata ne’ rappresentata nei fatti la decisione di attenersi a criteri diversi.
Conclusioni: medici assolti per aver seguito linee-guida, e non c'erano linee-guida contrarie
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La sentenza 14 novembre 2007, n. 10795 ha condannato un medico per omicidio colposo per non aver seguito le linee-guida
Il caso esaminato riguardava una vicenda verificatasi all’interno di una comunità terapeutica, nella quale era ricoverato un paziente psicotico, che aveva aggredito con un coltello l’operatore cagionandone la morte.  Lo psichiatra incaricato della gestione della terapia psicofarmacologica era stato condannato in primo e secondo grado, e la condanna era confermata in Cassazione, per avere erroneamente prima ridotto e poi sospeso la terapia farmacologica di contenimento degli scompensi schizofrenici. 
I consulenti avevano fatto espresso riferimento alle linee guida dell’American Psychiatric Association sulla prevenzione del rischio suicidiario, secondo i quali la riduzione del farmaco neurolettico non si doveva effettuare per percentuali superiore al venti per cento ogni volta e gli intervalli tra queste progressive riduzioni avrebbero dovuto durare tra i tre e i sei mesi, traendo la conclusione che tali regole di cautela erano state macroscopicamente violate dal sanitario.
Conclusione: condannato per non aver seguito le linee-guida
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In epoca più recente, la sentenza 23 novembre 2010, n. 8254/2011, e’ gia’ stata commentata su questo sito: http://www.scienzaeprofessione.it/public/nuke/modules.php?name=News&file=article&sid=563
La Cassazione annullava l’ assoluzione di un medico accusato di omicidio colposo per aver dimesso un paziente dall’ ospedale.
La vittima era stata ricoverata in seguito ad un infarto; dopo l’esecuzione di un’operazione di angioplastica, era stato trasferito dal reparto di terapia intensiva a quello di cardiologia e, dopo nove giorni, dimesso, decedendo per un attacco cardiaco, poche ore dopo la dimissione.
L’ accusa aveva sostenuto un comportamento del sanitario negligente, imprudente e imperito per avere disposto la dimissione del paziente dall’ospedale a soli nove giorni di distanza dall’intervento, senza consuderare adeguatamente le circostanze di fatto che avrebbero sconsigliato la dimissione (gravità dell'infarto ecc. ).
Il medico era stato assolto in appello in quanto aveva seguito le indicazioni delle ‘linee guida’ che prevedevano la dimissione del paziente in caso di stabilizzazione del quadro clinico.
La Cassazione, invece annullava l’ assoluzione per un migliore approfondimento in ordine alla valenza da attribuire alle linee guida ai fini dell’addebito di responsabilità.
Veniva sottolineato che nel praticare la professione, il medico deve, con scienza e coscienza, perseguire l’unico fine della cura del malato utilizzando i presidi diagnostici e terapeutici di cui al tempo dispone la scienza medica, senza farsi condizionare da disposizioni o direttive che non siano pertinenti ai compiti affidatigli dalla legge ed alle conseguenti relative responsabilità. Ciò vale, in particolare, per le ‘linee guida’ dettate dall’amministrazione sanitaria per garantire l’economicità della struttura ospedaliera (in ipotesi, per accelerare le dimissioni dall’ospedale non appena si raggiunga la stabilizzazione del quadro clinico del paziente), onde il medico, che ha il dovere anche deontologico di anteporre la salute del malato a qualsiasi altra diversa esigenza, e si pone rispetto a questo in una posizione di garanzia, non sarebbe tenuto al rispetto di tali direttive, laddove risultino in contrasto con le esigenze di cura del paziente, e non potrebbe andare esente da colpa ove se ne lasci condizionare, senza adottare le decisioni più opportune a tutela della salute del paziente.
Conclusione: condannato per aver seguito linee-guida non autorevoli
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Nello stesso senso, la sentenza 29 settembre 2009, n. 38154 confermava la condanna per omicidio colposo di un cardiologo, che attesto’ l’idoneità alla pratica sportiva agonistica di un atleta, in seguito deceduto nel corso di un incontro di calcio a causa di una patologia cardiologia non diagnosticata dal sanitario per l’omessa effettuazione di esami strumentali di secondo livello. Questi esami, ancorché non richiesti dai protocolli medici, dovevano ritenersi necessari in presenza di anomalie del tracciato elettrocardiografico desumibili dagli esami di primo livello.
La Cassazione confermava la condanna repingendo la giustificazione del medico che si rifaceva ai protocolli, in quanto questi danno al medico un’indicazione di base sulla quale deve, tuttavia, innestarsi un comportamento che sia corretto secondo scienza e coscienza. Percio’, in presenza di tracciati ECG sospetti, era doveroso ed esigibile che il medico cardiologo approfondisse la verifica dell’integrità psico – fisica dell’atleta.
Conclusione: condannato per osservanza troppo rigida alle linee-guida
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Un altro medico (anestesista) veniva condannato ( sentenza 18 febbraio 2010, n. 10454) per omicidio colposo in quanto, in una situazione di particolare difficoltà (tre inutili tentativi di intubazione del paziente, con edema della laringe che impediva l’evidenziazione della glottide), non esenta da responsabilità il fatto che siano state seguite linee guida o siano stati osservati protocolli senza invece effettuare l’ unica scelta che in concreto si rendeva risolutiva (la tracheotomia).
Il medico, sottolibeava la Corte, pur essendo presente un chirurgo, anziché procedere all’immediata tracheotomia, aveva optato per attendere l’arrivo di un otorino, con ciò mostrando di osservare linee guide e protocolli in maniera eccessivamente rigida.
Conclusione: condannata per osservanza troppo rigida delle linee-guida
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La Cassazione confermava la condanna (sentenza 22 novembre 2011, n. 4391/2012)  del direttore sanitario di una comunità protetta, al quale era stato contestato il delitto di omicidio colposo in danno di un degente affetto da schizofrenia di tipo paranoide, che veniva rinvenuto al suolo (caduto da una finestra ) con gravi lesioni personali e ricoverato in un ospedale presso il quale poi decedeva. All’imputato, in concorso con altri, poi assolti in appello, erano stati mossi diversi addebiti: l’omissione di adeguata vigilanza da parte del personale, di terapia farmacologica appropriata e di accorgimenti atti ad impedire l’accesso dei pazienti alle finestre dei locali cui erano ospitati; nonché il mancato trasferimento in un presidio sanitario in grado di apprestare un’adeguata terapia.
La difesa era stata incentrata sulla imprevedibilità delle condotte di pazienti affetti da patologie del genere di quella da cui era colpito la vittima e sulla impossibilità di segregare ed immobilizzare permanentemente tali pazienti.
La Suprema Corte ha inquadrato la questione nel tema più generale del rischio consentito (in cui rientrano tutte quelle attività che comportano una misura di pericolosità in tutto o in parte ineliminabile e che tuttavia si accetta che vengano esercitate perché afferenti ad importanti ambiti produttivi, scientifici, medici) ed ha evidenziato la difficoltà in questi casi di stabilire quale sia il punto di equilibrio, la linea di confine che segna il passaggio dal lecito all’illecito giacche’ le normative precauzionistiche sono spesso inadeguate. Da tale incertezza il giudice di legittimità ha tratto la conclusione che l’arbitro, il quale stabilisce il punto di confine tra il lecito e l’illecito finisce per essere proprio il giudice, con l’aiuto, nella maggior parte dei casi, degli esperti.
Allora a quali condizioni il rischio può e deve essere accettato, anche a protezione del sanitario cui è demandato il difficile compito di governare quel rischio?
Il nucleo del problema, hanno affermato i giudici di legittimità, è la valutazione della diligenza e del rispetto delle regole di prudenza che l’ordinamento impone, filtrata avverso il raffronto con le prassi virtuose, tenendo altresì conto che le linee guida sono frutto di scelte totalmente economicistiche e che non possono essere considerate un punto di approdo definitivo.
Vengono poi rappresentate le problematicità dell’utilizzo delle linee guida in questa materia, pur riconoscendo che le stesse ed i protocolli sono, in talune situazioni, in grado di offrire delle indicazioni e dei punti di riferimento. I giudici di legittimità richiamano l’attenzione dell’interprete sulla necessità di comprendere ‘qual è la logica nella quale si è formata una prassi di comportamento, perché spesso le linee guida sono frutto di scelte totalmente economicistiche, sono ciniche o pigre; e dunque non è detto che una linea guida sia un punto di approdo definitivo’, sottolineando altresì che ‘alcune volte le linee guida sono obsolete o inefficaci e, dunque, anche sulle linee guida occorre posare uno sguardo speciale, occorre attenzione e cautela; le linee guida non sono -da sole – la soluzione dei problemi’. In proposito si è richiamata la dottrina che, a proposito delle prassi applicative, ha ‘condivisibilmente manifestato il timore che esse possano ‘fornire indebiti cappelli protettivi a comportamenti sciatti, disattenti: un comportamento non è lecito perché è consentito, ma è consentito perché diligente’.

Conclusione: Le linee-guida vanno bene solo se rispecchiano comportamenti sanitari adeguati
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Conclusioni generali di chi scrive: le linee-guida vanno bene finche’ tutto va bene, se no…
Daniele Zamperini
 
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