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Certificati assicurativi per Responsabilità Civile: ruolo del MMG
Pubblicato da dzamperini in data 30/06/2008 00:00
Normative di interesse sanitario
Relazione del dott. Marcello Valdini al IV Congresso Nazionale della Societa' Scientifica Promed-Galilei, tenutosi a Uliveto Terme il 7 giugno 2008. Viene sottolineato il ruolo del Medico di Famiglia nell' assitenza e nella certificazione a pazienti che abbiano riportato lesioni a seguito di sinistro, e le regole da seguire perche' la certificazione svolga appieno il suo compito.



In caso di lesione somato-psichica da evento antigiuridico, al Medico di Medicina Generale (MMG) convenzionato col SSN è costantemente richiesta, da parte del suo assistito, certificazione attestante sia l’evoluzione della malattia traumatica che la sua stabilizzazione, questa con o senza postumi.

Detta certificazione, poi, può essere rilasciata con finalità lavorativa o assicurativa o per entrambi gli scopi, quindi redatta su modulistica SSN o privata.

In quanto stilata in regime libero-professionale si configura come certificato rilasciato da Persona esercente servizio di pubblica necessità, quando con finalità lavorativa concretizza atto pubblico rilasciato da Pubblico ufficiale o da Persona incaricata di pubblico servizio; il distinguo non è di poco conto se si pensa ai risvolti giuridici in caso di falsità.

Infatti: la qualifica di Pubblico ufficiale, Persona incaricata di pubblico servizio e Persona esercente servizio di pubblica necessità non ha valore di titolo onorifico ma solo quello di inquadrare quel soggetto nel contesto della legge penale, cioè ai fini della pena da comminargli, in caso di reato, a seconda che la sua azione sia stata compiuta rivestendo l’uno o l’altro ruolo.

Per esempio: lo stesso MMG che a un suo assistito in regime di convenzione col SSN, passivo per es. di una cervicodistorsione da tamponamento automobilistico, rilascia certificato malattia su modulistica INPS a fine lavorativo e, il medesimo giorno, nella stessa seduta, rilascia altro certificato, ora in regime libero professionale (cioè redatto su ricettario privato), con finalità assicurativa, giuridicamente è qualificabile in modi differenti: Pubblico ufficiale o Persona incaricata di pubblico servizio nel primo caso, Persona esercente servizio di pubblica necessità nel secondo caso. E, in ipotesi di falso, si vedrà comminare pene differenti: da mesi ad anni di reclusione.

La falsità, poi, può essere materiale o ideologica: materiale quando si altera il documento già redatto, ideologica quando si attesta il non vero; e anche qui, a seconda che si tratti di falsità materiale o ideologica la pena muta.

Prima s’è detto che il medico convenzionato col  SSN è qualificabile come Pubblico Ufficiale o Persona incaricata di pubblico servizio: detto titolo non è categorico, cioè sempre uguale nel tempo e per tutti, in quanto discende dalla interpretazione che quel magistrato fa di quel preciso atto che quel soggetto compie in quel contesto; la giurisprudenza prevalente della Corte di Cassazione, comunque, tende a privilegiare la figura del Pubblico Ufficiale.

Quindi, attenzione ai certificati così detti compiacenti! Perché non esistono certificati compiacenti. Esistono certificati veri e certificati falsi.

Al riguardo, si evidenzia come prognosi differenti, emesse lo stesso giorno, per la medesima malattia e all’identico paziente, ma su moduli differenti – INPS e privato, cioè pro datore di lavoro e pro assicurazione – possano ingenerare dubbi sulla loro attendibilità, l’una in pratica sconfessando l’altra. Il riscontro è quotidiano. Spesso, infatti, si leggono certificati secondo i quali quell’assistito è guarito per il lavoro ed è ancora ammalato per l’assicurazione! Ora, se in alcuni casi e se per certe attività lavorative è ammissibile la ripresa occupazionale pure in costanza di patologia non ancora stabilizzata (si pensi a una ferita a una gamba di un impiegato o alla necessità di riabilitazione effettuabile extralavoro), per altre il conflitto è manifesto (per es. la distorsione della tibio-tarsica in fase acuta o sub-acuta in muratore). Se non altrimenti fattibile, e per evitare sospetti, è consigliabile giustificare la prognosi con la necessità di cure possibili anche in attualità di lavoro o che il lavoro è compatibile con la patologia in atto. Questo darà attendibilità al certificato e costituirà parametro di riferimento cronologico per il medico-legale, sulla cui base egli meglio saprà modulare la durata del danno biologico temporaneo.

 
Come debba essere stilato un certificato è cosa tanto nota quanto disattesa, specie se a finalità assicurativa, cioè medico-legale.

E’ disattesa perché si crede che l’unico dato che interessi è la prognosi; invece, al medico-legale che poi dovrà basare la sua stima anche su quel certificato, la prognosi è l’ultimo degli elementi che catturano la sua attenzione. L’attenzione del medico-legale, infatti, è diretta verso il quadro morboso che quel certificato documenta essere presente in quel preciso momento della storia post-traumatica del soggetto in esame; in sintesi: l’attenzione è tutta sulla evoluzione della malattia traumatica.

L’evolutività, infatti, è l’unico concreto elemento che rende ragione del rapporto di causalità materiale tra l’evento antigiuridico e i suoi allegati effetti, non che del perdurare dello stato di inabilità temporanea.

Certificare “non è ancora guarito” nulla dice al medico-legale. Il medico-legale, infatti, valuta ex post; e per valutare necessita non di giudizi ma di elementi obiettivi, che gli consentano, ex post, di stabilire se lo stato del paziente in quel momento configurasse malattia o postumo, e, se malattia, in quale misura la stessa incidesse sulla sua capacità di attendere alle ordinarie sue occupazioni.

Un esempio può servire a meglio chiarire il quadro: il perdurare di uno stato doloroso post-fratturativo può essere sintomo sia di malattia in atto che di postumo stabilizzato; solo il contesto nel quale il dolore è inserito o del quale è manifestazione, cioè l’obiettività clinica, permette di scriminare tra malattia ed esito. Se malattia, se ne avrà dilatazione della temporanea, se esito lo si peserà come danno. Poi, per quanto attiene alla incapacità di attendere alla proprie ordinarie occupazioni, si  ricorda che queste non sono solo quelle lavorative, dovendovisi comprendere tutto il ventaglio degli atti quotidiani, come andare al cinema, giocare a tennis, leggere, passeggiare ecc. Ora, se il leso ha una ricca vita sportiva e in conseguenza di un infortunio ha riportato una distorsione della tibio-tarsica, che, perdurando edema bimalleolare, calore locale, deambulazione antalgicamente disarmonica, fatica a guarire, il reale ricorrere del grado di inabilità temporanea sarà testimoniato unicamente da una fedele e puntuale descrizione dello stato di quella caviglia. Il corretto certificato, quindi, consentirà il corretto risarcimento.

Quindi, una dettagliata, anche se sintetica, rappresentazione dell’obiettività clinica non potrà che rendere un utile servizio al proprio paziente, fissando nel tempo il suo stato patologico; oltre a rendere un utile servizio anche al suo estensore, che vedrà gratificato il proprio lavoro con la considerazione e il rispetto che si hanno per le cose ben fatte.

 
Quello del corretto risarcimento solleva un altro problema: il problema della responsabilità civilistica del certificante in certificato. Se, infatti, al paziente del MMG giungesse un risarcimento inadeguato perché il medico-legale non ha potuto, in carenza di quei dati di cui s’è detto, formulare una stima aderente alla realtà, il paziente, informato del perché di quella sottostima, potrebbe rivalersi sul certificante, pretendendo da lui quei soldi negati dalla assicurazione. E un certificato contenente solo prognosi con, se va bene, la dizione, “non è ancora guarito”, non reggerebbe all’eventuale contestazione di negligenza che l’assistito potrebbe muovere al curante. Negligenza che, in rapida successione, recluterebbe l’imperizia (il medico dimostrerebbe di fatto di non sapere come si fa un certificato) e l’imprudenza (per avere esposto il paziente a un rischio, poi verificatosi, di un danno economico). In definitiva: manifesta colpa professionale, che poi potrebbe estendere la sua ombra sulla corretta tenuta della scheda sanitaria individuale, cui il MMG è tenuto per convenzione  ex art. 45 dell’Accordo Collettivo Nazionale.

Si potrebbe, in tal caso, obiettare che così s’è fatto per una questione di riservatezza?

Non credo: perché il certificato a uso assicurativo è richiesto dal paziente con precisa finalità “a futura memoria” (e la memoria è tanto più utile quanto più estesa), perché il paziente deve essere informato degli atti che da tale certificato discendono, perché se quel certificato è monco dell’obiettività di cui s’è detto perde il senso per il quale è richiesto e redatto. Solo nel caso, previa esaustiva informazione, il paziente neghi il consenso alla riproduzione della obiettività o alla diagnosi, ci si può rifugiare nel laconico “non è ancora guarito”, avendo però cura di precisare che a tale dizione si è dovuti ricorrere per rispettare la volontà di riservatezza del paziente. Se, in conseguenza di questo, il medico-legale non potrà meglio esprimersi sulla temporanea, nulla il paziente potrà protestare col suo MMG.

Sulle conseguenze economiche, infine, merita un cenno il fatto che già ora, a quanto mi risulta, in certe sedi, dalla compagnia assicuratrice non venga rimborsato il costo del certificato rilasciato dal MMG se privo dei dati identificanti l’evolutività. Di qui, alle rimostranze nei confronti del curante il passo è breve.

 
Un certificato ben redatto, quindi, risulterà di vantaggio al paziente e di onore al suo estensore.

Anche perché le parole scritte rimangono e a volte sono motivo di involontaria comicità, come accadde a quel collega che, certamente tradito dalla stanchezza e annebbiato dalla routine, certificò: “Il signor C.A. è affetto da guarigione clinica con postumi di distorsione del rachide cervicale secondaria ad incidente stradale [...] ).



Marcello Valdini

 
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