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Contraccezione di emergenza: cosa cambia?
Pubblicato da dzamperini in data 19/01/2012 12:00
Normative di interesse sanitario Benche’ siano passati parecchi anni dall’ ingresso in commercio della “Pillola del Giorno Dopo” le polemiche e le problematiche sul suo uso non si placano, rinfocolate anzi dall’ annuncio dell’ introduzione in commercio della “Pillola dei 5 giorni dopo”, (Ellaone, a base di ulipristal, antiprogestinico, a differenza del “vecchio” Norlevo, progestinico).
La differenza chimica tra i due prodotti non sposta le problematiche etico-morali sulla contraccezione d’ emergenza, tuttavia puo’ contribuire a risolvere i problemi pratici che interessano tanti medici, specialmente quelli operanti sul territorio che si sentivano disturbati dalla prescrizione di tali farmaci.
Riprendiamo quindi il discorso ripartendo da un mio vecchio articolo sull’ argomento riguardante il  prodotto finora piu’ comunemente usato (il Norlevo), ma aggiornandoci alla situazione attuale.
Daniele Zamperini

LA “CONTRACCEZIONE DI EMERGENZA”: ASPETTI GENERALI ALL’ EPOCA DEL NORLEVO

La contraccezione postcoitale, o contraccezione di emergenza, viene utilizzata dalle donne che abbiano avuto rapporti sessuali a rischio di concepimento ma che non desiderino una gravidanza. Inizialmente sono state utilizzate diverse metodiche, meccaniche (inserzione di uno IUD) o chimiche (assunzione di preparati ormonali a dosi elevate (estrogeni, estroprogestinici, progestinici, danazolo).
Tutto cio’ e’ stato poi sostituito dall’ avvento del levonorgestrel (Norlevo).
Molti contrasti sono nati circa l' obbligo o meno, da parte dei sanitari, di prescrivere tale farmaco per una procedura che, per molti, e' assimilabile ad un "aborto mascherato".
 
Il levonogestrel (Norlevo)
La scheda tecnica del farmaco riporta:
L’esatto meccanismo di azione di Norlevo 1,5 mg non è conosciuto.
Al regime di dose utilizzato, si ritiene che il levonorgestrel sopprima l’ovulazione inibendo così la fecondazione, se il rapporto sessuale è avvenuto nella fase preovulatoria, quando è maggiore la probabilità di fecondazione. Il farmaco potrebbe anche impedire l’impianto…
Il farmaco, quindi non avrebbe effetto abortivo e non avrebbe sostanziali controindicazioni di gravita' tale da costituire effettiva controindicazione alla prescrizione.
L' affermazione di "farmaco non abortivo" si basa sulla definizione di gravidanza elaborata dall' OMS. In base a tale documento la gravidanza si intende iniziata allorche' si verifichi l' impianto dell' ovulo fecondato sulla parete uterina.
Si intuisce come tale definizione venga a porsi in contrasto con le convinzioni etiche e religiose di coloro che considerano iniziata la gravidanza gia' al momento della fecondazione dell' ovulo.
 
Circa la sostanziale innocuità "farmacologica" del prodotto, tale affermazione si basava su una serie di studi che segnalavano solo effetti collaterali minori  quali nausea (23%), vomito (6%), vertigini (11%), affaticamento (17%), tensione mammaria (11%), dolori pelvici (18%), altri meno frequenti (diarrea, perdite vaginali)
Per questi motivi già nel 1998 l'OMS (World Health Organization. Family Planning and Population. Emergency contraception: a guide for service delivery. Geneva: the Organization, 1998) aveva concluso che non ci sono controindicazioni alla contraccezione di emergenza eccetto la gravidanza 

Per questi motivi il dibattito ha interessato sostanzialmente gli aspetti etici, ritenendosi pacificamente risolti quelli sanitari.
La FNOMCeO ( com. n 60/2003) dichiarava , in un comunicato abbastanza ambiguo, che “La Commissione…  nell’affrontare il problema della “pillola del giorno dopo”, non ha ritenuto, nel rispetto delle convinzioni personali di ciascun medico, di dovere considerare gli aspetti bioetici e giuridici che essa solleva e che tuttora, sono oggetto di un ampio e diversificato dibattito nel Paese, ma ha inteso, doverosamente, considerarne soltanto gli aspetti deontologici e pratici, ravvisando, nell’art.19 del Codice di Deontologia medica 1998, l’indicazione comportamentale più corretta e rispondente alla libertà di coscienza del medico. Naturalmente alla donna deve essere, comunque, garantita la prestazione richiesta in conformità alle disposizioni normative vigenti con particolare riferimento all’art. 1, lett b), c), e d) della legge 29 luglio 1975 n. 405 “Istituzione consultori familiari”.
L' art. 19 del Codice Deontologico citato dalla FNOM consente al medico di rifiutare prestazioni che contrastino con la sua coscienza e col suo convincimento clinico " a meno che questo comportamento non sia di grave e  immediato nocumento per la salute della persona assistita."
 
Nello stesso periodo la Commissione di Bioetica dell’Ordine dei Medici di Roma ha poi coniato una nuova ambigua definizione che certo non ha contribuito a chiarire il problema: la "pillola del giorno dopo" non sarebbe un farmaco contraccettivo ma piuttosto una " sostanza intercettiva", tale cioè da impedire l’annidamento dell’ovulo fecondato”. Ma, ci si chiede, l' intercettazione e' da considerare "aborto mascherato" oppure no?
 
Il 28/05/2004 il Comitato Nazionale di Bioetica approvava una nota sull’ argomento che concludeva “ ritenuta unanimemente da accogliersi la possibilità per il medico di rifiutare la prescrizione o la somministrazione di LNG … configurandosi unanimità sul fatto che il medico il quale non intenda prescrivere o somministrare il LNG in riferimento ai suoi possibili effetti post-fertilizzazione abbia comunque il diritto di appellarsi alla “clausola di coscienza”, dato il riconosciuto rango costituzionale dello scopo di tutela del concepito che motiva l’astensione (cfr. p. es. Corte Cost. N 35/1997), e dunque a prescindere da disposizioni normative specificatamente riferite al quesito in esame”
 
Alcuni aspetti legali
Poche sono state, finora, le pronunce dei Tribunali in merito alla questione, e si basano essenzialmente sulle definizioni "ufficiali" dell' OMS:
- Sentenza del Tar del Lazio (2001): “il farmaco autorizzato agisce con effetti contraccettivi in un momento anteriore all’innesto dell’ovulo fecondato nell’utero materno”.
Lo stesso TAR chiarisce che la "pillola del giorno dopo" deve essere utilizzata, in ogni caso,  solo per prestazione di emergenza, chiarendo anche i criteri che definirebbero tale termine (2 luglio 2001, sentenza sul ricorso n 21554/2000): 
"Osserva il collegio che la qualificazione di "emergenza" è riferita al farmaco nel duplice significato sia di metodo anticoncezionale di carattere eccezionale rispetto alle ordinarie pratiche di prevenzione della gravidanza, sia in relazione alle situazioni particolari ed occasionali (c.d. rapporti a rischio di gravidanza) cui tende ovviare entro ristretto termine... Le caratteristiche del farmaco si traducono in specifiche regole comportamentali a carico del medico, che è tenuto a prescriverlo in presenza dei presupposti di emergenza e nei limiti idonei ad eliminare il paventato rischio di gravidanza, e dello stesso individuo che deve assumerlo solo in presenza delle circostanze e con le precauzioni indicate nel foglio illustrativo. Ritiene il collegio che la nozione di "emergenza" che costituisce presupposto per la somministrazione del "NOR***" va considerata in senso strettamente oggettivo - e cioè come evento critico, suscettibile di introdurre la possibilità di una gravidanza non desiderata, cui si intende porre rimedio con carattere di immediatezza, indipendentemente dal grado di volontarietà o colpa dell'interessato nel determinarlo…  prescindendo da ogni valutazione circa il concorso psichico dello stesso nel determinarne le cause".  
 
E' applicabile alla "pillola postcoitale" la normativa sull' obiezione di coscienza?
L’obiezione di coscienza rappresenta un’eccezione al generale obbligo del sanitario di prestare la sua propria opera professionale ed è prevista espressamente ed esclusivamente per le procedure e le attività relative all’IVG; quindi, condizione perché possa essere invocata è la sua riferibilità alla pratica di IVG e non puo' essere estesa per analogia ad altre fattispecie.
E’ stato infatti osservato che se il prodotto usato e’ unicamente contraccettivo e viene somministrato allorche’ la gravidanza non e’ iniziata, non c’e’ ragione di applicare una norma che invece ha il suo assunto in una gravidanza gia’ iniziata ma che viene interrotta.
Il punto della discussione torna quindi sulla questione: il blocco dell' annidamento di un ovulo che puo’ essere fecondato, costituisce "interruzione di gravidanza"?
 
Ho gia’ espresso il concetto di “inizio-vita” adottato dall’ OMS, ma esistono forti (e fondate) linee di pensiero che contestano proprio i presupposti su cui si basano tali definizioni.
Benche' l' OMS abbia stabilito l' inizio della gravidanza dal momento dell' annidamento, tale impostazione non appare affatto pacifica: il Comitato Nazionale di Bioetica nel giugno 1996 aveva dichiarato di doversi trattare l’embrione umano come una persona “fin dalla fecondazione”; la Corte Costituzionale nel 1997, ha parlato di un diritto alla vita del “concepito” (non dell' "impiantato"), affermando che all' art. 1 va attribuito un vero significato normativo e che in esso trova riconoscimento il diritto alla vita del concepito, diritto alla vita che sta alla base dell’impianto costituzionale e che ha trovato un sempre maggior riconoscimento, anche a livello internazionale.

Molto si discute, poi, sul concetto di "interruzione di gravidanza" come espresso dalla Legge 194/78: dal 10 comma dell’art. 1, secondo cui “lo Stato tutela la vita umana fin dal suo inizio” deriverebbe che per “interruzione della gravidanza” debba intendersi qualunque interruzione del processo vitale successivo alla fecondazione con conseguente morte del concepito. Le altre norme della legge, anche l’art. 9, non possono quindi che riferirsi alla vita umana “fin dal suo inizio".
A distanza di tanti anni, quindi, la questione appare ancora dibattuta e non definitivamente risolta.
 
I diritti dell' "avente diritto": la donna
La donna maggiorenne che richiede la prescrizione del farmaco e', senza dubbio, un' "avente diritto" alla prestazione sanitaria richiesta (prescrizione del farmaco).
Problemi non da poco si pongono invece quando la richiedente e' una minorenne.
Prescrivere o non prescrivere?
La prescrizione e la somministrazione e’ esplicitamente prevista (art. 2 della l. 194/78):  “la somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori.”

Avvertire o non avvertire i genitori?
 La legge, in linea generale,  riconosce il diritto della minorenne a nascondere ai genitori esercenti la potestà, ed a tutte le figure adulte che sostituiscono i genitori biologici, le sue problematiche sessuali. Infatti, la 194/78 all'art. 12, 2° comma prevede espressamente la possibilità per la minore - qualora vi siano "seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione delle persone esercenti la potestà o la tutela" - di chiedere direttamente al giudice tutelare il consenso all'aborto, "saltando" cosi'  i genitori, il tutore o gli altri adulti cui sia affidata.
Se questo vale per l'aborto, a maggior ragione vale per la "pillola del giorno dopo", in quanto concettualmente misura anticoncezionale d'urgenza.
Tuttavia, queste disposizioni non indicano un diritto pacifico ed automatico, estensibile ad ogni circostanza, ma solo una procedura da attuarsi in condizione eccezionale.
L'autonomia decisionale della minorenne, inoltre, differisce a seconda dell' eta': a parte circostanze di minore importanza, si deve ricordare che: dal 14° anno risponde delle proprie azioni in sede penale e le e' consentita libera sessualita' (con qualche eccezione); dal 16° anno può riconoscere un figlio naturale e chiedere al Tribunale dei Minori  di essere autorizzato alle nozze.
Quindi la richiesta di pillola del giorno dopo, seppur legittima in linea di principio, va valutata anche a seconda dell'età.
Va anche considerato che dietro il rifiuto della minore di non informare i genitori possono essere motivi di dubbia validita', come il possibile "plagio" da parte di un partner maschile piu' vecchio e condizionante la minore; senza contare che in certi casi (incesto, abuso da parte di un tutore ecc.) si puo' ricadere nell' ambito di reati che richiedano, da parte del medico, un referto all' Autorita' giudiziaria.
Per rimanere comunque nell' ambito della "contraccezione d' emergenza", dovendosi scegliere tra il rischio di una gravidanza indesiderata o comunque a rischio, con tutto quel che ne consegue sul piano sociale e psicologico, soprattutto nei riguardi di adolescenti giovanissime, e' ovvio che la pillola del giorno dopo, astrattamente parlando,  venga ad essere il male minore.
Il diritto della donna (sia o non sia maggiorenne) di ottenere la prestazione (aborto e, a maggior ragione, prescrizione di Norlevo) appare quindi pacifico. In linea generale, comunque, il diritto alla riservatezza andrebbe  sempre rispettato.

Chi deve prescrivere?
Ogni medico (di famiglia, di Guardia medica, di Consultorio ecc.) puo' prescrivere la pillola del giorno dopo.  Ma chi "deve" farlo?
 La "pillola del giorno dopo"  e' infatti un farmaco a tutti gli effetti: e' soggetto a limitazioni d'uso, controindicazioni, possibili rischi d' uso, e quindi va prescritto dal medico in seguito ad un processo "ragionato" e non acriticamente dietro semplice richiesta della donna, valutandone i potenziali rischi.
Cio' premesso, il problema dell' obbligo di prescrizione si puo' porre, per motivi morali (diversi da quelli sanitari) per i medici che abbiano dichiarato l' obiezione di coscienza e che ritengano il farmaco, per i motivi esposti sopra, "abortivo" e non semplicemente contraccettivo.
In questo caso essi possono legittimamente far riferimento alle norme sul diritto all’ obiezione di coscienza.
L' Obiezione di coscienza, pero', non puo' essere "estemporanea" ma va dichiarata ufficialmente nei modi e nei tempi previsti dalla Legge.
Qualora i tempi non siano tali da pregiudicare l' effetto anticoncezionale, questi medici hanno quindi, a nostro parere, il diritto di rifiutare la prescrizione ma devono allora indirizzare correttamente la paziente a strutture quali i Consultori, che comunque, salvo motivi "sanitari", saranno tenuti a prescriverla.
Resta impregiudicato, infatti, il diritto della paziente ad ottenere la prestazione.
I Consultori, in quanto strutture pubbliche deputate a tale scopo,  devono poter assicurare, in ogni caso, la prestazione richiesta. Cio' e' stato piu' volte ribadito; la stessa dichiarazione della FNOMCeO riportata all' inizio sottolinea tale aspetto.
Qualora il medico consultato al Consultorio abbia presentato obiezione di coscienza, la struttura dovra'  quindi attivare altri sanitari disponibili. Il rifiuto della prestazione puo' configurare, infatti, a carico dei Responsabili, il rifiuto di atti d' ufficio, come si dira' in seguito.
 
I falsi motivi sanitari
E’ capitato che dei medici abbiano voluto utilizzare un escamotage per evitare la prescrizione del Norlevo, appellandosi ad esempio al fatto che, non conoscendo la paziente, la esporrebbero al rischio di effetti collaterali da farmaco.
Cio’ puo’ essere vero in singoli casi particolari, ma non puo’ costituire un’ abitudine.
Il rifiuto sistematico attuato da alcuni Consultori, basato appunto sul concetto che, trattandosi di una prima visita, il medico non possa essere in grado di valutare i rischi di possibili effetti collaterali, appare del tutto falso e specioso, e rischioso dal punto di vista legale.
In primo luogo, se tale concetto fosse valido, gli stessi medici dovrebbero rifiutare sempre qualsiasi prescrizione di qualunque farmaco in occasione di una prima visita (cosa che evidentemente non succede).
In secondo luogo, poiche' i medici di Consultorio rivestono la qualifica di Pubblici Ufficiali, una eventuale omissione di prestazione da parte loro assume i caratteri piu' gravi di un rifiuto di atti d' ufficio, e cio' e' indipendente dagli aspetti sanitari del problema. E' ben presente alla memoria, ad esempio,  il caso del medico di guardia condannato per aver rifiutato una visita domiciliare che si rivelo' poi effettivamente inutile, ma che costituiva suo dovere d' ufficio. L' eventuale rifiuto deve quindi basarsi sulla presenza di concreti e specifici rischi, e non su astratte dichiarazioni di principio.
Le motivazioni "sanitarie"infatti  non possono essere semplici pretesti per rifiutare una legittima prestazione, ne' per mascherare un rifiuto di origine etica o religiosa. Qualora un medico abbia tali remore, deve esplicitarle dichiarando l' obiezione di coscienza nei modi di legge.
Fare "obiezione di coscienza" in modo surrettizio e al di fuori dei dettati normativi puo' configurare certamente un illecito punibile sia in ambio disciplinare che penale.

 L’ Obiezione di coscienza
La dichiarazione di obiezione di coscienza nei confronti delle procedure di interruzione volontaria di gravidanza, regolata dalla Legge n.194/78, deve essere comunicata, secondo il testo della Legge suddetta, al medico provinciale (attualmente al Direttore Sanitario della ASL) e, nel caso di personale dipendente dall’ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dal conseguimento dell’abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire dette prestazioni o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta al di fuori dei termini precedentemente esposti, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione.

L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento.
Potrebbe essere utile che il Medico di Famiglia (o altra figura analoga territoriale) comunichi preventivamente la sua condizione di obiettore ai propri assistiti, in modo da evitare situazioni conflittuali.
 
In conclusione, quindi, a mio parere, il medico obiettore di coscienza (sia esso dipendente o convenzionato) può rifiutarsi di prescrivere/somministrare i contraccettivi d’emergenza con riferimento all’art. 9 della Legge 194 del 1978 e all’art. 19 del Codice di Deontologia medica.
Il medico che non ha presentato obiezione di coscienza puo’ esimersi dalla prescrizione invocando unicamente la norma del Codice Deontologico.
 
Va tenuto conto pero’ che il giudice potrebbe non tener conto (in sede penale o civile) di queste esimenti, soprattutto se le circostanze fossero tali da non permettere un tempestivo ricorso al Consultorio.

LA “PILLOLA DEI 5 GIORNI DOPO”: L’ ERA DELL’ ELLAONE
Con determinazione dell’8 novembre 2011 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 268 del 17 novembre 2011)., l’Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato, a decorrere dal 18 novembre 2011, l’immissione in commercio del medicinale Ellaone (ulipristal), con la seguente indicazione terapeutica: “Contraccettivo d’emergenza da assumersi entro 120 ore (5 giorni) da un rapporto sessuale non protetto o dal fallimento di altro metodo contraccettivo”.
Questo farmaco e’ in commercio in confezione da 1 compressa, è soggetto a prescrizione medica da rinnovare volta per volta ed è collocato, ai fini della rimborsabilità, nella classe C.
Il farmaco, pero’, può essere utilizzato come contraccettivo di emergenza solo quando sia stata esclusa una gravidanza in atto prima della somministrazione. La prescrizione del medicinale è subordinata alla presentazione di un test di gravidanza (ad esito negativo) basato sul dosaggio dell’HCG beta. Non e’ ben chiaro quale test di gravidanza sia ritenuto abbastanza attendibile.

COSA CAMBIA?
Le polemiche sull’ uso del nuovo farmaco non differiscono sostanzialmente da quelle sull’ uso del Norlevo, con differenti pareri degli esperti sull’ eventuale potere abortivo. In effetti la scheda tecnica riferisce, con il consueto margine di ambiguita’, che “Ulipristal acetato è un modulatore sintetico del recettore del progesterone… Si ritiene che il meccanismo d'azione primario consista nell'inibire o ritardare l'ovulazione, ma alterazioni dell'endometrio possono altresì contribuire all' efficacia del farmaco”.
Non e’ escluso quindi un meccanismo “anti-annidamento” analogo a quello del Norlevo, con i problemi etici di cui abbiamo discusso.
Per questo motivo l’ ex Ministro della Salute Fazio aveva chiesto un parere al Consiglio Superiore di Sanità (Css) proprio per chiarire se si tratti di un farmaco contraccettivo o abortivo. Il Css ha stabilito che si tratti solo di un contraccettivo, per cui si e’ dato il via libera alla distribuzione, ma questo parere, come in precedenza non ha convinto tutti gli esperti. Non si comprende infatti l’ obbligo, se si tratti di un semplice contraccettivo, di un test di gravidanza preventivo; molti chiedono l’ abolizione di questa clausola, che ridurrebbe l’ utilita’ del farmaco.
L’ obbligo del test sarebbe motivato, a quanto afferma la scheda tecnica, dal fatto che non si hanno elementi sicuri sull’ influenza del farmaco su un eventuale feto.
 
A tirare un sospiro di sollievo, comunque, sono i “medici di emergenza” (Continuita’ Assistenziale e Pronto Soccorso): nei periodi di chiusura dei Consultori, soprattutto durante le festivita’ e nei fine-settimana, le donne a rischio di gravidanza esigevano da questi sanitari la prescrizione di Norlevo. Il fatto che il sanitario potesse essere obiettore o ritenesse questo farmaco in contrasto con i suoi convincimenti etici, creava situazioni altamente conflittuali.
 
Il fatto invece che l’ Ellaone abbia un margine di efficacia cosi’ prolungato puo’ permettere ora alle donne, anche in caso di giorno festivo, di poter attendere e rivolgersi con maggiore tranquillita’ ai Consultori. Gli obiettori possono sentirsi piu’ tranquilli.

Daniele Zamperini 
 
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