Screening oncologici e mortalita'
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Argomento: Medicina Clinica


 Due articoli del BMJ ritornano sulla dibattuta questione dell'utilità degli screening oncologici.


Questa testata si è occupata spesso dell'utilità degli screening in generale e di quelli oncologici in particolare.

In una pillola di ben nove anni fa [1] intitolata "Gli screening salvano la vita?" si sottolineava come la riduzione della mortalità specifica, evidenziata dagli studi, ma non di quella generale, deve indurre alla cautela quando si valutano i benefici di una pratica di screening.
Valutare solo la riduzione della mortalità specifica può esporre a vari tipi di bias (come per esempio la misclassificazione diagnostica delle cause di morte) che rende difficoltosa l'interpretazione dei dati [2].

Sulla questione ritorna ora il British Medical Journal (BMJ) con un articolo critico e un editoriale.

L'articolo, dal titolo senza dubbio provocatorio [3], parte dall'affermazione di molti che gli screening oncologici salvano la vita. Tuttavia tale affermazione, che si basa sulla dimostrazione di una riduzione della mortalità specifica ma non di quella totale, non rende conto della complessità del problema e priva i pazienti di informazioni essenziali.

In breve sintetizziamo quanto argomentato dagli autori.

Per prima cosa la riduzione della mortalità specifica ma non di quella generale evidenziata negli studi di screening oncologici può dipendere o dal fatto che gli studi stessi non hanno una potenza statistica tale da dimostrare tale riduzione ma anche dal fatto che la mortalità totale resta immutata perchè gli screning comportano nello stesso tempo un aumento delle morti legate alle sovradiagnosi e ai sovratrattamenti.

In secondo luogo viene analizzato lo studio NLST (National Lung Cancer Screening Trial) in cui venne dimostrato che lo screening con TC toracica del cancro polmonare si associava ad una riduzione della mortalità totale del 6,7%. In realtà questa è una riduzione del rischio espressa in termini relativi: in termini assoluti la riduzione del rischio era dello 0,46%.
E' noto, aggiungiamo noi, che riportare i dati in termini di rischio relativo e non di rischio assoluto o di NNT porta ad enfatizzare i benefici dell'intervento. Si tratta di un concetto sul quale ci siamo espressi molte volte.
Varie considerazioni (che qui sarebbe troppo lungo sintetizzare) portano gli autori a concludere che i soggetti dello studio NLST appartenenti al gruppo sottoposto a screening con TC toracica non vivono di più di quelli del gruppo di controllo che non faceva screening.

Ancora: il pubblico tende a sovrastimare i benefici degli screening e a scotomizzare i rischi che tale pratica può comportare se non gli vengono offerte informazioni complete.

Come si può ovviare a queste difficoltà? Semplicemente disegnando studi clinici randomizzati e controllati con una potenza statistica tale da poter dimostrare se effettivamente gli screening oncologici riducono la mortalità totale, che dovrebbe essere l'endpoint da valutare. Si tratta di studi costosi, ma il costo dovrebbe essere paragonato a quello, altrettanto elevato, di campagne di screening largamente praticate in vasti strati di popolazione. Inoltre per ridurre i costi di tali studi si potrebbe arruolare solo soggetti ritenuti ad elevato rischio per la neoplasia target.

Un editorialista [3] si dice d'accordo con quanto affermato nell'articolo e sottolinea un punto che ci sembra importante: non solo i pazienti ma anche i medici possono interpretare in modo inadeguato gli screening oncologici se non viene riportata anche la mortalità totale insieme con quella specifica.
Il 47% di oltre 400 medici intervistati ritiene che scoprire in anticipo una neoplasia grazie allo screening ritiene che questo sia già una prova che lo screening salva la vita. Sappiamo bene, invece, che potrebbe trattarsi di una semplice anticipazione diagnostica [5].


Che dire? Le considerazioni dei due articoli del BMJ qui recensiti non sono una novità per i lettori di questa testata dato che dell'argomento ci siamo interessati in numerose occasioni.

Una pratica di screening possiede sia benefici che rischi. I primi sono una diagnosi precoce che permette un trattamento più radicale e talora interventi meno demolitivi, una probabile riduzione della mortalità specifica. I rischi sono altrettanto noti: falsi positivi e falsi negativi del test usato usato, sovradiagnosi e sovratrattamenti di neoplasie non aggressive che non sarebbero mai state scoperte senza lo screening, mancata riduzione della mortalità totale.

Chi scrive ha più volte espresso la sua opinione: si dovrebbe dare ai pazienti una informazione completa sia sulle luci che sulle ombre degli screening in modo da permettere una decisione consapevole. Bisognerebbe, insomma, ammettere la nostra incertezza: conclusione del BMJ [2,3] che ci trova completamente in sintonia.

Per approfondimenti si rimanda alla numerose pillole già pubblicate sull'argomento e che sono facilmente reperibili con la funzione "cerca" del sito Pillole.org.


Renato Rossi


Bibliografia



3. Prasad V et al. Why cancer screening has never been shown to “save lives”—and what we can do about it. BMJ 2016; 352: h6080

4. Gigerenzer G. Time to change communication from dodgy persuasion to something straightforwar
MJ 2016;352:h6967








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