Errore medico e risarcimento del danno parentale
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Argomento: Normative di interesse sanitario





La Cassazione ha rinviato un caso alla Corte d'Appello perche' valuti anche il risarcimento dovuto anche al familiare.  Non si puo' negare il danno solo perché l'assistenza prestata ha natura affettiva: va risarcito, oltre al paziente, anche il sacrificio imposto ai parenti per la necessità di cambiare le proprie abitudini di vita.
Cass III Civ n.  28220/2019.


Il fatto
Una donna operata con presso un policlinico universitario ha chiesto (insieme al marito e al figlio) i danni derivati ​​dalla mancata diagnosi di un'endocardite infettiva postoperatoria.
In seguito alla tardiva diagnosi sarebbero insorte ulteriori importanti arrivare con altri ricoveri ospedalieri e importanti interventi chirurgici.
In seguito a cio' la donna aveva avuto bisogno di assistenza costante, anche domiciliare, e dopo 13 mesi di inabilità temporanea si era instaurata una invalidità permanente del 50%.
La malattia e la convalescenza della donna avevano determinato un gravissimo turbamento e un mutamento delle abitudini di vita della famiglia.

Le Corti di merito avevano assegnato un risarcimento alla donna per il danno fisico riportato ma non alla famiglia perché la signora non era del tutto dipendente dai familiari e l'assistenza prestata non giustificava la richiesta di risarcimento.

Ricorsi in Cassazione, questa decideva può diversamente: il risarcimento del danno patrimoniale spettare anche ai prossimi congiunti della vittima di lesioni personali invalidanti, “non essendo ostativo il disposto dell'art. 1223 cod. civ., in quanto anche racconto danno trova causa immediata e diretta nel fatto dannoso”.

Secondo la Cassazione, che si rifa' anche a precedenti sentenze, “la prova del danno non patrimoniale, patito dai prossimi congiunti di persona resa invalida dall'altrui illecito, può essere desunta anche soltanto dalla gravità delle lesioni, sempre che l'esistenza del danno non patrimoniale sia stata debitamente allegata nell'atto introduttivo del giudizio… il danno non patrimoniale, consistente nella sofferenza morale patita dal prossimo congiunto di persona lesa in modo non lieve dall'altrui illecito, può essere dimostrato con ricorso alla prova presuntiva, che deve essere cercata anche d'ufficio, se la parte dedotto e provato i fatti noti dai quali il giudice, sulla base di un ragionamento logico abbia deduttivo, può trarre le conseguenze per risultato al fatto ignorato”.
E la Corte ha specificato: 
“Deve considerarsi che anche un'invalidità parziale invalidante possa comportare, oltre al dolore per la menomazione del congiunto, anche la necessità di un impegno di assistenza (e, quindi, un apprezzabile mutamento peggiorativo delle abitudini di vita di chi la presti) a carico degli stretti congiunti; né la circostanza che l'assistenza sia motivata da vincoli di affetto e solidarietà propri dei rapporti familiari vale ad subisca che congiunto non è concreto pregiudizio per la necessità di adattare la propria vita alle sopravvenute esigenze del familiare menomato”.  

Per la Cassazione ha valore sia il danno in se' che il conseguenza mutamento peggiorativo delle abitudini di vita: “entrambi i pregiudizi debbono essere risarciti, laddove rivestano i caratteri della serietà del danno e della gravità della lesione, senza che valere ad escludere la sussistenza del pregiudizio la circostanza che l'invalidità del congiunto non sia totale o il fatto che l'assistenza possa essere stata ripartita fra più familiari (trattandosi di elementi rilevanti al solo fine della quantificazione del danno)”.

La sentenza venia quindi annullata e rimessa alla Corte d'Appello perche' valuti il ​​risarcimento in base a questi principi.

Daniele Zamperini






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