È importante per il medico esercitare l’empatia, forse più delle abilità cliniche.
Il temine empatia deriva dal greco “empathos” che significa “sentire dentro”. È una soft skill essenziale per poter costruire un rapporto interpersonale gratificante e proficuo. Grazie all’empatia riusciamo a capire meglio e a identificarci con l’altro, a non vederlo solo come paziente ma come una persona con le sue credenze, i propri valori di vita, le proprie speranze, i timori, le emozioni.
Il malato si sentirà portato ad aprirsi con noi e ci permetterà di entrare, in qualche modo, nel suo mondo interiore. Potremo così essere in sintonia e comunicare meglio con lui.
L’empatia permette di non esprimere giudizi, di comprendere il punto di vista dell’altro senza rinunciare al proprio. Per esempio il paziente potrebbe riferire che ha notato che i suoi sintomi migliorano con l’assunzione di un rimedio omeopatico consigliatogli da un amico. Rispondere che questo tipo di terapia è inutile non solo chiude in modo rigido la comunicazione, ma addirittura può far nascere il sospetto che lo consideriamo un bugiardo o una persona facilmente suggestionabile. Più appropriate, per mantenere aperta la comunicazione, sono frasi del tipo: “Se le sembra di stare meglio con questo preparato non vedo perché non debba prenderlo” (sempre nell’ipotesi che il prodotto non comporti degli effetti collaterali, nel qual caso dovremo far presente il problema).
La professione di medico, continuamente a contatto con la sofferenza, rende necessario esercitare l’empatia. Essa, oltre che giovare alla relazione con il paziente, instaura un rapporto basato sulla fiducia, migliora la compliance ai trattamenti e la prognosi e riduce il rischio di ritorsioni di tipo legale in caso di errori. Si tratta di un fenomeno ben descritto in letteratura: i medici che si mostrano più attenti ai bisogni dei pazienti corrono un minor rischio di azioni legali.
È quindi necessario recuperare questa abilità che era una delle poche armi a disposizione dei medici dei secoli scorsi e che, con il progredire delle conoscenze, si è sempre più persa a favore di un approccio tecnico che potrà essere necessario dal punto di vista scientifico ma che tende ad allontanare le persone.
Alcuni medici sono portati all’empatia per inclinazione naturale mentre altri lo sono di meno. Ci si potrebbe domandare, perciò, se essa si possa in qualche modo acquisire. Può essere un percorso difficile ma con impegno e costanza alcune abilità si possono imparare. È possibile anche cercare di migliorare la propria indole, ad esempio, attraverso la frequentazione di corsi ad hoc: almeno si potranno, così, evitare atteggiamenti troppo freddi e distaccati che denotano disinteresse e scarsa considerazione per le sofferenze altrui.
Il problema principale è rendersi conto di una propria carenza e avere il desiderio di cambiare. È stato detto da qualcuno che un medico capisce veramente cosa prova un paziente quando si ammala a sua volta. C’è molto di vero in questa affermazione.
Nel film “Un medico, un uomo” (titolo originale The Doctor) Jack MacKee (interpretato da William Hurt) è un chirurgo sulla cresta dell’onda, molto sicuro di sé e poco comprensivo verso gli altri, compresi i pazienti. Non evita battute ironiche ai suoi collaboratori ed è assorbito solo dall’interesse personale e dal desiderio di carriera. Tuttavia anche i medici si ammalano e a Jack viene diagnosticato un tumore della laringe per cui deve, suo malgrado, vestire i panni del paziente e subire l’indifferenza, se non la villania, dei suoi colleghi. Solo allora comprende cosa significhi essere dall’altra parte della barricata e quanto sia importante che un medico sia in grado di instaurare dei buoni rapporti umani, che contano forse anche di più delle sue capacità tecniche.
Renato Rossi
Testo tratto da:
Rossi RL. Metodologia clinica. Le basi logiche del ragionamento diagnostico e terapeutico. Una guida pratica.
http:////ilmiolibro.kataweb.it/libro/medicina-e-salute/644007/metodologia-clinica/