Irbesartan poco utile nella Fibrillazione Atriale
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Argomento: Medicina Clinica


In pazienti con fibrillazione atriale irbesartan non riduce gli eventi cardiovascolari rispetto al placebo.

In questo studio, in doppio cieco, sono stati reclutati 9.016 pazienti con fibrillazione atriale ed una pressione arteriosa sistolica di almeno 110 mmHg. Dopo randomizzazione i partecipanti sono stati trattati con irbesartan (dose target: 300 mg/die) oppure placebo. I pazienti fanno parte dei un doppio trial in cui vengono paragonati tre tipi di regime antitrombotico: ASA + clopidogrel, ASA da solo, anticoagulante orale.
Il primo endpoint primario era di tipo composto, formato da ictus, infarto miocardico e decesso da cause vascolari; il secondo endpoint primario era costituoto dal primo endpoint associato a ricovero per scompenso cardiaco.
Il follow up medio è stato di 4,1 anni.
Non si è registrata nessuna differenza tra i due gruppi per quanto riguarda il primo dei due endpoint primari: HR con irbesartan di 0,99 (0,91-1,08; p = 0,85).
Non è notata alcuna differenza neppure per il secondo endpoint primario: HR 0,94 (0,87-1,02; p = 0,12).
Le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco risultarono meno frequenti nel gruppo irbesartan: HR 0,86 (0,76-0.98).
Ipotensione ortostatica si registrò più frequentemente nel gruppo irbesartan (127 pazienti versus 64), così come disfunzione renale (43 versus 24).
Gli autori concludono che irbesartan non riduce gli eventi cardiovascolari nei pazienti con fibrillazione atriale.
 
Fonte:
Irbesartan in Patients with Atrial Fibrillation
The ACTIVE I Investigators. Irbesartan in Patients with Atrial Fibrillation
N Engl J Med 2011 March 10; 364:928-938
 
Commento di Renato Rossi
 
I risultati dello studio ACTIVE I suggeriscono che in pazienti con fibrillazione atriale la somministrazione di irbesartan non è in grado di ridurre l'incidenza di eventi cardiovascolari nonostante il gruppo in trattamento attivo registrasse una riduzione media della pressione arteriosa sistolica di 2,9 mmHg e di quella diastolica di 1,9 mmHg.
La riduzione dei ricoveri per scompenso cardiaco è un dato da tenere in considerazione, tuttavia trattandosi di un endpoint secondario (ancorchè prespecificato) va interpretato con cautela perchè è noto che il giudizio di un trial deve basarsi essenzialmente sui risultati ottenuti sugli outcomes primari.
D'altra parte quanto registrato dall'ACTIVE I non stupisce molto: forse pretendere che un antipertensivo riuscisse a ridurre eventi hard così importanti come l'ictus o l'infarto in pazienti ad alto rischio come quelli in fibrillazione atriale era un pò troppo.
 





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