Ancora norme sui "farmaci generici": intempestive e male informate
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Argomento: Pensieri e opinioni professionali


Sta facendo scalpore, soprattutto nell' ambiente dei medici di famiglia la nuova norma governativa che obbliga ad inserire in ricetta accanto al nome del farmaco l'indicazione dell' eventuale esistenza di un equivalente farmaco generico.  Si tratta di una norma stupidamente inutile in quanto la precedente normativa prevedeva gia' meccanismi di sostituibilita', che tuttavia non comportano nessuna differenza di costi per lo Stato (v. anche Consiglio di Stato, sez. III 27/10/11 n. 5790) ne' per i cittadini, dipendendo la sostituibilita' da una loro scelta. Il formalizzare per iscritto la cosa ad ogni ricetta comporta pero' per il sanitario un aggravio burocratico, seppure modesto, e il timore di rischi medico-legali in caso di eventi avversi.
L' opposizione alla norma si basa spesso, pero', su aspetti tecnici talvolta erronei o pretestuosi, che creano solo confusione. Ripresento quindi un articolo di alcuni anni fa riassumente gli aspetti tecnici principali del problema. Non sembra sia cambiato molto...
Daniele Zamperini



Il problema dei farmaci generici

E’ noto come l’avvento dei farmaci generici, molto diffusi in altre nazioni, abbia riscontrato in Italia un atteggiamento di perplessita’ se non addirittura di ostilita’ da parte della classe medica.
Questa reazione e’ in parte legata a motivi “psicologici” e in parte a un atteggiamento di sospetto e di sfiducia del medico verso un farmaco di cui non si sente completamente “padrone”.
E’ importante analizzare quindi alcune problematiche che investono i farmaci generici onde comprendere meglio i motivi di un atteggiamento tendenzialmente negativo.

 
Il farmaco generico e’, palesemente, assai gradito alle autorita’ governative e agli Enti erogatori di prescrizioni in quanto tendenzialmente portatore di benefici economici.
Ma cos’e’ un farmaco generico? E’ veramente “uguale” al corrispondente farmaco di marca?

In realta’, in base alle normative vigenti, i farmaci “generici” sono per definizione “essenzialmente simili” al prodotto di marca originale ma non per questo perfettamente uguali.

Questa somiglianza si verifica allorche’, rispetto al farmaco di riferimento, il "generico" abbia una stessa composizione quali-quantitativa in principio attivo e la stessa forma farmaceutica; in termini tecbici presenti “equivalenza farmaceutica” e “bioequivalenza”  rispetto al farmaco di riferimento. Se un generico presenta una equivalenza farmaceutica e una bioequivalenza rispetto al farmaco di riferimento, puo' essere considerato "essenzialmente simile" a questo.

Da tale similitudine si presume una equivalenza terapeutica
che puo' riscontrarsi sia utilizzando degli “equivalenti farmaceutici” in senso stretto, cioe’ farmaci chimicamente e farmacologicamente perfettamente uguali all’originale, che anche mediante “alternative farmaceutiche” che differiscono dall’originale per la forma chimica della frazione terapeutica (ad esempio una diversa salificazione o esterificazione del principio attivo) o per la tecnologia farmaceutica impiegata (ad esempio capsule invece di compresse, granulato anziche’ gel e cosi’ via).
La maggior parte dei prodotti generici registrati in Italia appartiene al primo di questi due gruppi.
 
Bioequivalenza, biodisponibilita', equivalenza terapeutica
Il concetto di bioequivalenza, non del tutto chiaro, e’ uno di motivi di perplessita’ per i medici prescrittori.
Le leggi di riferimento sono il D.leg. 323/1996 convertito in Legge 425/1996. 
 
La "bioequivalenza" tra farmaco di riferimento e generico viene valutata essenzialmente mediante lo studio della "biodisponibilita' ", che ne costituisce preliminare indispensabile. La bioequivalenza, a sua volta, costituirebbe presupposto per presumere una probabile "equivalenza terapeutica".
 
La valutazione di biodisponibilita’ di un prodotto generico rispetto all’originale viene valutata in base ad una serie di parametri chimici e fisiologici, con procedure semplificate rispetto alla registrazione del farmaco originale. In particolare la biodisponibilita’ di un prodotto farmaceutico viene valutata dal profilo medio delle curve concentrazione-tempo del principio attivo misurato su un campione di soggetti, generalmente volontari sani, e utilizzando il parametro “area sotto la curva” come indicatore della quantita’ di farmaco reso biodisponibile; vengono considerati anche altri parametri: la “concentrazione di picco massimo” e il “tempo di picco massimo” come indicatore di velocita’ in cui il principio attivo e’ reso disponibile.
 
Viene presunto che due prodotti con profili di biodisponibilita’ sufficientemente simili (e quindi "bioequivalenti") siano anche "equivalenti dal punto di vista terapeutico".
In altre parole l' "equivalenza terapeutica" viene presunta in base ad una bioequivalenza tra i due farmaci confrontati.
(Per definizione infatti il farmaco generico deve essere “bioequivalente” rispetto al prodotto di riferimento).

Occorre sottolineare che gli studi tendenti a misurare la bioequivalenza dei prodotti non utilizzano parametri clinici di efficacia ma si limitano a confrontare la biodisponibilita’ sistemica di due prodotti, che puo' essere simile ma non uguale, in quanto ci si basa sul concetto che due prodotti farmaceutici, pur avendo un profilo di disponibilita’ anche diverso, purche' compreso in un certo grado, possano essere equivalenti anche sul piano terapeutico. Le norme internazionali, infatti, stabiliscono un range di variabilita’ convenzionale come “intervallo accettabile” di bioequivalenza.

Questo intervallo di variabilita' accettabile, indipendentemente dalla classe farmacologia del principio attivo e dal parametro farmacocinetico considerato, e’ fissato a livello internazionale nel range tra 080-1,25 quando si considera la media dei rapporti individuali tra area sotto la curva del farmaco testato e area sotto la curva della formulazione standard o, dopo alcune correzioni statistiche, entro la percentuale del 20% in piu' o in meno.
L' entita' di questa variazione accettabile e’ stata stabilita in base al concetto che la variabilita’ individuale della risposta terapeutica e’ generalmente molto ampia, anche piu’ ampia del range di variabilita’ fissato per il test di bioequivalenza.

Diversi Autori, tuttavia, hanno sottolineato il fatto che, almeno per alcuni farmaci aventi una "finestra terapeutica" molto stretta, l’attuale convenzionale intervallo di bioequivalenza potrebbe essere troppo ampio e percio’ inadeguato a garantire con sufficiente affidabilita’ che due prodotti bioequivalenti siano anche terapeuticamente equivalenti.
 
E' possibile quindi affermare che la metodologia utilizzata attualmente negli studi di bioequivalenza, consente di stimare la “bioequivalenza media” e la “bioequivalenza di popolazione” ma non consente di valutare la “bioequivalenza individuale”.
In base a questa considerazione il medico e il paziente che utilizzino un farmaco "bioequivalente" possono aspettarsi un risultato terapeutico "mediamente equivalente" nella popolazione complessiva degli utilizzatori, ma non e' possibile fornire informazioni circa la probabilita’ che la risposta del singolo paziente alle due formulazioni diverse (farmaco di riferimento e generico bioequivalente) sia la stessa.
Il problema e’ particolarmente sentito, come gia' detto, per i farmaci ad uso cronico dotati di scarsa maneggevolezza e di basso indice terapeutico.

Pur rimanendo quindi valido genericamente il concetto di sostituibilita’ tra il farmaco di riferimento e un farmaco generico bioequivalente e’ evidente come possa essere importante per il medico conoscere, per i singoli prodotti alternativi, il range di scostamento dei parametri di confronto onde poter eventualmente scegliere il prodotto che piu’ si avvicina a quello di riferimento.

Inoltre questa variabilita’ “interna” tra farmaci generici non permette un diretto confronto tra di loro in quanto essi vengono confrontati esclusivamente con la specialita' di riferimento e non e’ possibile estrapolare automaticamente una equivalenza tra di loro. Il concetto di bioequivalenza non gode della proprieta' transitiva: non e' possibile affermare, senza una verifica diretta, che due prodotti, ciascuno bioequivalente con lo stesso standard di riferimento, siano  bioequivalenti tra di loro.
Questo criterio ovviamente e’ uno dei maggiori ostacoli alla libera sostituibilita’ del prodotto da parte dei farmacisti con prodotti equivalenti.
 
[ Riassumendo, quindi:
- Biodisponibilta': parametro biochimico che misura le curve di concentrazione ematica del principio attivo utilizzando il parametro “area sotto la curva” e altri parametri accessori (“concentrazione di picco massimo” e “tempo di picco massimo”).
- Bioequivalenza:  equivalenza media di due farmaci aventi profilo di bionisponibilita' accettabilmente simile (compreso circa nel 20% in piu' o meno dell' Area sotto la curva).
- Equivalenza terapeutica: parametro presunto in base ad una bioequivalenza media compresa nei parametri di accettabilita'.
Per una valutazione dettagliata dei parametri statistici, consultare i links in fondo alla pagina].
 
Il problema degli eccipienti
La normativa vigente, basata sul DL 323 del 20/06/96 stabilisce che i generici debbano avere "la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche.". Non vengono dettate norme, invece, per quanto riguarda la composizione degli eccipienti.

Il problema non e’ di proprio conto, soprattutto per quanto riguarda alcune forme farmaceutiche  quali i granulati, le soluzioni orali, ma, in una certa misura anche le compresse.
Questo perche’ la pratica medica e’ diventata sempre piu’ sensibile, in questi anni, ai problemi di allergia o di generica intolleranza ai diversi tipi di sostanza.
L’aumentata diffusione di patologie che impongono restrizioni alimentari o evitamento di sostanze particolari ha fatto si' che si presti sempre piu' attenzione a questo problema.
In base alla normativa attuale e’ quindi facilmente ipotizzabile che due farmaci, pur essendo tra loro bioequivalenti dal punto di vista del principio attivo, possano presentare invece differenze e problemi notevoli per quanto riguarda la composizione dei loro eccipienti.
Non e’ impossibile immaginare, ad esempio, che un medico prescriva  un farmaco granulato ad un diabetico in quanto a conoscenza che la specialita' di riferimento non contiene zucchero o altre sostanze nocive a quel particolare paziente; una sostituzione del farmaco fatto “alla cieca” dal farmacista o da un altro operatore potrebbe invece, inconsapevolmente, sostituire quel prodotto con uno bioequivalente ma dolcificato con zucchero, con conseguente inspiegabile alterazione dell' equilibri glicemico.

Sono parecchie altre le sostanze che impongono particolare attenzione: i pazienti affetti da morbo celiaco, ad esempio,  devono evitare l’amido di grano (spesso utilizzato come eccipiente di compresse e capsule).

Anche altri dolcificanti (oltre allo zucchero) presentano controindicazioni per alcune categorie di pazienti: e' noto ad esempio che la saccarina puo' provocare allergia crociata con i sulfamidici, e che l' aspartame e' controindicato nei soggetti affetti da fenilchetunuria.

Una sostituzione “selvaggia” del prodotto provocherebbe quindi facilmente una serie di disturbi iatrogeni legati a somministrazione involontaria dei principi proibiti.
Si andrebbe incontro ad una serie di problemi, anche di responsabilita’ professionale, di incerta soluzione: chi potrebbe essere responsabile, ad esempio, dello scompenso di un diabetico o di una reazione allergica per un paziente a cui e’ stato prescritto correttamente un farmaco privo della sostanza dannosa, ma sostituito, in un iter successivo, con un farmaco “bioequivalente”?

Il farmacista, del resto, non puo’ ne’ deve effettuare una diagnosi ne’ entrare nel merito di una scelta terapeutica, l’unico a rimetterci sarebbe quindi, in definitiva, il paziente.
 
Sarebbe percio’ auspicabile una serie di modifiche alla normativa attualmente vigente:
-Restringere il range di variabilita’ ammesso per i criteri di bioequivalenza o, in alternativa,  obbligare le aziende produttrici di farmaci generici a pubblicare i dati di bioequivalenza del loro prodotto rispetto allo standard di riferimento. Questo sistema consentirebbe al medico di scegliere piu’ oculatamente e obbligherebe le aziende di migliorare al massimo la qualita’ del loro prodotto.
- Regolamentare anche la tipologia degli eccipienti: si potrebbe ad esempio obbligare che le aziende che vendono generici con eccipienti diversi dall’originale segnalino esplicitamente e in modo ben leggibile anche dal profano, queste loro differenze in modo che il paziente possa tenerne conto per le sue particolari situazioni.
In mancanza di accorgimenti del genere e’ comprensibile l’atteggiamento di diffidenza che molti medici hanno ancora verso i farmaci generici e verso la possibilita’ di sostituzione indifferenziata dei farmaci stessi tra di loro.
 
Daniele Zamperini (2003)

 
- EMEA-26 Julie 2001-Note for guidance on the investigation of bioavailability and bioequivalence)
- http:// biocfarm.unibo.it/deponti /didattica/bioequivalenza.PDF)
- www.salvelocs.it/farmacigenerici.HTM)
- http://www.emea.eu.int/pdfs/human/ewp/140198en.pdf)
- “Il Sole 24 ORE Sanita’ ”- Dicembre 2003: in particolare Mario Eandi, Ordinario di Farmacologia Clinica, Torino







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