Allungare i brevetti dei farmaci, alternativa ai generici?
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Argomento: Pensieri e opinioni professionali


La necessita' di comprimere in brevissimo tempo una spesa sanitaria condizionata da scelte ormai stratificate da decenni ha comportato l' adozione di meccanismi rapidi ma non sempre ben ponderati. Nel settore della spesa farmaceutica l' avvento dei "farmaci generici" e' apparso come una vera e propria ancora di salvezza, utilizzabile in modi e in tempi non sempre condivisi e condivisibili. Il collega Luca Puccetti, di Pisa, avanza una proposta certamente provocatoria e controcorrente, ma che mette in luce importanti aspetti troppo spesso sottovalutati. 



 Il brevetto
Negli ultimi decenni la ricerca farmaceutica è stata condotta in prevalenza dall'industria ed il brevetto tutela gli investimenti effettuati, al fine di evitare che l'invenzione possa essere sfruttata indiscriminatamente dalle concorrenti dell'impresa, a discapito dell'attività di ricerca e di innovazione. Ci sono due tipi di brevetto: quello di prodotto, per la protezione di un determinato principio attivo e quello di procedimento, che tutela solamente uno specifico processo di sintesi. I brevetti di prodotto sono di  sbarramento, coprendo una famiglia di composti caratterizzati dallo stesso gruppo funzionale e di selezione, che protegge una famiglia di composti (o anche una singola molecola) caratterizzata da effetti terapeutici originali. Il brevetto di sbarramento tutela nei confronti della produzione di molecole analoghe. Il brevetto di selezione tutela le modifiche di una  formula chimica già nota, o impieghi terapeutici diversi della stessa formula.
L'introduzione della tutela brevettuale ha sostenuto l'attività di ricerca innovativa, consentendo alle imprese di recuperare gli investimenti in ricerca e sviluppo dei farmaci.
La Legge sulle invenzioni e la Convenzione sulla concessione di brevetti europei (CBE) prevedono che tutti i brevetti che hanno per oggetto un composto chimico devono possedere requisiti di novità, originalità ed industrialità. 
Nel caso in cui il nuovo composto non sia identificabile con la formula di struttura, viene descritto il metodo di sintesi oppure si ricorre alla caratterizzazione chimico-fisica.
L’ oggetto del brevetto non è un singolo composto, bensì una classe di composti la cui struttura è caratterizzata da uno scheletro attivo e da gruppi terminali variabili.
La formula generale non deve comprendere un numero infinito di composti ed è preferibile che la formula si riferisca ad una sola classe di composti ed il numero di questi compresi nella formula sia definito e sintetizzabile.
Un argomento molto dibattuto è la tutela assoluta o limitata del brevetto chimico, comunque l'orientamento di maggioranza che viene seguito anche dall'Ufficio Europeo brevetti, è quello di accordare al brevetto una tutela assoluta ed estesa alle sue utilizzazioni, sia conosciute che non.
La durata della protezione brevettuale è variabile da paese a paese, attualmente nella UE si procede verso un’armonizazione delle diverse normative dei diritti sulle proprietà intellettuali attinenti al commercio. Attualmente in Italia la durata dei brevetti è di venti anni dal deposito della domanda. Per i farmaci tale periodo è di 8-10 anni perché per commercializzare il prodotto è necessaria la concessione dell’autorizzazione all'immissione in commercio.
La durata della protezione brevettuale per i farmaci è stata estesa dal certificato protettivo complementare (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi, 1997), che compensa il tempo speso prima dello sfruttamento commerciale. Il Regolamento Europeo n.1768/92, istitutivo del SPC (Supplementary Protection Certificate), ha stabilito che la durata del certificato di protezione si calcola facendo la differenza tra la data del deposito della domanda di brevetto di base e la data della prima autorizzazione all'immissione in commercio, sottraendo a questo risultato un numero di anni pari a 5.
La durata del brevetto non può comunque essere superiore a 5 anni dalla data in cui il certificato acquista efficacia e si dovrà sommare alla vita residua del brevetto (art. 13 del Regolamento CEE n.1768). Il meccanismo non comporta pertanto alcun vantaggio qualora l'autorizzazione all'immissione in commercio avvenga entro 5 anni dalla richiesta del brevetto, mentre si ottiene il maggiore periodo di copertura brevettuale (25 anni) in caso di concessione dell’autorizzazione all’immissione in commercio dopo 10 anni.
 
I farmaci generici
Il medicinale generico, è stato introdotto con la Legge Finanziaria del 1996 (n.549 del 28 dicembre 1995) che lo definisce come un "Medicinale, la cui formulazione non sia più protetta da brevetto, a denominazione generica del principio attivo seguita dal nome del titolare della AIC".
Il Decreto Legge n. 323 del 20 giugno 1996 convertito in Legge n. 425 del 8 agosto 1996 ha emendato ed ampliato la definizione di medicinale generico.
L'art. 1 comma 3 cita: "il medicinale generico è un medicinale a base di uno o più principi attivi, prodotto industrialmente, non protetto da brevetto o da certificato protettivo complementare, identificato dalla denominazione comune internazionale del principio attivo o, in mancanza di questa, dalla denominazione scientifica del medicinale, seguita dal nome del titolare dell'AIC, che sia bioequivalente rispetto ad una specialità medicinale già autorizzata con la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche".
I farmaci “generici”, detti anche “equivalenti”, sono dunque farmaci tecnicamente definiti bioequivalenti a prodotti di marca (branded) il cui brevetto è scaduto e che dunque ognuno può produrre, naturalmente rispettando alcuni standard. I fautori dei farmaci equivalenti o generici adducono a sostegno vari argomenti che possiamo così riassumere:
1)  i generici per la legislazione sono terapeuticamente equivalenti ai farmaci originali;
2)  la ditta farmaceutica che ha scoperto il farmaco ha già avuto un congruo risarcimento per gli investimenti profusi durante la copertura brevettale;
3)  il farmaco generico, senza interferire negativamente sul ciclo dell’innovazione (il brevetto è scaduto e l’impresa è già stata finanziata) e senza entrare in conflitto con gli interessi del singolo paziente (a parità di indicazione ha la stessa attività terapeutica), permette una tangibile riduzione di spesa con la possibilità di allocare ad altre destinazioni i risparmi realizzati.
Dunque i generici sarebbero un occasione da non perdere. Ma sarà davvero così ?
Nei media e purtroppo anche tra alcuni organi istituzionali ormai circola uno slogan accattivante che suona così: "Il farmaco generico è uguale a quello di marca, ma fa risparmiare". Questo slogan sottende superficialità scientifica davvero sconcertante. Il farmaco generico non è uguale al farmaco registrato e coperto da brevetto, è simile.
Che significa simile ?
Per molti farmaci generici si può evitare di fare delle prove farmacologiche in vivo e si può usare una documentazione di bioequivalenza in vitro o non produrla affatto (non è necessaria qualora la domanda di autorizzazione all'immissione in commercio sia presentata dal titolare della specialità medicinale di cui è scaduto il brevetto o da un suo licenziatario art. 3 legge 425/96, oppure  i metodi di fabbricazione e di officina di produzione siano identici o se la via di somministrazione e le specifiche della specialità medicinale rendano le variazioni di composizione quali-quantitative irrilevanti rispetto alla biodisponibilità).  Gli studi di bioequivalenza non utilizzano parametri clinici di efficacia, ma si limitano a confrontare la biodisponibilità sistemica di due prodotti. I test di bioequivalenza sono basati sul confronto statistico di parametri farmacocinetici che caratterizzano la biodisponibilità dei due prodotti: generalmente vengono usati i parametri AUC, Cmax e tmax, ma quando ciò non è possibile si può ricorrere a parametri relativi all'escrezione urinaria o a parametri farmacodinamici direttamente correlabili con l'esposizione al farmaco. Una formulazione da testare ed una formulazione standard di riferimento sono definite bioequivalenti se si può determinare, con un buon livello di confidenza, che la differenza tra le loro biodisponibilità rientri in un intervallo predefinito come "intervallo accettabile" di bioequivalenza, convenzionalmente ritenuto compatibile con l'equivalenza terapeutica.
I test di bioequivalenza  sono dunque finalizzati a verificare che le differenze di biodisponibilità, che inevitabilmente esistono tra due prodotti essenzialmente simili, non superino un certo intervallo di variazione.  
Per accordo internazionale, si è individuato l'intervallo accettabile di bioequivalenza adeguato a confrontare la biodisponibilità del prodotto test con quella del prodotto standard che è stato fissato nel range 0,80-1,25 (per dati trasformati logaritmicamente), dell’ AUC (area sotto la curva concentrazione plasmatica-tempo) della formulazione assoggettata a test rispetto a  quella della formulazione di riferimento; oppure è fissato entro il range ± 0,20 quando si utilizzano dati non trasformati .
Riferendoci a quest' ultima definizione due farmaci risulteranno in altri termini 'bioequivalenti' se la biodisponibilità della prima molecola non differirà in difetto o in eccesso più del 20% rispetto alla biodisponibilità della seconda molecola.
Il livello di confidenza  (che esprime il livello di precisione statisticamente programmato nella stima di un risultato che esprime il confronto tra i due farmaci) negli studi di bioequivalenza viene generalmente fissato al 90%, in modo da ottenere stime intervallari rappresentate da intervalli di confidenza (IC) di ampiezza minore rispetto a quelli solitamente utilizzati negli studi di superiorità  (dove  il range degli IC  è più ampio in quanto si utilizza un livello di confidenza al 95%). Due molecole vengono dichiarate bioequivalenti solo se gli intervalli di confidenza del risultato che esprime il confronto tra le rispettive biodisponibilità risultano interamente compresi all' interno di un range considerato 'ragionevole' per poter parlare di bioequivalenza (l' ). Il valore ± 20% attribuito all' intervallo di equivalenza è stato scelto perché questa oscillazione esprime di solito la variabilità media tra soggetto e soggetto nella risposta ad un farmaco (esempio: due unità posologiche dello stesso farmaco, somministrate a due differenti soggetti o in diversi momenti, sono in genere caratterizzate da curve di biodisponibilità differenti entro un range del ±20%. )
L'intervallo di bioequivalenza è uno standard stabilito convenzionalmente avendo presente soprattutto la variabilità del comportamento in vivo della formulazione piuttosto che la variabilità della risposta terapeutica nella popolazione dei pazienti.
Gli studi di bioequivalenza sono stati pertanto ritenuti sufficientemente adeguati per stimare in modo surrogato l’equivalenza terapeutica tra due formulazioni, essenzialmente simili, contenenti lo stesso principio attivo. L'accettabilità di questa variazione è stata stabilita in base al concetto che la variabilità individuale della risposta terapeutica è generalmente maggiore del range di variabilità fissato per il test di bioequivalenza.
Occorre naturalmente ricordare che anche il prodotto di riferimento si presta a variazioni sia inter- che intra-paziente che inter-lotto.
 
Affidabilità dei tests di bioequivalenza
Un ulteriore problema le variabilità legate ai diversi standard dei laboratori ove viene effettuato il test di equivalenza (alcuni sono effettuati in laboratori ucraini). In futuro le aziende che si avvalgono di studi di bioequivalenza condotti in paesi extraeuropei dovranno allegare alla richiesta di registrazione il verbale ispettivo di un'autorità europea che attesti la conformità dei laboratori e delle sperimentazioni condotte fuori dal vecchio continente. Fuori della UE, le strutture ispezionate e certificate si contano sulle dita di una mano, mentre i criteri Aifa non vengono adottati da altri paesi europei. Il che comporta, di fatto, precludere la procedura di registrazione nazionale, lasciando aperta solo la strada del mutuo riconoscimento di prodotti autorizzati in altri paesi Ue.
I tests di bioequivalenza vengono effettuati spesso misurando le concentrazioni plasmatiche (o tissutali) con esperimenti dal disegno con cross-over oppure, se ciò non è possibile perché si ritiene che il primo trattamento eserciti un certo effetto residuo, ossia cambi in qualche modo i soggetti, per cui la seconda fase del cross-over troverebbe una situazione diversa nell’ospite,  si ricorre al disegno per gruppi paralleli, da preferire anche quando la sostanza abbia una lunga emivita e siano possibili interazioni tra la prima fase e la seconda fase del cross-over. La biodisponibilità è calcolata solitamente dall’area sotto la curva concentrazione-tempo estesa per almeno 3 volte l’emivita, a partire dal tempo di raggiungimento della concentrazione massima. Trascurando queste problematiche, i test di bioequivalenza attuali consentono di stimare una bioequivalenza media di popolazione.
Dimostrare la bioequivalenza di popolazione è fondamentale per assicurare il prescrittore che può attendersi un risultato terapeutico mediamente equivalente nella popolazione dei suoi pazienti, se inizia un nuovo trattamento con un farmaco generico piuttosto che con il prodotto branded.
La bioequivalenza di popolazione, tuttavia, fornisce solo un’indicazione di massima sulla probabilità che la risposta del singolo paziente a due formulazioni diverse risulti  . Il medico prescrive un farmaco non ad una media di pazienti ma ad un singolo e la biodisponibilità individuale, qualora potesse essere prevista, rappresenterebbe pertanto l' unico criterio per poter applicare con fiducia la norma della sostituibilità tra due formulazioni simili sotto il profilo della biodisponibilità senza pregiudicare il profilo terapeutico e di sicurezza ottenuti con la prima formulazione.
E' frequente riscontrare nella pratica clinica che un farmaco dimostratosi 'efficace' in base ai risultati di un trial non risulta a volte esserlo nel singolo paziente, vuoi per effetto del caso (la probabilità di una risposta positiva nel singolo è condizionata dalla distribuzione delle risposte positive nella popolazione a cui appartiene), vuoi  perché esiste il noto problema della trasferibilità degli studi dalla popolazione al singolo individuo (per la presenza di particolari assetti farmacometabolici, si pensi ad esempio ai polimorfismi degli isoenzimi della famiglia del citocromo P450) problemi che sussistono, ovviamente, anche in questo caso.
La variabilità individuale nelle risposte e l' ampiezza dell' intervallo di equivalenza ritenuto 'accettabile' per parlare di bioequivalenza possono essere fattori di scarsa rilevanza per alcune tipologie di trattamento (ad esempio se il farmaco generico è una penicillina,) ma possono rilevarsi fattori clinicamente critici per farmaci dalla finestra terapeutica ristretta, come alcuni farmaci cardiologici.
 
Interscambiabilità tra generici

Un secondo problema consiste nel fatto che i test di bioequivalenza sono effettuati tra un singolo prodotto generico ed un prodotto di riferimento.
Questa comparazione non garantisce che due o più farmaci generici per i quali è stata certificata la bioequivalenza con la molecola originale siano comunque caratterizzate da biodisponibilità molto simili.
 Per esempio, supponendo che un generico abbia una biodisponibilità (AUC)+20% rispetto alla molecola originale ed un secondo generico una biodisponibilità –20% rispetto alla stessa molecola: in tal caso la differenza tra i due generici in termini di biodisponibilità potrebbe rilevarsi potenzialmente rilevante (almeno per alcune molecole) sotto il profilo clinico anche se il concetto di bioequivalenza  risulterebbe in ogni caso formalmente rispettato.
Negli Stati Uniti esiste il “Red Book”, (Red Book: Pharmacy's Fundamental Reference Editor: Thomas Fleming) un formulario periodicamente aggiornato, che riporta anche tutte le bioequivalenze studiate, indicando per ogni generico quali altri prodotti possa sostituire.  Il problema è particolarmente rilevante per i farmaci destinati ad uso continuativo e caratterizzati da un basso indice terapeutico.
In base alle soprastanti considerazioni il medico e il paziente che utilizzino un farmaco "bioequivalente" possono aspettarsi un risultato terapeutico "mediamente equivalente" nella popolazione complessiva degli utilizzatori, ma non è possibile fornire informazioni circa la probabilità che la risposta del singolo paziente alle due formulazioni diverse (farmaco di riferimento e bioequivalente) sia la stessa.
 
Qualità delle materie prime ed eccipienti
 La diversità fra i generici è legata anche alla qualità merceologica: i generici devono corrispondere a requisiti di legge per quanto riguarda le specifiche delle materie prime ed i processi di produzione (GMP). Tuttavia, la spinta eccessiva alla riduzione dei prezzi, può comportare un utilizzo di materie prime meno pregiate e meno purificate (sebbene questa possibilità sia ridotta dalle tolleranze limite ammesse) e l'utilizzo di tecnologie meno affidabili, particolarmente per quanto riguarda il controllo di qualità. Inoltre c'è da considerare il problema degli eccipienti. La normativa vigente, basata sul DLgs 323 del 20/06/96 stabilisce che i generici debbano avere "la stessa composizione quali-quantitativa in principi attivi, la stessa forma farmaceutica e le stesse indicazioni terapeutiche.". La normativa non prevede la composizione degli eccipienti. Il problema non è irrilevante, soprattutto per quanto riguarda forme farmaceutiche quali i granulati, le soluzioni orali, le compresse, le capsule, le preparazioni dermatologiche. E non si tratta solo di problematiche legate al rilascio del principio attivo, ma anche di allergia o di generica intolleranza ai diversi tipi di sostanza. In base alla vigente normativa è certamente possibile che due farmaci, pur essendo tra loro bioequivalenti dal punto di vista del principio attivo, possano presentare invece differenze e problemi notevoli per quanto riguarda la composizione dei loro eccipienti.
La  sostituibilità incondizionata
Il Decreto Legge n. 323 del 20 giugno 1996 convertito in Legge n. 425 del 8 agosto 1996 prevede che se il medico omette, nella sua prescrizione, di specificare il titolare dell'autorizzazione, il farmacista può dispensare qualsiasi generico corrispondente - per composizione - a quanto prescritto dal medico o richiesto dal paziente.
La Legge 405 del 16 novembre 2001 all'art. 7, “Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria” entrata in vigore il 1° dicembre 2001, stabilisce che il medico nel prescrivere tali medicinali aventi un prezzo superiore al minimo, può apporre sulla ricetta adeguata indicazione secondo la quale il farmacista all'atto della spedizione della ricetta non può sostituire il farmaco prescritto con un medicinale uguale avente un prezzo più basso di quello originariamente prescritto dal medico stesso.
In assenza dell'indicazione "insostituibile" sulla ricetta, il farmacista, dopo aver informato l'assistito, potrà consegnare allo stesso il medicinale avente il prezzo più basso, sempre che quest'ultimo sia disponibile nel normale ciclo distributivo regionale, ed in riferimento a quanto verrà previsto nelle direttive regionali.
Qualora comunque il medico apponga sulla ricetta l'indicazione "insostituibile" o comunque l'assistito non accetti la sostituzione proposta dal farmacista, la differenza fra il prezzo più basso ed il prezzo del medicinale prescritto dal medico e' a carico dell'assistito.
Attualmente il farmacista, nel caso di farmaci non più coperti da brevetto, è tenuto a proporre al paziente il farmaco a minor costo, in pratica, può consegnare all'assistito il prodotto che ha disponibile senza curarsi della marca (sia originale che generica) del farmaco eventualmente prescritta del medico, fatti salvi i casi di espressa indicazione di non sostituibilità.
In considerazione della sopraricordata mancanza di confronti diretti in merito alla biodisponibilità tra generici è dunque comprensibile la diffidenza che molti medici hanno verso la possibilità di sostituzione indifferenziata dei farmaci tra di loro.  Di questo problema anche una Regione all’avanguardia nella promozione dei farmaci generici, come la Toscana, si è fatta interprete, almeno formalmente.
A tal punto la situazione è degenerata da indurre la Regione Toscana ad intervenire con la circolare 08/06/2006 (Regione Toscana - Giunta regionale ) sulla sostituibilità dei farmaci da parte dei farmacisti.  In base alla richiamata circolare, in assenza di dicitura apposta dal medico indicante la non sostituibilità, solo nel caso il medico non indichi l'azienda produttrice del generico o prescriva un farmaco avente prezzo superiore a quello di riferimento il farmacista può consegnare il farmaco disponibile, diversamente è tenuto a consegnare il farmaco prescritto.
La convenienza
Passiamo ora al problema della convenienza. Si dice: i generici, facendo risparmiare, creano risorse per poter coprire i costi della concedibilità dei farmaci innovativi. L'industria farmaceutica è composta da azionisti che devono fare profitti. Se il sistema non fosse profittevole le risorse verrebbero dirottate su altri comparti, con buona pace di tutti i problemi di salute dei vari popoli. Taluni osservano che spesso la forza intellettuale delle scoperte è nelle università e non nei laboratori di ricerca delle multinazionali del farmaco. A parte che spesso (almeno negli USA) le università sono finanziate da aziende private, sia in forma generica che su progetti specifici, un conto è avere una buona idea di laboratorio, altra cosa dimostrare che una molecola è efficace e ben tollerata su migliaia di casi.
L’efficacia
Le medicine attuali sono già ottime, per molte di esse abbiamo prove non su indici surrogati, ma sui cosiddetti end points primari. Oggi non ci accontentiamo più che un determinato prodotto abbassi la pressione o la colesterolemia (endpoints surrogati), ma vogliamo prove convincenti che riduca le morti, gli ictus, gli infarti, i ricoveri. Poichè tali eventi sono relativamente rari siamo costretti ad accettare outcomes più o meno combinati che mettono insieme diversi eventi in modo da innalzarne la frequenza complessiva. Pur con questi accorpamenti, gli studi randomizzati e controllati che si prefiggono di verificare se un nuovo farmaco è più efficace nel ridurre gli eventi debbono reclutare un enorme numero di soggetti e devono durare molti anni. Pertanto, a differenza di quanto avveniva in passato, anche con una buona campagna di marketing non è oggi facile convincere i prescrittori a scegliere il nuovo farmaco in mancanza di dati convincenti su obiettivi primari. Questi studi, che sono molto onerosi, hanno talora permesso di cambiare radicalmente il modo di curare le malattie (beta bloccanti nello scompenso) e rappresentano la base delle raccomandazioni delle linee-guida. La linea di sviluppo di un nuovo farmaco è dunque molto lunga e dal lancio sul mercato alla sua consacrazione spesso passano molti anni che servono ad accumulare evidenze forti con studi ampi, di lunga durata su obiettivi primari. Per un produttore, oggi molto più di ieri, si profila il rischio di dover attendere molti anni prima che un nuovo farmaco sia ampiamente prescritto.
La sicurezza
A queste motivazioni sull’efficacia se ne aggiungono altre sulla tollerabilità e la sicurezza. Le recenti clamorose vicende sulla cerivastatina o sul rofecoxib  hanno fatto prendere coscienza che occorrono molti anni ed un uso molto ampio prima di poter esprimere giudizi sulla reale tollerabilità di un nuovo farmaco su vasta scala. Come dimostra la rinuncia a commercializare farmaci attesissimi come ximelagratran e torcetrapib l’attenzione alle questioni inerenti la sicurezza è oggi molto più alta che in passato anche perché le class actions rischiano di dissestare anche una grande multinazionale. Questo ha indotto tutti ad essere molto più cauti. La stessa FDA ha reso più stringente la sua politica, come dimostrato dalla riduzione del numero di molecole approvate negli ultimi anni (vedi più avanti nel testo). Anche i medici sono oggi molto più prudenti verso la prescrizione di nuove molecole, anche perché quelle già in commercio hanno dato ampie prove del loro profilo di efficacia e sicurezza su milioni di pazienti.
Scadenza del brevetto e tecniche di aggiramento
Molti degli attuali farmaci, quando sono giunti in prossimità della scadenza brevettuale non vengono ulteriormente sviluppati in quanto gli eventuali benefici non sarebbero a vantaggio della ditta produttrice, ma di tutti quelli che vogliono produrli.
Le aziende titolari dei brevetti si sono variamente attrezzate per cercare di aggirare il problema della scadenza del brevetto, più o meno legalmente. Una prima contromossa riguarda il numero di brevetti: fino a 10 anni fa un farmaco era coperto da non più di due certificati, oggi un nuovo medicinale ne ha in dote almeno 10.  Inoltre è possibile riformulare i farmaci di successo, modificando la via di somministrazione o la durata d'azione, prima che scada il brevetto originario. In questo modo ci si aggiudica un nuovo brevetto e si prospetta al paziente (negli USA ove la pubblicità diretta è consentita) o al medico (in Europa) di passare ad una versione "moderna" dello stesso farmaco che però conferirebbe vantaggi (quasi sempre marginali) . Un’ulteriore possibilità è quella di modificare di poco il farmaco originale, ad esempio proponendo un enantiomero, per poi ottenere un nuovo brevetto, anche se questo comporta una nuova, lunga  e costosa procedura registrativa.
Questa pratica fa spendere risorse per farmaci “nuovi” che di nuovo hanno ben poco e che debbono ricevere tutta la validazione che invece il farmaco vecchio ha già ottenuto. Il farmaco pseudoinnovativo, dal punto di vista della società nel suo complesso (l’unico che noi prendiamo in considerazione, essendo per il cittadino irrilevanti i punti di vista degli attori intermedi), comporta una grande dispersione di risorse nel senso che l'unico vantaggio che conferisce è quello di offrire un'alternativa terapeutica ai non moltissimi soggetti che non rispondono o sono intolleranti ad un dato farmaco, ma non ad uno assai simile della stessa classe.
Per promuovere questa pseudoalternativa vengono spese enormi risorse non solo per gli studi clinici, ma anche per il marketing che deve convincere che il farmaco minimamente modificato è migliore di quello “vecchio” con brevetto scaduto e dunque genericabile. Questo provoca spesso tensioni tra i soggenti paganti, i prescrittori, che sono pressati da campagne volte a persuaderli che il “nuovo farmaco” presenta vantaggi (quasi sempre marginali) ed i pazienti, che naturalmente si aspettano “il meglio”. 
Questa pratica di aggiramento della scadenza brevettuale mediante l’immissione in commercio di farmaci pseudoinnovativi toglie dunque risorse alla ricerca di farmaci realmente innovativi e costituisce un precedente che può giustificare “imitazioni” potenzialmente dirompenti per lo stesso sistema farmaceutico mondiale.
La "farmaceutica etica", proposta da Sunil Shaunak, professore di malattie infettive all'Imperial College di Londra, e dal dottor Steve Brocchini, della London School of Pharmacy. Si propone di modificare, anche minimamente, la struttura molecolare dei farmaci protetti da brevetto, creandone formalmente di nuovi. Il primo farmaco contro l'epatite C, ancora in via di sperimentazione, è stato realizzato grazie al sostegno del governo indiano. In caso di successo dei tests "registrativi" un'azienda indiana di biotecnologie (Shantha in Hyderabad) avrebbe già garantito la sua disponibilità alla commercializzazione. Il brevetto del primo farmaco verrà registrato dall'Imperial College che ha già assoldato i migliori avvocati per difendersi dalla probabile controffensiva legale delle multinazionali.
Penuria di nuovi farmaci per le patologie sociali
Scoprire, testare e dimostrare che un nuovo farmaco è efficace e ben tollerato è dunque impresa oggi ardua, lunga e costosissima. Nel 2006 l'FDA ha approvato 17 nuovi farmaci, il più basso numero degli ultimi 10 anni. Questo basso numero di nuove approvazioni può essere imputabile, almeno in parte,  alla politica più restrittiva adottata dall'FDA dopo la vicenda del rofecoxib. E' verosimile che richieste più stringenti sul profilo di sicurezza dei nuovi farmaci (soprattutto per quelli destinati a patologie ad alta prevalenza) abbiano prodotto un notevole allungamento nei tempi di registrazione e quasi dimezzato il numero delle nuove approvazioni rispetto alla media degli anni precedenti (17 nel 2006 contro una media di 28 all'anno nell'ultimo decennio). Il profilo di sicurezza dei farmaci può essere testato solo con studi clinici di potenza ben superiore a quelli usualmente necessari per valutare l'efficacia clinica e ciò richiede maggior tempo, sia per l'arruolamento di un maggior numero di soggetti che per l'allungamento dei tempi di osservazione.
Secondo PhRMA (Pharmaceutical Research and Manufacturers of America), l'associazione di categoria che raggruppa le maggiori industrie farmaceutiche statunitensi, si tratterebbe solo di momento contingente legato alla ciclicità del fenomeno delle nuove approvazioni, che ha già visto in passato momenti di alti e bassi. I farmaci in fase di sviluppo e di cui sono in corso avanzati studi clinici, sarebbero, secondo PhRMA, attualmente ben oltre un migliaio tra cui 646 antineoplastici, 146 del sistema cardiovascolare, 77 per il trattamento dell'HIV e 56 per il diabete.
Anche dando credito a PhRMA i nuovi farmaci approvati riguardano, nella grande maggioranza, trattamenti per patologie rare o poco frequenti, dall’elevato impatto emozionale sull’opinione pubblica (come il cancro) e sono destinati spesso a sottogruppi di pazienti con particolari assetti genici o esprimenti particolari proteine. Tali farmaci sono sempre meno rivolti alle grandi patologie sociali e sempre più a patologie di nicchia, ad alto impatto emozionale. Pertanto per testarne l’efficacia non si ricorre a obiettivi forti, ma ad end points surrogati, come ad esempio la sopravvivenza libera da malattia, con differenze che, seppur statistamente significative su casistiche selezionate, rischiano di tradursi in benefici scarsissimi nella realtà climica. L’alto impatto emozionale sulla pubblica opinione di queste malattie, talora relativamente rare, fa dimenticare il rigore sugli end points che dovrebbe essere tanto più necessario quanto più costoso fosse il trattamento.
Le limitazioni alla prescrivibilità dei nuovi farmaci costosi
Ma non è tutto, questi farmaci di nicchia sono costosissimi pertanto gli enti regolatori, come l’AIFA, ne limitano la prescrizione a pochi centri di riferimento. La motivazione è formalmente quella di limitare l’uso “improprio” del prodotto, basandosi sull’assunto che solo pochi superspecialisti sappiano usare bene questi farmaci, ma la vera motivazione è spesso quella di limitare la spesa, dato che quanto meno sono i prescrittori, tanto minore sarà il volume delle prescrizioni che saranno anche più facilmente controllabili. Questo sistema per le aziende comporta lo svantaggio di limitare le prescrizioni, ma al contempo il vantaggio di dover “convincere” solo pochi soggetti prescrittori, dalle cui decisioni dipendono le terapie di intere province, limitando gli investimenti di marketing a pochi soggetti selezionati. Tutti gli altri medici, anche specialisti, che sono al di fuori di tali centri di riferimento, non possono (con rare eccezioni) prescrivere a carico del SSN il farmaco che, dato l’alto costo, è come dire che non possono prescriverlo affatto. Questo crea un grave pregiudizio alla libertà del paziente di scegliersi un medico di fiducia e lede i diritti dei medici, che non possono curare con farmaci moderni i loro pazienti e dunque sono costretti a riferirli ai colleghi dei centri di riferimento senza poter mai acquisire l’esperienza necessaria ad utilizzare questi farmaci.
Tutto ciò comporta un enorme spreco di risorse in quanto la formazione dei medici, specialisti e non, è costata molto sia alla collettività che ai medici medesimi e inevitabilmente un tale sistema crea nei sanitari disinteresse e dunque ignoranza nei confronti di interi capitoli della patologia che comunque non potrebbero essere curati con i migliori presidi disponibili.
L’attuale sistema dunque crea le premesse affinché le risorse siano impiegate non per la scoperta e sviluppo di nuovi farmaci per le grandi patologie sociali, ma bensì verso maquillages per aggirare la scadenza brevettuale o per lo sviluppo di farmaci costosissimi, destinati a pochi pazienti e che vengono prescritti da una manciata di medici.
 
Il giusto prezzo
Con l’attuale sistema si spartiscono guadagni su una pluralità di soggetti che producono generici e che dunque non portano ad alcun vantaggio se non per l’effetto della concorrenza sul prezzo. Oltretutto l’attuale politica di forti sconti, praticata dai produttori di generici o di farmaci ex-branded a livello di farmacie, testimonia che esiste un margine ancora molto ampio di riduzione del prezzo. Come a dire che il “mercato” non produce il minor costo possibile per il consumatore o comunque per il terzo pagante, poiché una quota rilevante va a vantaggio dei farmacisti. I produttori di generici possono inoltre siglare accordi d'esclusiva con i produttori dei principi attivi. In questo modo ostacolano l'approvvigionamento dei rivali e possono fissare il prezzo a loro piacimento.
Per le società occidentali attualmente il vantaggio rappresentato dai farmaci generici è dunque principalmente legato alla diminuzione del prezzo, mentre i farmaci equivalenti rappresentano verosimilmente un’occasione produttiva per i paesi emergenti .
La proposta che avanzo è di allungare di molto (40 anni e più) i tempi di sfruttamento dei brevetti. Le aziende capaci di far ricerca continuerebbero a sviluppare i loro farmaci innovativi fino alle estreme potenzialità, supportandoli con studi ampi e rigorosi e soprattutto basati su end points non surrogati. Tali studi necessiterebbero di molto tempo, ma l’allungamento del brevetto ripagherebbe ampiamente questa inerzia iniziale. Studi ampi significano inoltre maggior sicurezza per i cittadini poiché l’allargamento dei trials a casistiche molto numerose aumenta la probabilità di mettere in risalto eventuali problemi di sicurezza anche in piccoli subset di pazienti. Il costo del farmaco innovativo dovrebbe essere progressivamente più basso con l'andar del tempo ed in base ai volumi venduti. I decisori paganti o le Autorità regolatorie, facendo pesare l’allungamento della copertura brevettuale, dovrebbero ottenere dal produttore una curva prezzo-tempo, persino più conveniente dell’attuale, formatasi alla scadenza brevettuale in base alla concorrenza tra produttori di generici.
Se tutti i guadagni, pur se relativi ad un prezzo per singola confezione molto più basso dell’attuale, andassero solo al detentore del brevetto la collettività non ci rimetterebbe e ci sarebbe interesse da parte del detentore a continuare a sviluppare nel tempo il farmaco. In un tale contesto si potrebbe davvero richiedere che per l'approvazione di un nuovo farmaco ci siano prove di efficacia e sicurezza, non solo in termini di eguaglianza con quelli dei farmaci già in commercio, ma di superiorità. I farmaci pseudoinnovativi dovrebbero ottenere un prezzo addirittura inferiore a quello puntualmente raggiunto dal prezzo del farmaco di riferimento nel decalage della curva prezzo-tempo. Nella prospettiva di un lungo periodo brevettuale le ditte farmaceutiche immetterebbero in commercio farmaci con maggiori prove di efficacia e sicurezza, senza cercare dei “doppioni” di quelli di cui sta scadendo il brevetto. Le risorse verrebbero incanalate non nella commercializzazione di farmaci pseudoinnovativi, ma nella ricerca di farmaci realmente innovativi, gli unici che potrebbero ambire ad un prezzo relativamente più elevato. Parallelamente il prezzo dei costosi “farmaci biologici” dovrebbe scendere di molto, per garantire la libera prescrizione a tutti i medici competenti di tali farmaci e per rendere meno conveniente la commercializzazione stessa di tali farmaci rispetto alle molecole per le grandi patologie sociali.  Gli enti regolatori potrebbero imporre prove più severe di quanto succede adesso proprio perché, una volta approvato, il farmaco potrebbe essere venduto per lungo tempo e dunque eventuali ritardi nell'approvazione, motivati dalla richiesta di prove di efficacia sul campo su end points primari e di sicurezza nell'impiego su vasta scala, non sarebbero insostenibili per l’azienda produttrice.
Il fondo di compensazione per i paesi poveri
I farmaci sono dei "beni etici" e l’allungamento del brevetto comporterebbe problemi ancora maggiori degli attuali ai paesi realmente poveri che non hanno le risorse idonee a garantire farmaci necessari ai loro cittadini. Il 14 novembre 2001 a Doha, la quarta sessione della conferenza ministeriale dell'OMC (Organizzazione Mondiale del Commercio) ha approvato la dichiarazione relativa all'accordo sui diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS) e sulla sanità pubblica. La dichiarazione di Doha chiarisce la relazione tra l'accordo TRIPS e le politiche di sanità pubblica dei membri dell'OMC, confermando il diritto dei membri di rilasciare licenze obbligatorie sui brevetti per motivi di sanità pubblica. Per quanto riguarda i membri OMC che non hanno capacità di fabbricazione nel settore farmaceutico e che non potrebbero importare i medicinali di cui hanno bisogno, il paragrafo 6 della dichiarazione di Doha ha incaricato il Consiglio TRIPS di trovare una soluzione rapida a questo problema. Il 30 agosto 2003, il Consiglio generale dell’OMC ha adottato la decisione sull’attuazione del paragrafo 6 della dichiarazione di Doha sull’accordo TRIPS e sulla sanità pubblica. Questa decisione consente ai membri dell’OMC di esportare i medicinali brevettati verso i paesi terzi senza disporre di capacità di fabbricazione nel settore farmaceutico, attraverso le licenze obbligatorie. La decisione prevede meccanismi di salvaguardia contro la deviazione degli scambi, nonché regole volte a garantire la trasparenza. La dichiarazione chiarisce che la decisione sarà utilizzata in buona fede per affrontare i problemi di sanità pubblica e non per conseguire obiettivi di politica industriale o commerciale e ribadisce l’importanza di questioni come quella di evitare che i medicinali finiscano nelle mani sbagliate. Finora, solo 11 paesi (su 151 membri dell'OMC) hanno accettato la modifica permanente dell'accordo TRIPS: Australia, Stati Uniti, Svizzera, El Salvador, Repubblica di Corea, Giappone, Norvegia, India, Filippine, Israele e Singapore. Il protocollo entrerà in vigore solo previa accettazione da parte di due terzi dei membri dell'OMC, dunque la strada è ancora lunga.  
La soluzione potrebbe risiedere nella realizzazione di un fondo di compensazione internazionale, gestito dall’OMS e da altre organizzazioni internazionali. Il fondo sarebbe alimentato da una quota sulle vendite dei farmaci effettuate nei paesi ricchi, che dovrebbe essere in quota parte a carico del produttore ed in quota parte a carico dei governi/cittadini (dipende dall’organizzazione del SS del singolo paese). Con questo fondo si dovrebbero risarcire i produttori detentori dei brevetti rispetto al prezzo che i paesi poveri possono effettivamente pagare e si eviterebbero le liti tra detentori dei brevetti e governi dei paesi poveri. Per evitare scaltre dilazioni la partenza del nuovo sistema con il relativo allungamento dei brevetti dovrebbe essere contestuale alla messa a regime del funzionamento del fondo di perequazione. Il diritto dell'uomo che soffre viene prima di qualsiasi altro diritto commerciale.


 
Luca Puccetti - MMG, specialista in reumatologia, Pisa



Referenze
1)  La Professione (medicina, scienza, etica e società)” Trimestrale della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri  numero 3/2005 pag 15-16.
2) www.farmacovigilanza.org  (sito consultato il 22/12/07)
3)  www.galenotech.org (sito consultato il 22-12/07)
4) The Guardian 2 Gennaio 2007
5) http://www.generici.com/ (sito consultato il 22/12/07)
6) http://www.unisi.it/servizi/sab/biblio/bcf/  (sito consultato il 22/12/07)
7) Richard G. Frank. The Ongoing Regulation of Generic Drugs. N Engl J Med 2007; 357: 1993-1996
8) http://www.assogenerici.it/leggi_norme.htm (sito consultato il 22/12/07)
9) http://www.fda.gov/cvm/Guidance/bioequivalence_Oct02.pdf (sito consultato il 22/12/07)





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