Se il ricovero e' prolungato senza motivi, si e' responsabili dei danni che ne derivino

Anche se il paziente soccombe per un' affezione il cui rischio e' intrinseco al ricovero, il medico e' responsabile se tale ricovero non era motivato

(Cass. Sez. II n. 369 del 16/02/2006)

Il paziente era stato ricoverato per un intervento neurochirurgico di decompressione da tumore midollare. L' intervento si era concluso positivamente ma il paziente decedeva in seguito ad una polmonite nosocomiale da pseudomonas insorta successivamente, ed evoluta in uno shock settico.

Il CTU sottolineava come, nel caso specifico,  la lunga ospedalizzazione fosse il principale fattore di rischio per la colonizzazione con batteri nosocomiali  e quindi per l'infezione nosocomiale postoperatoria”.  Il CTU citava a tale proposito due lavori scientifici non recentissimi, ma, a suo avviso, basilari: la prolungata degenza ospedaliera preoperatoria aumenta il rischio di infezione in modo lineare, sia come numero generale di infezioni sia a carico dell'apparato respiratorio. Anche la terapia immunosoppressiva farmacologica - cortisone -rappresenta un documentato ed importante fattore di rischio”. Il paziente sarebbe quindi stato "colonizzato" da tali pericolosi microrganismi durante il prolungato ricovero; questi poi avrebbero acquistato patogenicita' in seguito all' immunosoppressione causata dal trattamento cortisonico prolungato effettuato in attesa dell' intervento (due mesi) e  dall' intervento stesso.

Il CTU (e poi la Corte) individuavano quindi una responsabilita' nell' ingiustificatamente prolungato periodo di ricovero preoperatorio e di conseguente trattamento cortisonico, tali da accrescere il generico rischio intrinseco.

La responsabilita', a parere della Corte, va rapportata al concetto di "trattamento medico", ampiamente evolutosi negli ultimi decenni. Esso non può essere ridotto all'atto chirurgico, come si riteneva in origine, ma va esteso a qualsiasi atto che coinvolga la persona del paziente nella sua dimensione personale, sia fisica che psichica, e  comprenderà tutti gli atti e le decisioni che interferiscono con il diritto alla salute e alla libertà personale del paziente ad opera del medico. Potrà, quindi, trattarsi di atti chirurgici, di trattamenti farmacologici, di attività diagnostica e di tutto quanto si svolge in un contesto medico, ivi compreso il ricovero ospedaliero.  Questo non puo' essere considerato qualcosa di estraneo all'attività medica, come un mero sfondo neutro della stessa; pur necessario per lo svolgimento di alcune attività mediche, è anche fonte di rischi specifici, ben noti nella letteratura medica, ai quali è esposto il paziente per il solo fatto di trovarsi in ospedale.

Per questi motivi il ricovero ospedaliero, al pari di ogni altro trattamento, deve rispondere a corretti criteri di indicazione medica, e deve quindi essere il risultato di una valutazione bilanciata tra i benefici attesi (la realizzabilità di necessarie attività di diagnosi e cura) e i noti rischi connessi. Di conseguenza, così come una dimissione anticipata può essere ingiustificata e fonte di responsabilità,  alla stessa stregua puo' divenire fonte di responsabilita' un ricovero protratto senza necessità medica, se non altro come condotta imprudente e contraria alle corrette pratiche cliniche, quando ha esposto il paziente ai rischi connessi al ricovero, in primis le infezioni nosocomiali, senza alcuna necessità di tipo medico. In tale ultima ipotesi il ricovero costituisce un'indicazione errata e una fonte di danno sotto il profilo della negligenza, avendo esposto inutilmente il paziente agli agenti patogeni. Veniva quindi confermata la condanna dell' Ospedale.

Daniele Zamperini—Guido Zamperini