Chi simula malattie, e' colpevole di falso ideologico

Il lavoratore che inganna il medico e' colpevole di falso ideologico; Il lavoratore, in seguito a contestazione disciplinare del datore di lavoro, deve fornire le informazioni richieste, ne' puo' tricerarsi dietro il diritto alla riservatezza.. (Cassazione penale 10 giugno 1999 n. 7468; Cassazione 27 luglio 1994 n. 6982).

Benche' non recentissima, questa sentenza puo' avere importanti risvolti nell' attivita' professionale dei medici di famiglia in quanto prende in considerazione una fattispecie probabilmente frequente ma generalmente "sommersa": quella del lavoratore che chieda un certificato di malattia simulando infermita' che non ha.
Abbiamo gia' scritto in altra sede come il medico possa (e in qualche caso, debba) rilasciare la certificazione di malattia anche in caso di malesseri soggettivi qualora, in scienza e coscienza e sulla base di quanto riferito, li ritenga attendibili.  In questi casi e' possibile che un "esperto" riesca a trarre in inganno il sanitario, tradendo il rapporto di fiducia.
La sentenza in oggetto riguarda proprio uno di questi casi.
La Cassazione ha quindi stabilito che il comportamento del lavoratore che, simulando la malattia, trae in inganno il proprio medico inducendolo a certificare una infermità inesistente o più grave del reale è stato qualificato come falso ideologico in certificato, ex artt. 48 e 480 cod. pen. .
 

In altra occasione e' stata preso in considerazione il caso di un' assenza dal lavoro fortemente sospettata, dal datore di lavoro, di falsita', e quindi contestata mediante procedimento disciplinare. La Cassazione ha affermato che la legge oggi non obbliga il lavoratore a comunicare al datore la diagnosi, ovvero la natura dell’impedimento, né tanto meno le terapie praticate per curarsi. Ma il datore ben può averne acquisito legittimamente la conoscenza; e può comunque avere maturato sulla base di altri elementi e circostanze il giustificato sospetto o la convinzione circa l’inesistenza dell’impedimento. Deve considerarsi in tal caso legittima, anche sulla base del solo sospetto indotto dalle circostanze e senza che sia stato esperito il controllo previsto dall’art. 5 St.lav., la contestazione al lavoratore dell’assenza come mancanza disciplinare, alla quale il lavoratore ha l’onere di rispondere fornendo tutte le informazioni e i documenti utili a provare la sussistenza e la gravità della malattia. Quando il lavoratore non adempia questo onere in sede di procedimento disciplinare, il datore di lavoro convinto del carattere abusivo dell’assenza ben può adottare il provvedimento disciplinare adeguato, in relazione alla durata dell’assenza stessa, affrontando il rischio della verifica giudiziale che può seguirne; in tal caso il lavoratore non può eccepire in giudizio il proprio diritto alla riservatezza per trincerarsi dietro i certificati medici esibiti, ma deve fornire l’indicazione della diagnosi, e la prova degli accertamenti eseguiti in funzione di essa e delle terapie prescritte dal medico ed effettivamente praticate.