Valutare con attenzione gli studi clinici!

In una pillola recente (Vedi: "Galeotte revisioni dell'UKPDS" reperibile su www.pillole.org)  si concludeva che la fiducia nelle riviste e negli opinion leaders deve essere accordata con cautela. La questione è di non poco conto e riguarda vari aspetti dei trials. Uno di questi è quello degli end-point secondari.

Quando si studia il disegno di un trial si predefinisce un end-point primario che ci si propone di valutare alla fine dello studio. Questo end-point può essere singolo (per esempio: numero di decessi) oppure composto da più eventi (per esempio: numero di decessi + numero di infarti non fatali + numero di interventi di bypass coronarico + numero di ictus). Conoscere qual è l'end-point primario di un trial è di capitale importanza perchè è quello sul quale viene tarata la potenza statistica dello studio. E' diventato, però,  prassi comune definire anche uno o più end-point secondari, che possono essere singoli oppure composti. Non è detto che l'end-point primario sia più importante di quello secondario, dal punto di vista clinico, ma è quello che sul quale si dovrebbe basare l'interpretazione statistica del trial. Gli end-point secondari sono utili quando vanno nella stessa direzione di quelli primari, ma se per esempio l'end-point primario non risulta ridotto in maniera significativa mentre quello secondario lo è, può essere arduo trarre delle conclusioni affidabili. Infatti, lo ripetiamo, è sull'outcome primario che si sono svolti i calcoli preliminari di tipo statistico.

Ma gli autori, nelle loro conclusioni, tengono sempre conto di questo "caveat"?

Vediamo due studi recentemente pubblicati.

Lo studio  ASCOT-BPLA [1] ha reclutato quasi 20.000 pazienti ipertesi randomizzati ad amlodipina (più eventualmente perindopril se la pressione non era controllata) oppure atenolo (più eventualmente bendroflumethiazide). L'end-point primario era costituito da infarto non fatale + coronaropatia fatale. Lo studio è stato interrotto anticipatamente dopo 5,5 anni. Infatti, anche se l'end-point primario non differiva statisticamente tra i due gruppi, vi era una riduzione di end-point secondari (stroke, eventi cardiovascolari totali, mortalità totale) nel gruppo trattato con il calcioantagonista. Gli autori concludono che un regime a base di amlodipina è più efficace di un regime a base di atenololo nel ridurre gli eventi, ma non rilevano il fatto che l'end-point primario era paragonabile nei due gruppi.

Nello studio PROACTIVE [2] sono stati arruolati oltre 5000 pazienti con diabete tipo 2,  randomizzati per 3 anni a ricevere pioglitazone (+ terapia standard) o  placebo (+ terapia standard). L'end-point primario era composto da sei diversi eventi (morte, infarto non fatale, sindrome coronarica acuta, interventi cardiaci, ictus, amputazione maggiore degli arti e by-pass coronarico o PCI). L'end-point secondario era costituito da attacco cardiaco + ictus + mortalità totale. Al termine dello studio non c'era differenza statisticamente significativa tra trattati e controlli per l'end-point primario mentre quello secondario risultava ridotto nel gruppo trattamento. Gli autori, nelle loro conclusioni, affermano che il pioglitazone riduce la mortalità totale, l'infarto non fatale e l'ictus rispetto al placebo ma non rilevano che in realtà si tratta di un end-point secondario.

Non si vuol qui sostenere che gli end-point secondari non siano importanti:  possono di per sè essere pienamente validi ma andrebbero interpretati con più cautela perchè una valutazione rigorosa dello studio, dal punto di vista statistico, dovrebbe sempre fare riferimento all'end-point primario. In altre parole, negli esempi citati, l'outcome secondario è solo in via nominale significativo e, secondo alcuni, i risultati così trovati dovrebbero essere considerati soprattutto come un generatore di ipotesi da valutare in uno studio successivo

Le conclusioni per il medico pratico mi sembrano queste: valutare con prudenza i risultati derivanti da end-point secondari se questi sono in contrasto con gli end-point primari, indipendentemente da quanto prestigiosa sia la rivista che pubblica lo studio.

 Renato Rossi

 Bibliografia

1. Lancet 2005 Sept 10; 366:895-906

2. Lancet 2005 Oct 8; 366:1279-1289